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Cinquanta Sfumature di Grigio: metafora colta di un libro scritto male

Creato il 05 febbraio 2015 da Marianocervone @marianocervone
Cinquanta Sfumature di Grigio: metafora colta di un libro scritto male In questo periodo non si fa che parlare di nuovo di Cinquanta Sfumature di Grigio, trasposizione cinematografica tratta dal romanzo omonimo di E. L. James. Ho acquistato il romanzo l’estate di tre anni fa, me lo suggerì caldamente una cara amica, dopo che fui io stesso a regalarle una copia per il suo compleanno. Così, spinto dalla curiosità del fenomeno del momento, comprai una copia anche per me. Non l’ho apprezzato, non so se perché sono un uomo, se per il fatto che sia scritto con un linguaggio molto povero, o se, di fatto, questo libro sia più orientato verso un pubblico femminile, verso tutte quelle donne che sognano il principe azzurro e, qualche volta, sperano sempre di riuscire a cambiarlo, ostinandosi a vederne soltanto il buono. La storia, benché surreale, è semplice: lei, Anastacia Steel, neolaureata poco più che ventenne, bella, intelligente e vergine (fatto che già di per sé ha dell’incredibile), conosce Mr. Grey, l’uomo perfetto: fascinoso, ricchissimo, intelligente, giovane, dotato e bravo a letto (doti che potrebbe racchiudere in sé solo Jared Leto), il quale però (qui sta la fregatura) ama il sesso violento, il sadomaso, il bondage, la dominazione. Da qui parte la storia, con la proposta, da parte di lui, di un formale contratto come “sottomessa”, contornata di scene di sesso esplicite, esperienze lussuose e lussuriose, e decisione finale se accettare o meno. Durante la narrazione il fascinoso Christian Grey mostra alla dolce Ana la sua “stanza rossa”, una camera del piacere, e di tortura, con tutti giochi fetish sessuali: da catene a borchie, dai frustini alla pelle, passando per tanti giocatoli e stimolatori sessuali. Nulla di originale, certo, un qualsiasi Harmony in edicola, contiene scene di sesso erotiche ed esplicite per casalinghe annoiate che desiderano il brivido, ma ne ho apprezzato l’idea, quella che potrebbe essere una metafora colta di un libro fondamentalmente scritto male. Sì, perché, se nel libro e nel film in questi giorni al cinema, il protagonista sente un impellente bisogno del sesso forte, nella vita reale sono tanti i partner che mettono il sé davanti al “noi”: le loro necessità, i loro spazi, quel bisogno di avere una relazione sotto controllo, quell’insita certezza di poterle porre fine proprio come un contratto qualsiasi. Senza stravolgere la loro vita, senza ripercussioni, ma con la certezza di essere liberi anche in due. Ed è questa la “camera delle torture” cui qualche volta ci si sottopone: non avere diritti, non poter chiedere, non aver nemmeno un etichetta per potersi considerare “fidanzati”, prigionieri di un limbo informe che fa male eppure ci tiene legati. Questo però accade quando vittima e carnefice coincidono: sì, perché nel romanzo della James, così come nella pellicola che vedremo nelle sale, il bruto non è Christian Grey, ma la dolce Anasstacia Steel, inconsciamente vogliosa di esplorare il suo lato oscuro, una sessualità repressa e un po’ bigotta, e al tempo stesso speranzosa di riuscire a farne a meno e far ravvedere l’uomo di cui si è innamorata. Sa che il suo è un fuoco che potrebbe bruciarla, eppure continua a stargli vicino, proprio come una falena intorno alla fiamma. La verità è che Anastacia ne è attratta per lo stesso motivo per cui noi ci facciamo conquistare da coloro che, in qualche modo, speriamo di salvare o pensiamo debbano essere salvati. Indossiamo la cuffietta da infermiera per fare la Candy Candy del momento e salvare lo sventurato di turno. Ogni sforzo, ogni sacrificio, ogni tentativo nel nome di quell’amore e di un riconoscimento che forse non arriverà mai. Perché il difficile non è trovare qualcuno che ci ami, ma trovare qualcuno che lo faccia esattamente come noi vorremmo essere amati.

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