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Ci Risiamo, Demoniache Presenze dall’altra Dimensione: la Trilogia di Poltergeist

Creato il 01 settembre 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Ci Risiamo, Demoniache Presenze dall’altra Dimensione: la Trilogia di Poltergeist

Gli statunitensi hanno sempre avuto un concetto piuttosto energico della famiglia che esportano da anni nella forma comunicazionale in cui sono più forti: il cinema. Anche una saga apparentemente innocua come la trilogia di Poltergeist è tutta incentrata sulla metaforizzazione dell'inscindibilità della più diffusa delle forme sociali. Pur riconoscendo che questo tema è uno degli architravi fondanti del genere ecumenicamente conosciuto come horror ciò che contrassegna questi tre film, a partire da Poltergeist - Demoniache presenze (1982) fino ad arrivare a Poltergeist II - L'altra dimensione (1986) e Poltergeist III - Ci risiamo (1988), è l'ideologica trattazione a stelle e strisce imperante negli yuppies anni Ottanta.

In ognuno dei tre episodi epicentro dei fenomeni paranormali casalinghi (da qui l'origine della parola di origine tedesca poltergeist che sta più o meno a intendere spostamenti di oggetti da parte di forze psichiche) è una famiglia della middle class americana. Naturalmente il legame che unisce i componenti è divinamente sancito (stesso sangue, cioè i Freeling nelle prime due pellicole) o, semmai, tollerabilmente spurio (gli zii acquisiti di Carol Anne nell'ultimo episodio).

Proprio il terzo film, compresso tra la nuova metropolitana ambientazione e il rifiuto dei precedenti genitori attoriali di prendere parte alle riprese, aggiorna sagacemente l'originale morale spielberghiana che è il fulcro della teoria di cui sopra. In Poltergeist - Demoniache presenze, infatti, il golden boy del cinema americano, scevro da esigenze registiche, si diverte a sceneggiare lo sconvolgimento di una quieta famiglia provinciale da parte di misteriose entità sovrannaturali. Queste presenze scelgono, in particolar modo, di infestare un'amena abitazione dell'idilliaco e californiano complesso di Cuesta Verde.

In set come questi (uso coscientemente questo termine perché tali ambientazioni, pur reali, conservano la plasticità cinematografica) la casa rappresenta ben più di un tetto sotto il quale proteggersi. Essa svolge le funzioni che per gli abitanti della città sono espletate dal centro commerciale, dalla sala giochi, dal cinema, dai locali e perfino dalle caserme (non si vede un tutore dell'ordine in tutta la saga né i Freeling pensano mai a richiederne un possibile aiuto). In una concezione così concentrata della dimora lo shock rappresentato dalla sua violenta manomissione è amplificato. Il male dell'altra dimensione irrompe nel tuo piccolo mondo antico, quello dove ti addormenti in poltrona con la TV accesa, per prendere i tuoi figli, il prodotto più genuino e sacro della tua eredità in questa esistenza transitoria.

È, ancora una volta, la logica metafisica del loro contro di noi, acuita da questa irruzione nella dimensione fisica più personale. Poltergeist II - L'altra dimensione, nel ruvido tentativo di differenziarsi dal capostipite, varia ambientazione e personaggi col solo risultato di smussare il solido script di base. La presenza alla regia di un mestierante come Brian Gibson dona al prodotto un alone da sottoprodotto di cassetta. Gli spezzoni spensierati che dovrebbero evidenziare la routine quotidiana dei Freeling strabordano fino a siparietti troppo insistiti da commedia per famiglie. Il personaggio dello stregone indiano Taylor è corredato di tutte le grossolane ovvietà animistiche tipiche delle sceneggiature del decennio. Purtroppo, anche il cammino spirituale di Frank trova realizzazione in due/tre scene di inspiegabile banalità. Si salvano le (poche) scene di terrore che ripudiano però definitivamente il possibile elemento perturbante (la paura di ciò che conosciamo meglio, come gli apparecchi domestici) per sfociare in elementi fantastici e orripilanti (la creatura dell'artista Hans Ruedi Giger) tipiche del genere.

Poltergeist III - Ci risiamo è, come scritto poco sopra, l'episodio che più si discosta dalla saga. Innanzitutto i fenomeni paranormali incontrollabili riguardano un intero grattacielo situato nella fredda Chicago. E poi, semmai fosse rimasto qualche dubbio, la piccola Carol Anne diventa il vero volto significante della trilogia. In questa bambina e nella sua sfortunata interprete, Heather O'Rourke, il pubblico ha visto riflessa la più zuccherosa innocenza dell'infanzia. Se in Poltergeist - Demoniache presenze lei era il migliore dei portali per ragioni anagrafiche e topologiche (tra i figli dei Freeling l'unica nata sulle spoglie del cimitero abbandonato), negli altri due è diventata la preda perfetta per via di una luccicanza bellissima e terribile per una creatura di quell'età. Il regista Gary Sherman indugia con particolare leziosità sui primi vezzi da pre-adolescente della piccola Carol Anne ma, a differenza del predecessore, non abbandona mai la strada della tensione. Nonostante un budget ridotto, la pellicola gioca con gradevole estetismo su superfici menzognere, giochi di luce, personaggi dalla doppia, malevola, faccia (spaventevole la rinascita di Dana dal corpo della sensitiva Tangina). L'improvviso decesso di Heather O'Rourke complica la post produzione del film nel momento in cui si era deciso di rigirarne il finale. La soluzione trovata lascia, come sempre in questi casi, l'amaro in bocca: una controfigura viene ripresa solo da lontano, abbracciata agli zii appena dopo una veloce liberazione. Una media famiglia americana può sopravvivere agli spiriti maligni, ma non può nulla contro la fatalità.


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