Magazine Religione

Cinque verità sul “caso Galilei”

Creato il 10 gennaio 2014 da Uccronline

Galileo GalileiMolto interessante il recente articolo comparso su “Il Giudizio Cattolico” a firma del prof. Corrado Gnerre, docente di Storia delle Religioni e di Storia della Filosofia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Redemptor hominis” di Benevento.

La tematica è quella del noto “caso Galilei”, per molti paradigma dell’inconciliabilità tra scienza e fede. Un perfetto esempio, in pratica, da usare ogni qual volta si voglia sostenere il pregiudizio anti-cattolico della Chiesa come ostacolo della scienza e della libertà di ricerca. Eppure, Gnerre ha voluto subito precisare che «ciò che capitò a Galilei non fu causato dalla sua negazione della concezione geocentrica (il Sole che gira intorno alla Terra) quanto dal fatto che la sua posizione si faceva sostenitrice di un nuovo modo di concepire la scienza, un modo in cui la scienza stessa sarebbe potuta divenire l’unica ed esclusiva lettura della realtà». Ovvero, la trasformazione della scienza in scientismo. Non a caso, come spiegato dal celebre filosofo della scienza (laico) Paul Feyerabend, la Chiesa, esigendo da Galileo delle prove a sue sostegno prima di presentare come verità le proprie tesi sul moto della terra, intimandogli in alternativa di parlare di semplice “ipotesi”, aveva le sue buone ragioni: «La Chiesa all’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo», disse.

Basandosi sul testo di Enrico Zoffoli, “Galileo” (Roma 1990), il prof. Gnerre ha voluto sfatare alcuni luoghi comuni sul “caso Galilei”, che abbiamo sintetizzato in cinque punti.

 

1) LA CHIESA NON TEMEVA LA TEORIA ELIOCENTRICA.
Galileo non ebbe problemi con la Chiesa per la teoria eliocentrica (la Terra ruota intorno al Sole), anche perché già quattro secoli prima di Galilei, san Tommaso d’Aquino (1225-1274), disse che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva. Copernico (1473-1543), astronomo polacco e perfino sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galilei, aveva sostenuto la concezione eliocentrica e la gerarchia ecclesiastica, compresi pontefici come Leone X e Clemente VII, si mostrarono aperti alle sue tesi (nessun “caso Copernico”). Infatti, nell’Università di Salamanca, proprio negli anni di Galilei, si studiava e si insegnava anche la concezione copernicana e lo stesso Galilei ne era consapevole: «(Il trattato di Copernico) è stato ricevuto dalla santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa ombra di scrupolo nella sua dottrina (…)», scrisse a Cristina di Lorena. Il rifiuto verso l’eliocentrismo proveniva invece dal mondo protestante, sono noti gli insulti di Martin Lutero a Copernico: «Cadde un giorno il discorso sopra un astrologo moderno il quale voleva dimostrare che la Terra si muove e non già il cielo o il firmamento col Sole e con la Luna, (…) Ma le cose adesso vanno così: chi vuole apparire savio e dotto non deve approvare quello che fanno gli altri, ma deve fare alcunché di singolare e tale che a suo credere nessun altro sia capace di fare. Il pazzo vuole rovesciare tutta l’arte astronomica».

 

2) IL “CASO GALILEO” E’ DOVUTO A PROBLEMI DI FILOSOFIA DELLA SCIENZA.
Galilei sosteneva l’eliocentrismo basandosi su una “prova” sbagliata: in una lettera al cardinale Orsini affermava che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe stata provata dalle maree. I giudici però contestarono questa “prova” e dissero, giustamente, che le cause delle maree dovevano ricercarsi in altro. Eppure Galilei pretendeva presentare l’eliocentrismo non come ipotesi ma come una tesi comprovata, mentre San Roberto Bellarmino (1542-1621), che svolse un ruolo importante nel processo a Galilei, lo invitava a fare l’opposto senza che rinunciasse alla convinzione eliocentrica. Così scriveva Bellarmino in una lettera del 12 aprile del 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: «Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare “ex suppositione” e non “assolutamente”, come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (…) Dico che quando ci fusse “vera dimostrazione” che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra, ma la Terra circonda il Sole, all’hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra». Bellarmino, d’altra parte, nel 1571 (cinquant’anni prima), scriveva nelle sue Praelectiones Lovanienses: «Non spetta ai teologi investigare diligentemente queste cose (…). Possiamo scegliere la spiegazione che ci sembra più conforme alle SS. Scritture (…). Se però in futuro sarà provato con evidenza che le stelle si muovono con moto del cielo e non per loro conto, allora dovrà vedersi come debbano intendersi le Scritture affinché non contrastino con una verità acquisita. È certo, infatti, che il vero senso della Scrittura non può contrastare con nessun’altra verità sia filosofica come astronomica (…)».

Proprio in questi giorni Guy Consolmagno, gesuita, astronomo ed ed presidente della Division for Planetary Sciences della American Astronomical Society, oggi ricercatore alla Specola Vaticana, ha spiegato che «il caso Galileo è interessante perché si è svolto in un momento in cui la Chiesa e la scienza erano la stessa cosa. Chi stava facendo scienza in quei tempi? I sacerdoti delle università. Quando Papa Urbano VIII ha criticato Galileo, non lo ha fatto in quanto Papa, ma dal punto di vista di un filosofo di professione, che aveva studiato le stesse cose di Galileo».

 

3) GALILEI NON SUBI’ ALCUNA TORTURA
Galilei non subì nulla di eclatante a differenza di quanto molti pensano. Alcuni sondaggi dicono che la stragrande maggioranza degli studenti europei crede che Galilei subì torture e che fu addirittura arso vivo. Eppure fu condannato a recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali e a permanere nel Giardino di Trinità dei Monti (alloggio con cinque camere, vista sui giardini vaticani e cameriere personale); poi nella splendida Villa dei Medici al Pincio; quindi a Siena presso l’amico e arcivescovo Ascanio Piccolomini, in seguito a Firenze nella sua casa di Costa San Giorgio e, infine, nella Villa di Arcetri, presso il Monastero delle Clarisse di San Matteo dove vivevano le sue due figlie suore. In particolare Virginia, molto attaccata al padre, non avrebbe mai fatto tale scelta se il padre fosse stato maltrattato. Galilei, che rimase sempre devoto cattolico, poté continuare a pubblicare e a curare l’amicizia di vescovi e scienziati; e proprio dopo la condanna pubblicò l’opera più importante, Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze. Morì ad Arcetri l’8 gennaio del 1642, assistito da discepoli come Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli; morì con i conforti religiosi e finanche con l’indulgenza plenaria e la benedizione del Papa.

 


4) IL “CASO GALILEI” VA COLLOCATO NEL CLIMA DEL XVII SECOLO.

Il processo a Galilei si può capire solo collocandolo all’interno del XVII secolo, se egli fosse vissuto in pieno XIII secolo non avrebbe avuto i problemi che ebbe. Nel XVII secolo, infatti, non ci si riferiva ad Aristotele in modo critico, selezionando e discendendo (come invece riuscì a fare la Scolastica e in particolar modo san Tommaso), bensì pedissequo: Aristotele doveva essere accettato integralmente, anche per quanto riguardava la sua visione cosmica. Inoltre, c’era stato da poco (meno di un secolo) lo scoppio del Protestantesimo, imperversavano le guerre di religione e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla. Tutto questo portò, per reazione, anche alcuni ambienti cattolici ad un atteggiamento di protezione letteralistica della Bibbia stessa.

 

5) MAI DISSE “EPPUR SI MUOVE”
La famosa frase che campeggia su buona parte dei libri scolastici, e cioè che Galilei avrebbe detto “eppur si muove”, in realtà non fu mai pronunciata. Fu inventata da un giornalista italiano, Giuseppe Baretti, a Londra nel 1757. Una frase ad effetto, che doveva servire per creare il mito di una chiesa arroccata nel suo oscurantismo e quindi incapace ad aprirsi al progresso delle conoscenze scientifiche.

 

E’ giusto, concludendo, avere un atteggiamento critico verso il comportamento generale di molti uomini di Chiesa nel “caso Galilei”, ma occorre guardare alla vicenda con uno sguardo onesto e non strumentale come purtroppo viene sempre fatto. Solo in questo caso si riescono a contestualizzare gli eventi e, di conseguenza, a ridimensionarli alla loro giusta importanza.

La redazione


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :