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Ciajkovskij .P.I & Nadieshda Filaretovna von Meck (prima parte)

Da Sergio Celle
Pyotr Ilyich Ciajkovskij  Nadieshda Filaretovna von Meck
L’epistolario (quando la lettera scritta sostituisce il suono della parola e unisce due anime)

Ciajkovskij .P.I & Nadieshda Filaretovna von Meck (prima parte)

Nadieshda Filaretovna von Meck 1875

“Sa mio caro Peter Iljic (lettera del 22 gennaio 1878), da gran tempo questa nostra non comune simpatia reciproca, questa concordanza di idee davvero incredibile, quale si rivela in ciascuna delle nostre lettere, mi riempie l’animo di stupore. Una simile affinità di nature è rara anche fra parenti strettissimi. Oh Dio, com’è bello avere almeno una persona al mondo alla quale ci si possa confidare! In questo stato di felice abbandono come tutto, anche il male, diventa tollerabile e non impedisce di sentirsi contenti...Ha mai amato lei, Peter Iljic? Ne dubito. Ama troppo la musica per poter amare una donna. So di un episodio amoroso della sua vita, (riferimento alla cantante Désirée Artot - aggiunta personale non presente nella lettera) ma credo che il cosiddetto amore platonico (Platone del resto non ha affatto amato in tal modo), sia soltanto amore a metà; unicamente amore della fantasia, non del cuore; non quel sentimento che investe corpo e sangue dell’uomo, che solo lo mette in grado di vivere.”

Ciajkovskij .P.I & Nadieshda Filaretovna von Meck (prima parte)

P.I.Ciajkovskji -Mosca 1876- 

“Lei mi chiede, cara amica, se io conosco l’amore terreno. Sì e no. Se si volesse porre la domanda altrimenti e chiedere se nell’amore ho trovato la pienezza della felicità, allora dovrei rispondere: no, no, no, tre volte no!!! Credo del resto che anche la mia musica dia una risposta a questa domanda. Ma quando lei mi chiede se conosco tutta la pienezza, tutta la forza inesauribile dell’amore, allora debbo rispondere: sì, sì, sì, tre volte sì! Ripeto che ho più volte tentato di esprimere nella mia musica il tormento e la beatitudine dell’amore. Se questo mi sia riuscito, non lo so, lo devono giudicare gli altri. Non sono però del suo parere su un punto, quello che la musica non sia capace di rendere la forza universale dell’amore. Al contrario, la musica soltanto può farlo. Lei dice che questo può avvenire soltanto attraverso le parole. Oh no! Proprio per questo non occorrono parole. Laddove esse vengono a mancare subentra in tutta la sua pienezza un linguaggio più eloquente: la musica. Anche il discorso ritmico, ossia della poesia, con la quale i poeti glorificano l’amore, non è altro che un addentrarsi nel dominio riservato alla musica. Non appena le parole prendono forma di poesia, non sono più soltanto tali, si sono già trasformate in musica. La miglior prova che la poesia in glorificazione dell’amore sono assai più musica che semplici parole la trovo nel fatto che, molto spesso, tali poesie non hanno un senso immediatamente afferrabile (penso a Fet,- poeta russo - un mio prediletto). Invece, al contrario di quanto sembrerebbe, versi di quel genere non soltanto hanno un significato, ma racchiudono pensieri profondi, di natura però puramente musicale [...]”

Peter Ilich Ciajkovskij, terzo di sette figli nasce a Votkinsk nel 1840, da  Aleksandra Andreevna d'Assier, di nobili origini francesi ma nata a San Pietroburgo; donna mite e riservata, amante dell’opera lirica e sinfonica, nonché discreta pianista, educa subito Peter alla musica; il padre, Ilja Petrovic è ingegnere e dirige una miniera a Votkinsk nel governatorato di Vjatka, non lontano dagli Urali, dove Peter viene al mondo. I genitori hanno idee diverse sull’avvenire del terzo figlio, la madre sogna per Peter il palcoscenico musicale, quando il padre invece lo indirizza agli studi di giurisprudenza. Dopo i corsi superiori di diritto, equivalenti alla nostra università, Peter entra nella carriera degli impieghi governativi, ma coltiva intanto la musica col maestro del conservatorio di Pietroburgo: Nikolaj Ivanovič Zaremba per la composizione, lo Stiehl per l’organo, A.Rubinstein, fondatore dello stesso conservatorio nonché pianista di fama internazionale, per il pianoforte e infine, il nostro grande C.Ciardi per il flauto.Dopo aver conseguito il diploma musicale con alto merito, lascia definitivamente l’impiego statale per quello che sarà per sempre, nel bene e nel male, il destino della sua vita: la musica. A spingerlo verso questa definitiva decisione, è l’amore appassionato che egli nutre da sempre verso le opere di quello che lui considera essere quasi un dio, soprattutto a causa del Don Giovanni: W.A.Mozart. Quest’opera lo accompagnerà dai primi anni della giovinezza fino all’ultimo periodo della sua attività musicale e rappresenterà per lui il vertice di ogni forma creativa.Nel 1866, con l’aiuto dell’allora direttore Nicolaj Rubinstein, fratello minore di Anton, viene nominato professore d’armonia al conservatorio di Mosca, posto che tiene soltanto fino al 1877, anno della crisi per un matrimonio fallito e della svolta per la conoscenza virtuale di una nobildonna moscovita: Nadieshda Filaretovna von Meck; pur ottenendo elogi e riconoscimenti per alcune opere musicali, come il concerto per piano nr1 in Sib minore, la carriera di docente non soddisfa il carattere inquieto del maestro, anzi lo deprime, e a questo fa da corollario una vita privata poco esaltante che si può riassumere in un matrimonio infelice rotto a distanza di pochi mesi, alle condizioni finanziarie assai disagiate e, più di tutto, la tendenza innata alla malinconia, che lo rendono amaro, sdegnoso e malato di nervi: situazione precaria sia fisica che psicologica, che cerca di distrarre con viaggi in Svizzera e in Italia, senza ottenere un concreto beneficio.
“Sono molto cambiato, da quando ci vedemmo l’ultima volta, - scrive ad un amico dopo circa dieci anni di soggiorno a Mosca. – non c’è più nemmeno la traccia del mio umore allegro di un tempo, quando ero sempre in vena di fare scherzi. La mia vita è ora orrendamente monotona e vuota: comincio a pensare seriamente al matrimonio. L’unica cosa che sopravviva inalterata in me è il piacere che provo a comporre. Così, se non fossi condannato ad incontrare ad ogni passo ostacoli continui e noiosi, per esempio le lezioni al Conservatorio che di anno in anno mi nauseano sempre più, potrei senza dubbio produrre qualcosa di notevole. Ma ahimè, sono incatenato alla scuola.”
La vera svolta a questa malevole situazione avviene per soccorso del destino:
fra gli allievi del conservatorio Ciaikovskij novera un certo Iosifovich Kotek, violinista russo (1855-1885) che ben presto diventa suo prediletto in composizione e poi amico intimo. Fra il maestro e l’allievo intercorrono quindici anni di età che non impediscono loro di aver un rapporto più che intimo fino alla morte del violinista. In questo periodo Josifovich gioca inconsapevolmente un ruolo molto importante, anzi, decisivo per la carriera musicale di Ciaikovskij: ci avviciniamo al 1877, e il trentasettenne Peter Iljic.C, si trova ancora a Mosca in qualità di insegnante di composizione al conservatorio. Fato vuole che il giovane violinista Kotek, abbia una specie d’impiego fisso presso la baronessa (titolo nobiliare acquisito) Nadjeshda Filaretovna von Meck, (1831-1894) ricchissima dama della società moscovita che nutre un amore appassionato per la musica, tanto da essere essa stessa una valente pianista. A giorni prestabiliti riceve il giovane Kotek per eseguire trascrizioni musicali per violino e pianoforte. Kotek le parla di Ciaikovskij, della triste e penosa situazione in cui egli si trova per essere un talento musicale fuori del comune. La baronessa d’indole generosa manifesta il desiderio di conoscerne le composizioni e ben presto si accende di così forte entusiasmo per quella musica piena di svolte sentimentali, da decidere di aiutare il compositore. Tramite il giovane violinista, chiede a Ciaikovskji, offrendogli un generoso compenso in rubli, di trascrivere per violino e pianoforte alcune sue composizioni. Da questo fatale preludio nasce un rapporto epistolare che nel tempo diverrà sempre più intimo e personale. Un rapporto singolare che durerà tredici anni, in cui uno non udrà mai la voce dell’altra, ma che giorno dopo giorno aprirà i cuori dei protagonisti, fino ad accendere sentimenti passionali non condivisi, nell’essere della sensibile e generosa signora. Infatti, è proprio la signora Nadjeshda a porre questa singolare condizione: mai egli dovrà fare il tentativo di conoscerla personalmente. Di buon grado il musicista acconsente al suo desiderio e i due non si scambieranno mai una sola parola.
Ecco la prima lettera: Mosca , 18 dicembre 1876
“Egregio Peter Iljic! Mi permetta di esprimerle la mia sincera gratitudine per dato così sollecito seguito alla mia richiesta. Ritengo inopportuno dirle quale senso d’incanto abbia destato in me le sue composizioni, perché ella è certamente avvezzo a ben altri omaggi e l’ammirazione di una creatura insignificante quale son io nel campo musicale, non potrà che sembrarle ridicola. Tuttavia, questa passione per la musica rappresenta per me un bene tanto prezioso che non permetto a nessuno di riderne. È tutto quanto le voglio dire, pregandola di credermi. In compagnia della sua musica, vivere diventa più facile e più piacevole”. 
Ciaikovskji, allora risponde: Mosca, 19 dicembre 1876
Egregia Nadjeshda Filaretovna!La ringrazio di cuore per le amabili e lusinghiere parole che mi ha scritto. A un musicista come me, che ha incontrato tanti insuccessi e tante delusioni, è di grande conforto sapere che esiste un piccolo numero di persone come lei, così fervidamente e sinceramente appassionate per la sua arte.”
Due mesi più tardi, facendo seguire una nuova ordinazione, la signora von Meck scrive fra l’altro:
“Le racconterei molto, moltissimo a proposito della mia fanatica ammirazione per lei, se non temessi di abusate del suo poco tempo libero. Le voglio dire soltanto che una tale passione, per quanto possa apparire insensata, mi è cara come il più sublime di tutti i sentimenti di cui sia capace la natura umana. Mi consideri pure una visionaria, una pazza forse, ma non rida di me.”
Immediatamente il musicista risponde: 
“Mi dispiace che lei non mi abbia detto tutta quanto aveva nel cuore. Le assicuro che sono profondamente toccato dai suoi sentimenti poiché anch’io provo per lei la più calda simpatia. Non sono soltanto parole: la conosco meglio di quanto forse ella non creda. Se un bel giorno si decidesse a scrivermi tutto ciò che ha da dirmi, le sarei molto grato…”
Dopo soltanto due settimane la gentile signora scrive: 
Mosca, 7 marzo 1877 
“Egregio Peter Iljic! La sua cara risposta alla mia lettera mi ha procurato una gioia quale non provavo da tempo..Eccomi ora a lei con una fervida preghiera che potrà forse sembrarle strana. Ma un individuo che come me conduce vita da eremita, viene naturalmente a trovarsi in uno stato d’animo per cui convenzioni sociali, regole di buona creanza e cose del genere sembrano concetto vuoti di senso. Non so in realtà come la pensi lei, la prego vivamente di dirmelo con franchezza e di respingere la mia istanza. Ecco che cosa vorrei: la sua fotografia. Posseggo già due suoi ritratti, ma vorrei riceverne uno proprio da lei. Mi piacerebbe ricercare sul suo volto le tracce delle ispirazioni e dei sentimenti sotto il cui influsso ella compone quelle opere capaci di rapirci in un mondo di sensazioni e di aneliti collocati al di là di quanto la natura può offrire. Quale godimento e quanta nostalgia suscita la sua musica! La prima delle sue opere orchestrali che ebbi occasione di ascoltare fu La Tempesta. È impossibile descrivere le sensazioni evocate in me da questa musica. Per giornate intere mi sentii come in preda alla febbre senza che riuscissi a liberarmi da un tale Considero il musicista una creatura superiore e sebbene a tal riguardo abbia sofferto non poche delusioni, questa convinzione è ben radicata nel mio animo, profondamente. Come mi fui riavuta dalla prima violenta impressione suscitata in me dalla sua opera, provai l’impellente desiderio di sapere che razza di uomo fosse colui che aveva composto una tale musica. Ci fu un tempo che avrei voluto tanto conoscerla di persona, Ma ora che subisco così intensamente il suo fascino, temo un incontro. Se un giorno dovessimo per avventura conoscerci, non potrei comportarmi con lei come un estraneo, non potrei stringerle la mano senza profferir parola. Preferisco quindi pensare a lei da lontano… Ho ancora una preghiera da rivolgerle: nella sua opera Opricniki c’è un passaggio che mi rende addirittura pazza ogniqualvolta l’ascolto. Per tale musica che esprime la sublimità della morte, mi sentirei capace di dare la vita. Se ne ha voglia, faccia con tali motivi, una marcia funebre per me, e precisamente per pianoforte a quattro mani. Se la mia richiesta dovesse però riuscirle inopportuna, sia come non detto. Mi dispiacerebbe certo, ma non ne sarei offesa. Vorrei inoltre pregarla di permettermi di omettere nelle mie lettere simili formalità come: “egregio”. Non sono di mio gusto. E prego lei di fare altrettanto nelle sue. Non rifiuterà, nevvero?”
Peter si sottomette a queste condizioni e risponde subito:
“Già la circostanza che soffriamo entrambi dello stesso male ci avvicina l’uno all’altra. Questo male si chiama misantropia…Ci fu un tempo in cui questa malattia mi faceva soffrire a tal punto da farmi perdere la ragione…Fu il lavoro a salvarmi, il lavoro che è per me necessità e godimento a un tempo.”
Quanto alla Marcia Funebre che ha ordinato, N.Filaretovna e fuori di sé dalla gioia:
“La sua Marcia è talmente splendida che mi ha fatto sprofondare in una specie di follia, in un stato in cui si dimentica tutto quanto la vita ha di amaro e di deprimente. Non è possibile descrivere quali sensazioni caotiche suscitano nel mio cuore e nella mia mente le note di quel lavoro. I miei nervi tremano, vorrei piangere, vorrei morire, anelo a un’altra vita; non a quella cui credono gli uomini, ma un’altra, superiore ed inafferrabile. Il sangue pulsa nelle tempie, il cuore batte, davanti agli occhi cala un velo nero e soltanto l’orecchio ascolta rapito le magiche note di quella musica…Oh Dio! Com’è grande l’uomo che può donare a un altro una simile beatitudine…Com’è bella la sua Francesca da Rimini! Esiste un altro, capace di rendere meglio l’orrore dell’inferno e l’incanto dell’amore?”
Ma chi è, dunque, questa signora von Meck, chiamata dal destino a rappresentare una parte così determinante nella vita del nostro musicista? Da innamorarsi della sua musica a tal punto da diventarne, prima generosa mecenate e poi musa ispiratrice?
Nadjeshda Filaretovna von Meck
N.F.von Meck, figlia di un possidente russo, ha nove anni più di Ciaikovskji. A diciotto va sposa a Karl Georg von Meck [...]
la parte seconda sarà dedicata anche alla conoscenza di questa sensibilissima figura femminile…...la musica non è che l'arte di adattare pensieri ai suoni...
 
 ...un compositore di musica, è come 'il sognatore', generalmente considerato una persona non viva, quando è soltanto un essere assente; egli vive all'interno con una concentrazione talmente intensa di vita, che all'esterno non ne traspare più nulla...

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