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CinemaSpagna 2014: “Mon Petit” di Marcel Barrena

Creato il 29 maggio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

MonPetit

E’ giunto il momento di tirare le somme. Se a Roma la settima edizione del Festival del cine español si è conclusa il 13 maggio con El Sur, capolavoro di Victor Erice riproposto alla presenza del grande Omero Antonutti, per trasferirsi poi a Milano nei giorni successivi, la nostra piacevole avventura fesivaliera si era invece completata la sera prima: ben due proiezioni, dai toni assai diversi tra loro, come efficace compendio di quella ricetta varia e spigliata che è alla base della manifestazione. Vale però la pena di togliersi un sassolino dalla scarpa. Dei due lungometraggi proiettati il 12 quello che pare sia piaciuto di più ai cinefili radicali, agli oltranzisti del cinema di ricerca, al sottoscritto è parso invece una provocazione sbiadita e anche piuttosto irritante nella durata, in sè modesta, di 67 minuti. Parliamo ovviamente di El Futuro, esempio autocompiaciuto e almeno per noi fuori tempo massimo di cinema sperimentale, che col continuo e ripetitivo ritocco fotografico delle scene di un medesimo party ha fatto affiorare, in chi scrive, la tentazione di levarsi le scarpe e lanciarle verso lo schermo.

Molto meglio, decisamente meglio, il film proiettato in precedenza: qualcuno ci accuserà (e ben venga l’accusa) di avere gusti più “popolari” del dovuto, ma è stato un piacere accodarsi al clima di empatia e di sincera partecipazione emotiva, con cui il pubblico del Cinema Farnese ha accolto la proiezione di Mon Petit. Il documentario di Marcel Barrena racconta in modo vibrante una grande esperienza di vita. Negli ultimi mesi ci è capitato più volte di vedere documentari, coinvolgenti e ben fatti, al centro dei quali vi erano sfide estreme. Pensiamo al giro del mondo in motocicletta che i bolognesi Tartarini e Monetti effettuarono nel 1957, un viaggio incredibile portato di recente sullo schermo da Roberto Montanari e Danilo Caracciolo, autori di 1 mappa per 2. Ma pensiamo anche a Desert Runners della cineasta americana Jennifer Steinman, di cui erano protagonisti gli atleti, spesso neanche professionisti, intenzionati a completare il ciclo delle quattro ultra-maratone più difficili del pianeta, oltremodo rischiose in quanto ambientate nei deserti più impervi e inospitali. Ma la sfida filmata in Mon Petit è un qualcosa che a livello di umanità va anche oltre. Perché a lanciarla è stato un giovanissimo spagnolo, Albert Casals, ridotto in sedia a rotelle da una malattia degenerativa ma capace di reagire alla propria disabilità in un modo singolare, che definire spericolato ed estremamente coraggioso può non essere sufficiente: ben presto si scopre, cioè, quel suo affrontare viaggi in solitaria nei luoghi più disparati, spostandosi con la forza delle braccia, con un’incredibile forza di volontà e con la fiducia che ci sia sempre qualche persona generosa disponibile a offrire un passaggio, lungo il cammino.

Qui lo vediamo imbarcarsi in un’impresa che sembra troppo grande persino per lui. La sua idea è quella di partire dalla Spagna quasi senza un soldo, in compagnia della sua non meno temeraria ragazza, per raggiungere alla fine del viaggio un faro posto esattamente agli antipodi, in Nuova Zelanda. Ce la farà il nostro Albert, le cui gambe sono molto spesso un peso e non un aiuto, a realizzare il suo sogno? Tra paesaggi incantevoli, luoghi poco raccomandabili, rischi tremendi per la salute, magici momenti di intimità e ostacoli d’ogni sorta, lo spettatore assiste ammirato allo svolgersi di un’avventura incredibile, in cui è possibile riscontrare tanti valori positivi. Ed è stato bello restare in sala a parlarne ancora un po’ coi direttori del festival, in un incontro col pubblico che ha visto partecipare altri ospiti graditi, tra cui un atleta di primissimo piano del campionato italiano di basket in carrozzina.

Stefano Coccia     


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