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Cibo: stop allo spreco (ripensando la filiera)

Creato il 02 dicembre 2015 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Alimentazione , Attualità
spreco cibo
Il 30% degli alimenti viene perso tra campo e tavola

Il 30% degli alimenti viene perso tra campo e tavola. La soluzione? Ridisegnare il sistema: reti locali, mappe di domanda e offerta, nuovi stili di consumo.
Anti-economico, anti-etico, illogico, anti-ecologico. È difficile rintracciare un motivo razionale che possa giustificare un sistema agroindustriale che perde lungo la filiera un terzo del cibo prodotto ogni anno nel mondo: un’enormità pari a 1,6 miliardi di tonnellate (per capirci: immaginate 160mila Tour Eiffel). Che fa gridare vendetta agli economisti (il suo controvalore è di 400 miliardi di dollari), alle organizzazioni che combattono contro la fame (che colpisce ancora oggi oltre 800 milioni di persone), agli esperti di cambiamenti climatici (dagli sprechi alimentari deriva il 7% dei gas serra). E rende, se non risibile, quantomeno debole la proposta, sostenuta dalle multinazionali del cibo, di puntare ancor più sulle produzioni intensive.
Anche perché la Fao calcola che i sette miliardi di abitanti della Terra potrebbero contare già oggi sul 15% in più di alimenti rispetto a quello disponibile per i quattro miliardi del 1980, visto che il sistema produce 2.720 chilocalorie a testa ogni giorno.
IL PESO DELLA COLPA
La vulgata sullo spreco alimentare punta spesso il dito contro la superficialità domestica. Che ha senz’altro un peso non trascurabile e chiama ogni famiglia, soprattutto del mondo ricco, a ripensare i propri stili di consumo. Ma è pur vero che, quando il cibo arriva in casa, 4/5 dello spreco sono già compiuti: vittime di surplus produttivi che rendono antieconomiche le raccolte, fattori ambientali, limiti nei processi di trasformazione, logiche commerciali della Gdo, errori nella gestione degli imballaggi.

UNA STRATEGIA ANTISPRECHI

Una situazione intollerabile. Il lavoro da fare per riorganizzare a fondo il sistema non manca. A più livelli: dal piccolo Comune alle politiche internazionali. A voler essere ottimisti, non mancherebbero nemmeno le iniziative e i casi pratici che fanno guardare al futuro con qualche (fondata) speranza. In tutta Europa, la Commissione ha conteggiato un centinaio di progetti per ridurre gli scarti alimentari.
Il più delle volte si concretizzano in campagne di sensibilizzazione, misurazione degli sprechi, strategie di miglioramento della logistica. Le attività rivolte ai consumatori finali portano senz’altro risultati: una campagna triennale nel Regno Unito del Waste & Resources Action Programme (WRAP) ha registrato una riduzione del 13% sullo spreco familiare.
Ma è il lavoro oscuro lungo tutta la filiera a premiare di più: l’esigenza è sottolineata anche dal Pinpas (Piano nazionale di prevenzione prevenzione degli sprechi alimentari), realizzato dal ministero dell’Ambiente. Prima ancora che pensare a donazioni del cibo in eccesso o la sua destinazione per alimentazione animale e trasformazione in compost, bisogna intervenire a monte, evitando sovrapproduzioni e perdite nella fase di stoccaggio e distribuzione: cruciale in tal senso incentivare la costruzione di filiere agricole territoriali «per diminuire gli scarti legati ai passaggi che separano produttori e consumatori».

Per raggiungere l’obiettivo, il segreto è nel conoscere bene offerta e domanda dei beni alimentari in una certa regione, per organizzare meglio la distribuzione e consentire alle imprese agricole di orientarsi sui prodotti per i quali la richiesta è maggiore.



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