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Cibo e nativi nordamericani 3

Creato il 01 febbraio 2015 da Davide

Plains.

Le Grandi Pianure del Nord America si estendono dal Saskatchewan in Canada fino quasi al Golfo del Messico e dal meridiano 100 a est fino alle Montagne Rocciose. Per molti autori esse comprendono anche le cosiddette Praries (praterie) ma per motivi cultural-alimentari preferiamo suddividere tenere separate le due zone. Le Grandi Pianure si dividono a loro volta in tre zone: nella parte occidentale c’è la zona semiarida caratterizzata d scarse precipitazioni e da una vegetazione composta soprattutto da erba bassa (shortgrass prarie).
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Bisonte a T. Roosevelt Park, ND. Foto di Sandra Busatta


Nella parte centrale vi è la zona di transizione, detta mixed prarie, la cui ampiezza varia a seconda del tempo e delle precipitazioni. Nella zona orientale, la zona sub-umida caratterizzata da umidità relativamente elevata e cieli coperti, prosperano le erbe alte (tallgrass prarie). Nelle Grandi Pianure il clima è piuttosto estremo; le precipitazioni variano da 25 cm l’anno nella zona della shortgrass a 112 cm l’anno nella zona della tallgrass e l’escursione della temperatura in un anno più essere anche di 55 gradi Celsius. Questa zona (come anche la zona delle Praries) che non frappone nessuna catena montuosa ai venti che corrono dall’Artico al Golfo del Messico e viceversa è la classica zona dei tornados, la Tornados Allee. Le Grandi Pianure furono il regno del bisonte che le dominava in grandi mandrie. Per secoli le Grandi pianure furono praticamente disabitate sia per la scarsità d’acqua (il cosiddetto Grande Deserto Americano) che per la scarsità di alberi che crescevano solo lungo dei fiumi, affluenti del Mississippi. Solo con l’arrivo del cavallo europeo le pianure cominciarono a popolarsi e i gruppi che vi arrivarono si trasformarono da orticultori-raccoglitori a cacciatori nomadi di bisonti.
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Accampamento Arapaho con carne di bisonte stesa a seccare al sole, Kansas, 1870.


L’arrivo del cavallo portò però una maledizione: le erbe che nutrivano i bisonti non erano adatte per i cavalli, perciò man mano che i cavalli prendevano piede e con essi le erbe europee come il trifoglio, man mano si restringevano i pascoli dei bisonti e le mandrie si assottigliavano. Un altro problema era il tipo di caccia che veniva praticato. Molti avranno sentito che i NA utilizzavano tutto del bisonte, ma viene trascurato il dettaglio che il bisonte in questione era femmina, del bisonte maschio si utilizzava solo la pelle della schiena per farne scudi o altre parti per motivi cerimoniali, ma la carne troppo coriacea non veniva mangiata (a parte la lingua). Perciò i cacciatori si concentravano sulle vacche e soprattutto sulle vacche incinte che erano più lente e più facili da colpire: il feto del vitello era inoltre una leccornia.
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Accampamento nelle Grandi Pianure. Dipinto di George Catlin.


Benché il bisonte rimanesse la principale fonte di cibo per gli indiani delle pianure, anche il cervo, il daino, l’antilocapra, l’antilope, l’orso e gli altri animali di piccola taglia non venivano disprezzati e fornivano un po’ di cibo alternativo quando la grande mandria di bisonti che nutriva la tribù cambiava la sua rotta migratoria. In genere i bisonti venivano uccisi in una grande caccia annuale collettiva che si teneva in agosto. Come tutte le popolazioni che sono sempre sull’orlo della carestia, anche gli indiani delle pianure uccidevano una quantità di animali spropositata rispetto alle loro esigenze alimentari; un metodo classico in uso anche prima dell’arrivo del cavallo era di far imbizzarrire una mandria e portarla a schiantarsi giù da un dirupo (piskun).
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Un Piskun o "salto del bisonte" (buffalo jump)


A quel punto donne e bambini si avventavano sulle carcasse e ne prendevano le parti migliori, il resto era lasciato ai coyote e agli avvoltoi. Come tutti i popoli cacciatori a livello tecnologico mesolitico e neolitico, la conservazione del cibo era un affare serio. In genere subito dopo la grande caccia la carne era tagliata in strisce molto sottili e stesa a seccare al sole in appositi stenditoi; se la tribù era fortunata il tempo era clemente e la carne seccata veniva stoccata o trasformata in pemmican, se la tribù era sfortunata bastava un acquazzone estivo (molto frequenti nella zona) per far marcire tutta la provvista invernale e decretare un inverno di fame e morte.Cibo e nativi nordamericani 3

Affumicatura della carne di bisonte per preparare il pemmican.

Dal punto di vista dei vegetali le uniche piante utilizzate erano le bacche che erano un ingrediente standard per il pemmican. Ad esse si aggiungevano le radici e nel caso di tribù adiacenti alle aree delle praries o del sudovest erano acquistati mais, fagioli e zucche attraverso i commerci o con spedizioni di guerra. Il pesce, benché presente nei fiumi, non era mangiato.
Il cane non era utilizzato nella cucina di tutti i giorni, ma in genere solo in occasioni speciali. Presso i Cheyennes per esempio la società guerriera dei Dog Soldiers aveva il privilegio di poter uccidere un cane grasso e di servirlo bollito durante le loro feste, il che significa che, se era un privilegio, il cane non veniva mangiato regolarmente.
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Dog Soldiers Cheyenne


Analogamente I Dakota e i Lakota mangiavano carne di cane in occasioni particolari (e ovviamente in periodi di carestia), ma non la consumavano abitualmente; avevano invece dei taboo contro la carne di lupo e coyote. Per i Comanche, invece, la carne di cane era un tabù. Lewis e Clark testimoniano che fu offerta loro carne di cane presso i Paiutes, i Wah-clel-lah Indians (un ramo dei Watlatas), i Clatsop, i Nez Perce ( popoli che abitavano nel Plateau), i Teton Sioux (Lakota) e gli Hidatsas, ma dobbiamo considerare che il loro arrivo era considerato dai loro ospiti indiani un evento importante, visto che era una spedizione ufficiale del Governo americano e che portavano doni e proponevano dei trattati, da celebrare con “pranzi di gala” e non con la cucina “casalinga” di tutti i giorni.
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Dog Soldier a un pow-wow. Foto di Sandra Busatta


Praries.

Possiamo dividere le Praries in due sottozone, la regione dei Grandi Laghi e quella delle praterie vere e proprie. Nella zona delle pianure vere e proprie che coincide più o meno con quella della tallgrass le precipitazioni più abbondanti favorirono la presenza dell’orticoltura.
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"Proteggendo i campi" dipinto di John Eastman


Il ciclo stagionale era suddiviso in modo da coordinare sia la caccia al bisonte che era per molte nazioni la fonte di cibo primaria, che l’agricoltura che in molti casi forniva almeno la metà della dieta. I principali prodotti dell’orticoltura erano mais, fagioli e zucche, in genere coltivati dalle donne su piccoli appezzamenti di terreno che circondavano i villaggi invernali.
Va qui sottolineato che l’agricoltura come la raccolta sono nel Nord America lavoro femminile. Mais, fagioli e zucche erano coltivati insieme in modo che le zucche fornissero umidità al terreni con le loro larghe foglie, i fagioli si arrampicassero lungo gli steli del mais cui fornivano anche il prezioso azoto di cui il mais è “ghiotto” e il mais forniva il sostegno ai fagioli.
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Le tre sorelle: mais, fagioli e zuche


In genere i piccoli appezzamenti erano racchiusi da siepi di girasoli selvatici. Dopo il raccolto la tribù abbandonava i villaggi invernali di case di terra o di paglia e si spostava nella prateria vera e propria dove si trovavano i tronchi messi al riparo l’anno precedente che servivano per costruire i tepee. Le grandi pianure sono scarse d’alberi che crescono solo lungo le rive dei fiumi e ogni banda metteva al riparo i pali da tenda per poter ricostruire il villaggio estivo l’anno successivo. Le tribù stanziate sui bordi orientali del Plains facevano affidamento sulla caccia, un tempo al bisonte dei boschi, e una volta sterminato questo, su altra selvaggina in particolare il cervo e il daino e si basavano maggiormente sull’orticultura e la raccolta di bacche e radici, avvicinandosi allo stile di vita e all’alimentazione delle tribù del sudest.
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Raccolta del riso selvatico sui Grandi Laghi


Nella zona dei Grandi Laghi, invece, il riso selvatico era altrettanto importate se non più importante del mais e anche la pesca assumeva un ruolo importante nella dieta quotidiana rivaleggiando con la caccia. La pesca era spesso fatta di notte attirando i pesci d’acqua dolce con le torce. Per alcune tribù nel margine meridionale delle Prateria, tuttavia l’agricoltura (meglio dire orticoltura) era più importante della caccia come fonte di cibo.

Nordest e Sudest.

Le regioni del Nordest e del Sudest presentano caratteristiche simili dal punto di vista alimentare, fatte salve le microaree delle “regioni marittime” (Terranova e costa del Maine) a Nord e della Florida a sud. Nella parte settentrionale della zona orientale del Continente americano possiamo dire che l’orticoltura forniva almeno il 50% del fabbisogno alimentare.
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Coltivazione dei campi presso gli Irochesi, diorama, New York State Museum


Un elemento fondamentale della dieta degli indiani del Nordest fino ai Grandi laghi era lo zucchero di succo d’acero che veniva raccolto tramite incisioni sugli alberi e poi trattato, Tutt’oggi il succo d’acero è un elemento importante della dieta americana e canadese.
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Produzione del succo d'acero


Nel Sudest invece possiamo parlare quasi di vera e propria agricoltura con la presenza di grandi città permanenti, di una più complicata struttura sociale e con estensioni di terreno dedicate alla coltivazione del mais piuttosto estese per società ancora neolitiche o che avevano raggiunto l’età del Rame. Le derrate alimentari principali erano sempre mais, fagioli e zucche, ma anche frutta ricavata da piante selvatiche, come vari tipi di noci e ghiande erano importanti, tanto da essere considerate al terzo posto nella dieta alimentare.
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Cultura dei Mounds, Mississippi Historical Museum

La caccia contava quasi per il restante 50% dell’alimentazione al nord ed era comunque la seconda fonte di cibo nel sudest. Le principali prede erano il daino dalla coda bianca soprattutto nel sudest dove veniva “coltivato” col sistema del taglia e brucia; la popolazione di cervi infatti aumenta se si brucia ogni certo numero di anni il sottobosco, un fatto che non era sfuggito ai NA che utilizzavano il sistema del debbio (taglia e brucia) sia per l’agricoltura che per ampliare l’offerta di selvaggina. Oltre al cervo, all’orso, al daino e al castoro, venivano cacciati anche animali di piccola taglia come lepri, conigli, tassi e uccelli come il tacchino, il cigno, il tuffolo e vari tipi di anatre. Un piatto prelibato era la tartaruga. La pesca sia di pesci d’acqua dolce che marini (salmone dell’Atlantico, merluzzo e aringhe) era importante, soprattutto per le popolazioni costiere come pure i molluschi d’acqua dolce o i frutti di mare. Nelle zone settentrionali si aggiungeva anche la caccia alla foca e alla balena, mentre in Florida e nelle zone paludose del sudest quella all’alligatore.

Grande Bacino.

Nella parte meridionale del Grande Bacino che è dominata da zone desertiche da scarsità delle risorse, la raccolta di piante selvatiche, soprattutto pinoli (piñon) ottenuti dagli alberi di pino, era la fonte primaria di cibo, insieme alla raccolta di semi e di radici o tuberi. La caccia era solo una fonte di cibo secondaria. In particolare nella zona settentrionale e sulle Montagne Rocciose erano cacciati il cervo, l’antilope e la capra di montagna, mentre nelle zone desertiche meridionali la dieta comprendeva oltre all’onnipresente pinolo, anche il coniglio, vari tipi di roditori, serpenti e insetti, soprattutto cavallette. Sia la caccia al cervo a nord che quella al coniglio a sud erano comunitarie.

California, Bassa California e Nordovest del Messico.

La parte meridionale della California e del Messico settentrionale è una regione in cui la fauna di grosse dimensioni è altrettanto rara come nel Grande Bacino anche se della parte centrorientale della California (nella zona delle Montagne Rocciose) vi sono cervi, capre di montagna e orsi.
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Villagio dei Chumash, California.


La selvaggina era perciò generalmente composta da piccoli roditori, conigli, rettili e insetti, cui sulla costa si aggiungevano pesci, molluschi e mammiferi marini. In ogni caso anche l’alimentazione tipica di questa regione era la raccolta dei frutti di piante selvatiche come i pinoli (piñon), vari tipi di ghiande (acorns), yucca, “fagioli” mesquite, agave. Nelle zone desertiche il cibo principale era rappresentato dai fagioli mesquite e i frutti dei cactus, I fagioli mesquite erano mangiati freschi, o seccati, macinati in mortai e poi bolliti. Anche i cactus fornivano vari cibi: i frutti erano mangiati freschi o seccati e conservati, i semi erano seccati o arrostiti e veniva mangiata anche la polpa delle foglie e degli steli, mentre il succo era bevuto. Dall’agave si otteneva il mezcal, una bevanda fermentata. Per quel che riguarda il cane sappiamo che gli aztechi allevavano piccoli cagnolini (Xoloitzcuintles o Cani Nudi Messicani) che ingrassavano e mangiavano considerandoli una leccornia (come testimonia Cortez).

Sudovest.

In epoca precolombiana i popoli del sudovest (Hohokam, Mogollon, Anasazi/Pueblo) erano popoli che praticavano un’agricoltura intensiva. Il mais costituiva circa l’80% della dieta.
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Donne pueblo intente a macinare il mais. Cartolina del 1949, Autry National Center


Il mais era coltivato in varie qualità e in vari colori e i diversi colori indicavano anche in che cerimonia la farina dovesse essere usata. Il principale uso del mais era la produzione di pane, il piki (parola hopi), che si otteneva spalmando su una pietra rovente farina di mais ed acqua. Il risultato era una sorta di “carta velina” fatta di pane di mais che veniva arrotolata e riposta.
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Piki fatto con il mais azzurro. Questo piki viene usato nelle cerimonie più importanti.


Oltre al mais componenti fondamentali della dieta erano i fagioli, le zucche e i girasoli. Le donne erano padrone dei campi che però erano coltivati dagli uomini in quanto le donne passavano la maggior parte del tempo inginocchiate davanti alla pietra da macina (tecnica del metate e mano) a macinare enormi quantità di mais. Con l’arrivo degli spagnoli i pueblo aggiunsero alla loro dieta anche il frumento e ovviamente gli animali da cortile. Gli abitanti del sudovest americano erano agricoltori così efficienti che nel XIX secolo i Pima e i Maricopa riuscivano a produrre tanto mais da venderlo alle carovane di pionieri dirette in California. Anche le piante selvatiche offrivano parte della dieta dai fagioli mesquite, alla frutta secca (piñon e altri tipi di noci), ai frutti del cactus saguaro. La selvaggina nel deserto del Sudovest era scarsa e il coniglio era la specie più frequentemente catturata. Come si è detto i tacchini erano allevati solo per le loro penne. I pesci non facevano parte della dieta dei pueblo, ma erano occasionalmente presenti presso le popolazioni che vivevano lungo il Rio Grande.
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Pueblo di Zuni, campi coltivati, spedizione del 1873.


L’arrivo di popolazioni Dené dai territori del bacino dello Yukon (Navaho e Apaches) praticamente in contemporanea con i Conquistadores spagnoli da sud (e perciò con l’arrivo del cavallo) modificò in parte la situazione alimentare della zona. Questi popoli erano cacciatori nomadi e raccoglitori imposero alle popolazioni pueblo un commercio diseguale (improntato più alla razzia che allo scambio) tra prodotti agricoli e cacciagione (bisonte). Durante il XVIII secolo i gruppi di lingua Dené cercarono di convertirsi all’agricoltura, ma la caccia e la razzia rimasero la loro principale fonte di cibo, finché nel caso dei Navaho non furono sostituite dalla pastorizia, imposta manu militari dall’esercito USA.

Dal punto di vista delle ricette abbiamo visto come la maggior parte della carne e del pesce fossero mangiati o crudi o “alla griglia”, ma nel caso della carne vi era anche l’uso di conservarla seccata macinata e mescolata a bacche per dare il pemmican, un alimento così importante che per il suo monopolio si scatenò una vera e propria guerra, “La guerra del pemmican”.
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Pemmican. Foto di Sandra Busatta


Un altro piatto tipico per chi viaggia oggi nelle riserve indiane è il Frybread. Questo è un tipico piatto nato in riserva. Secondo la tradizione fu inventato nel 1864 tra i Navaho chiusi in riserva di Bosque Redondo. Nelle riserve le razioni del governo consistevano, tra l’altro, di farina, sale, zucchero e lardo (strutto). Secondo gli agenti federali la farina doveva servire a fare il pane, ma nessuno pensò ad insegnare come farlo. Il risultato fu che le donne indiane presero lo strutto lo sciolsero nella padella e vi buttarono dentro la farina impastata con acqua, sale e zucchero. Il risultato fu una specie cialda della dimensione di una padella, il cui valore nutritivo viene oggi stimato in 700 calorie e 27 grammi di grassi saturi, che veniva utilizzato per fare della specie di pizze o di tacos (Indian Tacos) aggiungendoci ogni sorta di ingredienti (dalla marmellata alle uova, dalla carne al prosciutto e ogni tipo di verdura, tutto va bene). In seguito alla farina fu aggiunto lievito. Il risultato fu ed è un vero push up di colesterolo e anche una delle cause della devastante obesità e dell’epidemia di diabete presso i NA.

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