Magazine Diario personale

Choosy, picky, vizy

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Ultimamente una delle cose che mi riescono più difficili è far capire al mondo del lavoro alcuni concetti. Concetti base, che solo dieci anni fa venivano dati per scontati e facevano parte del vocabolario di ciascun lavoratore e datore di lavoro, ma che ora sembrano misteriosamente scomparsi. Come se non fossero mai esistiti.

Etica, ad esempio.

Giusta retribuzione.

Cose così.

Sempre più difficile mi è poi far capire questi concetti in questo clima di disoccupazione, disperazione, dove tutti sono alla ricerca di un “lavoro qualsiasi, purchè pagato” e di pagare il meno possibile qualsiasi lavoro. Tutti o QUASI tutti.

Si, perché c’è ancora qualcuno che, come me, resiste, per fortuna.

Siamo pochi, siamo scalcagnati, ma ci siamo.

Il problema è che, quando non accettiamo un lavoro per un qualsiasi “nostro” motivo, veniamo giudicati choosy. Picky. Vizy.

Ok, l’ultima parola non è un vero inglesismo.. ma rende bene, perciò l’ho coniata.

Io sono una vizy, ampiamente vizy, lo ammetto. È che quando mi propongono “un lavoro qualsiasi”, che non ha nemmeno lontanamente a che fare né con quello che facevo prima né con quel che faccio ora, mi scatta dentro una cosa, non so bene cosa sia, ma credo che una componente ne sia la rabbia. Un’altra è la delusione. Un’altra ancora il rifiuto. E poi c’è l’orgoglio anche.

Tutti sentimenti negativi, lo so, ma non tutti completamente. Di orgoglio, ad esempio, nella vita bisogna averne il giusto pizzico, non credete? Non si può mica continuare a farsi calpestare dalla gente, o a mettere le priorità degli altri difronte alle nostre!

un lavoro

“C’è un amico di una società di assicurazioni che cerca una segretaria, ti interessa?”

Io, studi umanistici per fare la giornalista,  poi finita nel turismo, ora nel marketing/web marketing… mi guardo in faccia e mi dico, ma siete seri? Ma io che ne so? Ma davvero devo considerare di nuovo l’idea di buttare all’aria quanto fatto negli ultimi 15 anni, le esperienze acquisite, e RICOMINCIARE DA ZERO con un contratto di apprendistato?

Davvero mi state dicendo questo?

Davvero mi state dicendo che non c’è un motivo per cui uno che ha il patentino del muletto e non quello della gru non dovrebbe andare a guidare le gru? No, perché se ci pensate il danno magari non è “materialmente” lo stesso, ma umanamente, eticamente, lo è.

Io sono brava in quello che faccio, e mi piace pure! Perciò no grazie… preferisco mi diate della Vizy.

Preferisco dare a Cesare quel che è di Cesare.

È lo stesso meccanismo che mi scatta quando vedo che in azienda viene messo in una certa posizione “il cuggino” o “l’amico di” di turno, un tizio/tizia manifestamente incapace di qualsiasi azione, pratica o cognitiva che sia, utile a quella azienda.

C’è di buono dunque che sono oggettiva, nel mio perseguire l’utopia del “lavoro giusto per ciascuno di noi”.

la-fine-del-lavoro

E purtuttavia, per la maggior parte della gente sbaglio. Sbaglio a vederla, sbaglio a rifiutarmi di fare un lavoro palesemente non nelle mie corde, nella paura di non saperlo proprio fare e in quel caso deludere il committente… ma chi mai ancora si fa questi problemi? Non essere all’altezza di un compito per cui si viene pagati.. bah, bazzecole! Si fa, si chiede di essere pagati, a quel paese la coerenza, l’etica e la professionalità! Si arrangeranno un po’, questi committenti incapaci di scegliere un collaboratore no? Non è un mio problema.

La maggior parte della gente si nasconde dietro il “non è un mio problema”. Grandissima via di fuga… che io non sono capace di usare.

È ancora un mio problema se il mio committente fa una brutta figura per causa mia. È un mio problema se non vende, se non ottimizza, se non conquista nuovi clienti, etc etc. o almeno lo è se io so di non aver fatto il 100% di quello che potevo, per aiutarlo, visto che dopotutto mi paga. Si spera.

Ecco, ogni giorno mi capita di alzarmi, e accorgermi che un pezzo di questo mondo del lavoro se n’è andato per la strada sbagliata, e la cosa mi fa ancora arrabbiare.

Sbaglio, anche qui, perché non è colpa mia, non ci ho potuto fare niente… o forse si?

Forse se ciascuno di noi avesse continuato a rifiutarsi, invece di svendersi pezzo pezzo? Forse se avessimo continuato a chiedere il giusto prezzo, a fornire la giusta qualità di lavoro, invece che abbassarci alla mediocrità richiesta oggi dall’azienda-tipo?

Forse se avessimo rifiutato di specializzarci fino alla nicchia, perché i tuttologi non piacciono a nessuno, e avessimo impedito “loro” di relegarci nei cantucci di specializzazione da cui poi vogliono farci uscire per impiegarci in cose che non ci riguardano e, vista la mancanza di esperienza, pagarci di meno?

Forse se avessimo mantenuto intatto il nostro orgoglio, invece di farci piegare dalla disperazione?

Ancora, non colpa nostra. La disoccupazione, la disperazione, il concetto che “si fa di tutto, purchè ci paghino”. Colpa del “sistema”, non colpa nostra… Oppure si?

Non lo so, questo mi resta un grande quesito da un bel po’, e proprio non riesco a risolverlo, visto che alla fin fine si può fare i choosy, e i vizy, solo fino a un certo punto, solo fino a che effettivamente si può. E’ quando non si può più, quando si ha proprio bisogno di quei soldi per mangiare, che succedono i casini.

E di casini, da queste parti, ne sono successi tanti. Anche troppi.


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