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Clic, clic, clic…

Da Fabry2010

Clic, clic, clic…

La discussione in rete (e non solo) sulla rete sta negli ultimi giorni tornando ad agitare i pomeriggi afosi di chi ancora non è riuscito ad andare in vacanza. Internet continua a essere la nuova frontiera, il grande universo rigirato che vive dietro gli indici cliccanti di milioni di persone. Il buco del coniglio è uno schermo sempre più piatto, dove a detta di molti si potrà scendere sempre più in profondità, con orizzonti e confini tutt’ora impossibili da delineare. È una vera e propria ‘corsa all’ovest’ dove alle terre si sostituiscono i ‘domini’ e dove ognuno, come nella migliore tradizione pionieristica, può crearsi una nuova identità a cavallo della quale rifarsi un’altra vita.
Si cercano regole. Si parla di buon senso. Regole e buon senso che difficilmente potranno essere trovate, se pensate sulla base dei parametri del mondo, cosiddetto, reale. La prima regola del mondo-internet, infatti, è che non pare esserci distinzione tra reale e immaginario, in una sorta di paradossale ricostituzione delle tre unità aristoteliche secondo la quale tutti possono essere (quasi) chiunque, in (quasi) ogni luogo e (quasi) nel medesimo tempo.
In passato ci avrebbero pensato gli esperti a chiarire i dubbi, oggi gli esperti sembrano non concordare su nulla: su cosa internet sia, su dove andrà, sulla maniera in cui potrà essere gestito. Tutto pare essere materia d’ipotesi e contraddizioni. Sul versante facebook, Zuckerberg non conferma la perdita di milioni d’utenti (ma neppure smentisce) e intanto rilancia, proponendo nuove versioni della ‘sua’ invenzione sempre più indirizzate a estendere i sacrosanti quindici minuti di fama alla totalità delle nostre esistenze. Altri social network stanno nel frattempo facendo capolino, mentre voci più o meno autorevoli profetizzano la fine dei blog, la fine dei social network stessi, la fine della navigazione selvaggia, e l’arrivo di qualcosa di nuovo, di innovativo, di univoco e unificante, che farà guardare al mondo attuale come a qualcosa di confuso e primitivo, per molti aspetti simile al Far West di cinematografica memoria.
Occorre calma.
In una realtà/iperrealtà/irrealtà di amici che si creano e si cancellano, d’identità inventate, di profili che si modificano, di commenti che si commenterebbero da soli se non fosse per decine d’altri ben felici di gettarsi a loro volta nella mischia, l’unica certezza che pare essere rimasta è che saranno gli utenti stessi (che brutta parola, utenti, cosa ne è stato del ben più romantico internauti?) a riscrivere le regole, vivendole e talvolta subendole sulla propria pelle.
È difficile districarsi in mondi in continuo cambiamento. Occorre leggerezza, velocità di pensiero, capacità d’adattamento e insieme forza e sforzo conoscitivi, esattezza, rapidità, molteplicità, e le restanti qualità calviniane che l’autore riferiva alla Letteratura del duemila e che per molti aspetti paiono invece adattarsi magnificamente al mondo al di là dello schermo, ovvero al mondo come si racconta e come ci racconta in internet.
Se è sulla fine di ‘qualcosa’, e sull’inizio di ‘qualcos’altro’, che gli esperti paiono porre sempre più spesso l’accento, a me piace oggi ragionare su qualcosa che già c’è, che continua a esserci, e che, se ben indirizzato come fino adesso avvenuto, è destinato a restare.
In rete tutto cambia velocemente è vero, ma esistono anche dei percorsi di lunga durata, dei processi a lento svolgimento, che sono gli unici sui quali forse dovremmo concentrare le nostre analisi e previsioni.
Un esempio su tutti sono i blog.
Si dice che i blog siano finiti, che siano destinati a scomparire, che siano il passato, roba da archeologia, alla cui esplosione è seguita un’irrimediabile entropia di fronte all’avanzata trionfante dei social network. Che senso ha (avrebbe) aprire un blog quando si ha facebook?
In verità, malgrado uno sguardo affrettato sembrerebbe confermare il sacrificio dei blog sull’altare dei social network, una più attenta analisi parrebbe orientarsi in tutt’altra direzione, confermando e rafforzando la presenza e il ruolo dei blog stessi accanto (e per certi versi a scapito) della contemporanea fioritura dei social network.
Chi ieri apriva un blog, pur avendo poco o niente da dire, oggi usa facebook. Chiaro. Ma nel far piazza quasi pulita dei blog, i social network hanno anche paradossalmente donato loro una definita (definitiva?) identità, uno status più forte e riconosciuto, un ruolo che lungi dall’essere in procinto di venire sepolto e storicizzato, pare essersi fatto ancora più vitale, più battagliero, più aperto a nuove prospettive e interessanti dinamiche, anche letterarie.
Letteratura e blog. Infinite vie della narrazione. Narratività del reale.
Lunga premessa a parte, l’odierna riflessione trae spunto soprattutto da un post comparso su Lipperatura qui e da un articolo uscito sul New Yorker qui.
L’intera questione potrebbe essere così sintetizzata: in un mondo in cui ci si interroga sempre più frequentemente sul futuro della Letteratura e sul bisogno/scopo del raccontare/ci, e nel quale internet pare divenire sempre più spesso luogo di mistificazione e smarrimento, esistono segni (ben auguranti) di novità, d’interessante commistione tra reale e immaginario, di dichiarata letterarietà del vissuto, insomma di narratività del/nel reale?
Nel post della Lipperini relativo a Concita De Gregorio (e al termine del quale si parla anche del caso di GL D’Andrea, ovvero del Far West di cui sopra) Bruno Tognolini dice “vedo che le storie esistono, per nostra fortuna. Lo garantisco, ci lavoro da trent’anni … Le storie accadono, e anzi niente accade, ormai è appurato, se non sappiamo narrarlo in una storia.”
Nell’articolo sul New Yorker, invece, Amanda Fortini ci racconta di Ree Drummond e del suo blog “The Pioneer Woman”.
Ecco due interventi per molti aspetti differenti che nascondono un comune denominatore.
Abbiamo l’esigenza di non smettere di raccontarci da parte di una voce che “le storie le vive e le scrive” (Bruno Tognolini). Abbiamo la componente primitiva e, se vogliamo, più banalmente e stupidamente distruttiva del sottosuolo internettiano (la vicenda di GL D’Andrea). Abbiamo “The Pioneer Woman.”
L’articolo di Amanda Fortini pare in questo senso introdurre una ventata di fresco, aprire una breccia, donare una chiave di wonderlandiana ispirazione, con cui poter entrare in un luogo ‘altro’ e scoprire qualcosa che costituisce, sotto molti punti di vista, uno dei traguardi più interessanti conquistati da internet negli ultimi anni. O anche, se vogliamo, un solido punto di partenza.
Breve riassunto: un blog ai giorni d’oggi può essere poche e ben definite cose.
Può avere un taglio giornalistico (perdonatemi la vaghezza del termine).
Può (caratteristica questa che sta veramente sparendo davanti a social network quali facebook) assumere sembianze cosiddette diaristiche.
Può costituire un luogo di riflessione-promozione per scrittori e artisti (a sua volta in lieve regressione rispetto a facebook).
Può, e questo è il nostro caso, divenire un’entità a parte, una terra d’incontro tra realtà e finzione, dove la narrazione del reale diviene, ed è, vita vissuta.
“The Pioneer Woman” nasce nel 2006. Il vero nome della sua creatrice è Ree Drummond. Tratta di un ranch dell’Oklahoma dove la voce narrante Ree (detta, appunto, “The Pioneer Woman”) vive insieme al marito Lodd Drummond (detto “Marlboro Man”), i loro quattro figli (Alex, Paige, Bryce e Todd), il giovane aiutante Josh Seller (detto “Cowboy Josh”) e un’infinità d’altri personaggi/persone tra cui Betsy (la sorella di Ree), Mike (il fratello disabile mentale) e Hyacinth (una cara amica).
“The Pioneer Woman” non è un blog-diario e non è un blog d’orientamento giornalistico. Il parallelismo più calzante, forse, sarebbe con i reality show televisivi, se non fosse per almeno una significativa differenza: tutti sanno che i reality-show seguono copioni prestabiliti, nei quali la costante presenza di telecamere ricorda ai protagonisti il loro status ‘finzionale’, cancellando in molti casi la loro personalità/identità reale.
In “The Pioneer Woman” avviene l’opposto. Le dinamiche narrative non vengono né forzate né ricostruite nella realtà, piuttosto, vengono rintracciate al suo interno.
I protagonisti di “The Pioneer Woman” sono uomini e donne a cui sono stati in alcuni casi dati (sopran)nomi, e che vengono ritratti nella loro vita reale, davanti, insieme, o distanti, dall’occhio osservatore di Ree. La maggior parte di queste persone sono coscienti d’essere parte di un racconto quotidiano seguito ogni mese da 4,4 milioni di visitatori, ma non paiono venirne oltremisura influenzati.
Mentre i blog nascevano e morivano a centinaia, “The Pioneer Woman” ha continuato il suo lungo e lento cammino che l’ha portato ad avere 23,3 milioni di clic mensili e ha fatto della sua voce/narrante una personalità anche nel mondo dell’editoria propriamente detta (uno dei suoi libri di cucina, “The Pioneer Woman cooks: Recipes from an Accidental Country Girl” è stato n°1 del New York Times best seller list nel 2009).
Una ‘casa nella prateria’ reale, dove il quotidiano diviene racconto e il racconto si rivela quotidianità.
Che risposte ci da (se ce ne da) “The Pioneer Woman”?
In primo luogo conferma il ruolo che i blog hanno e continuano ad avere, in forme e modalità differenti, in una realtà sempre più condizionata dai social network (e nel far questo costituisce l’ennesima smentita nei confronti di chi profetizzava la loro estinzione/assorbimento da parte dei sopraddetti).
In secondo rappresenta un altro esempio di ricerca, un interessante esperimento, un ulteriore passo avanti nell’allargamento dei confini della narrazione (o nella loro reinterpretazione) consolidando al contempo prospettive d’imprevedibili potenzialità, presenti e future.
Se l’esigenza di raccontare non verrà mai meno, come giustamente fa notare Tognolini, sono le modalità, sono i presupposti, sono le tipologie d’esecuzione che andranno nel tempo modificandosi. “The Pioneer Woman” non è realtà, e non è finzione. Può suscitare curiosità o lasciare indifferenti. La ragione del suo successo sta nell’elevatissimo numero di persone che si sono riconosciute nei suoi racconti quotidiani. Ree pare dirci che sono le persone a fare le storie e che è dalle persone (e dalla loro quotidianità) che bisogna ricominciare se si vuole raccontarle. Non è la fiction che interviene a strutturare la realtà ma è nella realtà che sono ritrovate le strutture della fiction. Col rischio di scadere nella banalità di uno slogan, si potrebbe qui dire che ci troviamo di fronte a uno di quei casi in cui il racconto diviene vita e la vita si scopre racconto.
La conclusione di questo post evidentemente non vuole né può concludere in alcuna maniera. Piuttosto, ci lascia con una porta che è stata forzatamente costretta a chiudersi (quella di GL D’Andrea), una cavalleresca dichiarazione di fedeltà e di fiducia nel racconto (quella di Tognolini) e una chiave che conduce su di un’altra finestra (“The Pioneer Woman”).
Il mondo oltre lo schermo, l’universo rigirato dentro il buco del coniglio, si mostrano ancora una volta più simili al nostro di quanto potessimo precedentemente immaginare, nondimeno le regole che li contraddistinguono paiono dover essere costantemente rielaborate sul campo, e in una maniera differente da quanto la Storia ci ha fino adesso abituato a fare. Se internet sia davvero il luogo della libertà del singolo o l’ennesimo regno-camuffato della Regina di Cuori lo sapremo forse solo dopo che anche questa, di storie, sarà stata raccontata.
Per adesso torniamo ai nostri pomeriggi afosi, al desiderio d’essere già in vacanza e alla testa che se ne va ancora una volta altrove. Eccolo il coniglio, è passato di nuovo. Lo avete visto anche voi?
Clic,
Clic,
Clic.



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