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Cita-un-libro #ioleggoperché 6

Creato il 22 marzo 2015 da Povna @povna

La settimana dell’etica (da un’idea, splendida come sempre, di Iome, e assai notevoli risultati nei risvolti) è stata anche la settimana della fatica, per la ‘povna. I dati parlano da soli, e pure bastano, e recitano cinque giorni lavorativi su cinque di coast-to-coast, almeno dalle otto alle otto (con una punta di rientro a casa alle 22.15), un giorno libero trascorso parzialmente a scuola comunque, alcuni accadimenti non proprio piacevoli di cui ha detto, alcuni su cui preferisce trasvolare, e un finale in cui ci scappa il morto: il giorno prima, in sala da Spersa, e quello dopo dalla ‘povna a scuola. La ‘povna, nonostante tutto, ha lavorato come un mulo e ha stretto i denti: aiutata dalla comunità amicale, che in questi casi fa come sempre tanto, dalla consapevolezza che voleva portarsi avanti (in vista di due settimane future diversamente mobili), ma soprattutto dal fatto che sapeva che cosa le teneva in serbo il fine settimana. Che recitava “visite” – nella forma di 36 ore nella piccola città da parte di Spersa e dei ramarri, un viaggio organizzato da tempo, voluto fortemente da entrambe (che cominciano a rimpiangere di non vivere non si dice sullo stesso pianerottolo, ma per lo meno non a 400 km, un giorno sì, e anche quell’altro), difeso con le unghie e con i denti. E così, nonostante tutti gli innumerevoli casini, la ‘povna a un certo punto, ieri, si è infilata su un treno del ritorno, è volata a casa, ha chiamato la sua amica, e finalmente la loro vacanza è cominciata. Come è stata? “Splendida”, fa banale, ma anche molto sincero dirlo, tra incontri variegati di amicizia e di famiglia, gite monumentali, puntate al mare, là dove la domenica ha regalato a loro tutti una giornata di belle époque e sole pallido ma intenso, alla faccia delle previsioni del tempo (che, come è noto, non esistono). Prima che la truppa milanese ripartisse, a bordo della tamarrella, hanno fatto scorta di conchiglie, di scambi di vestiti, aria pulita e abbracci; e, sì, anche di racconti. Che è anche il tema proposto da Gabericci (incoronato da Iome vincitore della tornata precedente) per Cita-un-libro di questa settimana.
Si tratta di un tema che non è un tema (la ‘povna pensa, visto che la critica tematica è un po’ il suo campo di studi e abilitazione universitaria, di poterlo dire a buon diritto), ovviamente. Proprio per questo, a voler essere precisi, dare un argomento del genere, senza specificazioni di sorta (come quella della metatestualità, per esempio) equivale a dare, nei fatti, un tema libero: a patto di non padellare sui generi (in linea di massima, sì a racconti, romanzi, novelle e poesia narrativa, cioè epica – banditi a meno di motivate eccezioni, teatro e lirica), basterebbe citare un pezzo qualunque di un libro qualunque. Se si volesse avvicinarsi di più alla richiesta sottintesa, le prime cose che vengono in mente (perché il concetto di storia rimanda ai legami con l’antropologia, evidentemente) potrebbero essere i miti fondativi: l’inizio della Genesi, Omero, Gilgamesh, il vangelo di Giovanni.
La ‘povna, per una serie di motivi (che spera magari di chiarire di qui al 23 aprile, se l’occasione sarà propizia) decide però di lasciarli perdere. La scelta invece torna su Calvino, che di tutte queste istanze si è fatto collettore sempre attento e consapevole, sia nella sua veste di scrittore, sia nei panni del critico (basti pensare alle sue riflessioni su letteratura e mito e letteratura e scienza, attraverso i noti legami con De Santillana). Eppure il passo che finisce sul post-it non proviene, in realtà, né né dai saggi legati all’antropologia, né dalle Cosmicomiche, come sarebbe prevedibile, ma dalla Prefazione a un romanzo.
Nel 1964, dopo un periodo profondo di riflusso (dopo il decennale rimosso della Resistenza, il governo Tambroni, i fatti di Genova), lo scrittore ligure ripubblica infatti, in quella che è a tutti gli effetti un’altra stagione e un’altra epoca, il suo primo romanzo (datato 1947), Il sentiero dei nidi di ragno. Lo fa, come sempre del resto, con una consapevolezza che è insieme culturale e politica. E, proprio per questo, ci scrive ad hoc una nuova Prefazione. Si tratta di un testo giustamente celeberrimo: per il richiamo all’azione che contiene, da ottimismo della volontà, nonostante tutto, per l’incoronazione a narrazione simbolo della Resistenza del postumo Una questione privata di Fenoglio. Ma anche per un passo sull’importanza della condivisione collettiva dell’esperienza sotto forma di racconto (che è poi quello che alla ‘povna qui preme ricordare).
“Avevamo vissuto la guerra,” – scrive Calvino – “e noi più giovani – che avevamo fatto in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, “bruciati”, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità. Non era facile ottimismo, però, o gratuita euforia; tutt’altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, anche uno nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l’accento che vi mettevamo era quello d’una spavalda allegria. Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del primo romanzo”. E poi prosegue, teorizzando una sorta di coazione collettiva, di una intera nazione, all’atto del racconto, originata dall’appena riacquistata libertà:

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Ed è proprio con queste parole, cariche, malgrado il pessimismo della ragione, di futuro fattivo e di speranza, che la ‘povna partecipa al Cita-un-libro (nell’ambito di #ioleggoperché), chiamato dal vincitore della scorsa, Gaberricci, di questa settimana.


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