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Ciao, mi chiamo Mr. Ink e la mia dipendenza dura ufficialmente da tre anni. Però tu chiamalo, se vuoi, blogversary.

Creato il 07 gennaio 2015 da Mik_94
Ma non penso che sia un darsi per scontati, solo che nei lunghi rapporti di amicizia, dopo tanto tempo, può capitare. Non trovare le parole per esprimere certe cose, non sfoggiare particolare originalità nel dirsi, una volta all'anno, tanti auguri. Quel messaggio speciale, studiato a puntino e inviato allo scoccare preciso della mezzanotte, arriva in occasioni speciali. Come quando si festeggiano i diciott'anni, che – è risaputo – sono speciali di loro. Ci si ingegna come si può, si scopiazza qualcosina su Pensierieparole.it, si condisce il tutto con cuori, punti esclamativi e smile – sapete che io odio abusi simili, ma a volte non è mai troppo, no? - e si finisce con un ti voglio bene; con un augurio di felicità. Dopo i diciotto, arrivano i diciannove, i venti e neanche per il tuo migliore amico, chessò, meritano poi troppa attenzione. Nel senso: bastano gli auguri e via, senza pensieri. Il ti voglio bene magari resta e resta l'sms al mattino, finché a restare è il pensiero dell'altro. Quando si passa al commentino in bacheca, quando è Facebook a ricordarci le date e le persone, allora una cosa si è rotta e un filo si è teso e strappato. Così la penso io. Questo, per dire che oggi facciamo tre anni; per dire che sì, io me lo ricordo eccome. Uso il plurale, perché senza voi Diario di una dipendenza sarebbe davvero una casa vuota. A tre anni, un bambino ha già imparato a camminare ma continua a farla barbaramente nel pannolino. Tre anni e, come recitava il titolo di una commedia francese, finisce l'amore. I miei tre anni su Blogger sono la relazione più lunga, o quasi, della mia vita. Un proposito per l'anno nuovo, quando correva il 2012 e il calendario Maya minacciava tutti con la sua idiozia e i suoi best seller abominevoli, e l'idea di un blog sembrava un impegno troppo grande per me. A diciassette anni – ma anche adesso – cosa non è spaventoso e grandissimo, poi? Ho perso chili e ho guadagnato (pochi) centrimetri in altezza, mi sono fatto i capelli diversi e ho comprato un comodino nuovo. Nelle foto mi sono scoperto sorridente. Più magro o più alto, più sicuro o più adulto, nella casa in cui sono cresciuto o altrove, nell'appartamento universitario che mi ha visto ripetere a voce alta fino a tardi e fare ogni tanto disastri ai fornelli – chi lo sapeva che gli spaghetti avevano un tempo di cottura minore, dico io? -, un libro in mano ce lo avevo sempre. Alcune cotte non passano, e non passa neanche Diario. Sono orgoglio di noi. Forse, per questo, quando tutti si lamentavano a voce alta di che pessimo anno fosse stato quello che abbiamo appena visto andare via, io – che eppure ho una annale carriera di lamentatore part time – non avevo rimpianti. Mi sono fatto un tatuaggio sul polso, ho dato sette esami più due, ho ottenuto una gran bella borsa di studio, ho adottato un gatto randagio. Sul polso, però, l'inchiostro mi ha lasciato due virgolette; se all'università va tutto per il meglio e perché faccio una cosa che mi piace, e ho scoperto che mi piace grazie a questo posto qui; per Ciro, il gatto... Be', nulla che abbia a che fare con i libri. In realtà, l'ha portato a casa mio fratello e non ero neppure nei dintorni, quel giorno. Mai letti romanzi con gatti in copertina, che tra l'altro mi stanno anche antipatici. Ma ogni storia di crescita che si rispetti, immagino, si merita come comprimario un fratello biondo, lunatico, indisponente e gattaro nell'anima, o facciamo anche finta di sì. E pare che questa, di storia, stando a oggi, si meriti ottocentosedici lettori qui e mille e quattordici sulla pagina fan, e – miracolato - non mi pare di meritarmi niente perché io così tanta gente neanche la conosco, pure sommando asilo, elementari, medie, superiori e università. Tre città, traslochi immuerevoli, una manciata di vite. Sinceramente, non so se la cosa mi renda malinconico, patetico, poetico, vagamente disperato come fossi un altro protagonista di Her – in caso, non sarebbe male, dai – ma, finché ci sarete, ci sarò. Battete un colpo, se ascoltate. Anche se non c'è tra voi una Scarlett Johansson, non fa niente. Su. Battete un colpo lo stesso.
Ché siamo una bella storia. 

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