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CLINT EASTWOOD. UN CINEMA CHE CI RIGUARDA di Adriano Piccardi

Creato il 29 gennaio 2016 da Ifilms
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Scritto da Alessandra Mallamo
Categoria principale: Rubriche
Categoria: Libri di cinema
Pubblicato: 29 Gennaio 2016

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Il libro di Adriano Piccardi ha il suo primo merito nel fatto di non tracciare un "profilo" dell'autore di cui si occupa. Perché questo è un bene? Perché ci libera da tutta una serie di costrizioni a cui conduce l'idea stessa di autore, finendo spesso per essere un centro magnetico vicino al quale ogni argomentazione è costretta a piegarsi.

Sembra paradossale per un libro intitolato inequivocabilmente Clint Eastwood, ma è il sottotitolo a indicare la prospettiva di visione, facendo da sottotesto a tutta la riflessione che ne segue: l'espressione Un cinema che ci riguarda opera un cambio repentino di soggetto, è qualcosa di cui ci si rende conto solo a uno sguardo più prolungato, mentre si tiene il libro tra le mani e lo si osserva aspettando religiosamente - non si sa cosa - di aprirlo per la prima volta (questo è un rituale che i tanti feticisti del libro possono capire perfettamente).

clint-eastwood-libroIl salto dall'autore al campo semiotico di riferimento, dalla forma individuale alla forma di un'esperienza collettiva, è in realtà un salto mortale. Doppio.

Nel primo giro si rende conto di come l’icona hollywoodiana abbia continuamente scavato dentro e contro lo star system di cui è rappresentante senza opporvi un modo alternativo di fare cinema. È anche in questo senso che Piccardi intende la classicità di Eastwood, spiegando così l'equivoco di molta critica coeva al suo divenire regista.

Il secondo "giro della morte" consiste nell'assumere uno stile squisitamente eastwoodiano, ovvero senza timori reverenziali o sovrastrutture concettuali: prendendo Eastwood nella sua singolarità e considerando il suo cinema uno sguardo in atto che dal film stesso si rivolge a ognuno degli spettatori, finanche al suo fautore.  

Con fare da acrobata, Piccardi procede balzando agilmente tra film, personaggi e sequenze, spesso riferendosi senza soluzione di continuità all'attore o al regista, alla luce di un approccio ermeneutico che smette di cercare un punto di sintesi e si concentra invece sul definire gli sviluppi di una ricerca, dove le occorrenze e le assonanze descrivono i meccanismi di riconoscimento innescati dal cinema eastwoodiano. L'essere umano è il suo divenire umano, il suo riconoscersi in quanto tale attraverso una serie di incontri/scontri, di relazioni significative.

La prima di queste relazioni è nell'incontro con il mondo dei fatti e delle cose, con quegli oggetti, come l'aratro e la lavatrice, che spiegano il nostro rapporto con la realtà mediante la forma dell'azione, ovvero il lavoro, il fare che mette a posto le cose, la conoscenza. Lo stesso Eastwood sembra essere una sorta di regista artigiano che si rifà a un cinema di pratiche consolidate pensando con le mani la materia dei suoi film.

Vi è poi la questione centrale del confronto con l'altro, rapporto configurato dalle tante figure di donne che sempre diversamente interrogano i protagonisti, e incarnato, a un livello diverso, dalla figura del padre. Declinato secondo le istanze della responsabilità, del sapere (il proprio desiderio) e del potere, il discorso sulla paternità - intravisto anche nel passaggio dal padre al Padre - svela che il senso delle nostre relazioni sta nella relazione stessa: poiché il Senso non esiste, siamo noi il nostro orizzonte, portatori di uno sguardo asimmetrico che è già da sempre un riguardare.

Sembra non si stia più parlando di un libro di cinema, anche perché i riferimenti filosofici dello scrittore sono molti e accurati, tuttavia è proprio il concetto di 'riguardo' a rappresentare il tratto autenticamente cinematografico dell'opera di Eastwood.

Il riguardo è innanzitutto generosità di sguardo, rifiuto della semplificazione, consapevolezza dello sguardo dell'altro. il riguardo è l'atto di narrare che trasforma "il mondo dei fatti e delle cose” incontrato all'inizio, nel mondo imperfetto della Storia e delle storie, imperfetto proprio in quanto umano.

Nel suo spiralare hegeliano, Piccardi riconosce dunque al cinema di Eastwood una forma di narrazione/azione che segna la differenza tra l'esserci o il non esserci dell'umano, problema amletico risolto alla fine in un sardonico essere "con il cappello o senza cappello".

Se la Storia e le storie sono una conseguenza di occhiate scambiate tra singolarità, considerate quindi - prima che soggetti - oggetti di sguardo, anche la nozione di autore implode su stessa, poiché egli stesso è coinvolto nel meccanismo di riconoscimento/oggettivazione in quanto narratore. L'autore non è più un vessillo sotto al quale rifugiarsi o contro cui scagliarsi, non è più una bandiera da piantare a riprova del nostro stesso potere (sia esso autoritario o autorevole), non può più rappresentare un sistema di regole; e locuzioni come Il cinema di Clint Eastwood (o di Chiunque Altro) potrebbero anche perdere il loro carico concettuale magari per essere sostituite da formule imperfette come clint eastwood, un cinema.


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