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Close your eyes, think about beauty

Da Djlara
CLOSE YOUR EYES, THINK ABOUT BEAUTY
Da piccola ero brutta.
O forse no, ma era esattamente così che mi sentivo: lo si vede nelle foto coi colori ormai bugiardi delle stampe degli ultimi anni '80.
Le spalle che incassavano la testa il più possibile, quasi a rattrappire quel corpo bislungo. Le gambe imbarazzate da tutti quei centimetri di lunghezza, che continuavano ad aumentare mese dopo mese.
Larghi occhiali scuri, come aveva Tom Cruise in Top Gun.
Alti ciuffi cotonati: le più spavalde arrivavano anche a tre piani di frangia, confezionati con larghi fiocchi pieni di disegnini Naj Oleari. Io tentavo più modestamente di coprire la fronte, anche se non avevo nulla da nascondere: non un brufolo, non una ribellione ormonale epidermica.
La mia idea di bellezza era la Betta degli scout, che aveva un modo tutto suo di stringere gli occhi quando non capiva le cose. O quando sorrideva senza far vedere i denti. Io adoravo quel sorriso triangolare, che sembrava copiato dai cartoni animati giapponesi, che era così perfetto, tra quei riccioli tutti perfetti, truciolati alla perfezione attorno alle guance già spolverate di fard. Mi mettevo davanti allo specchio, per provare quel sorriso, ma con le mie labbra pienotte e il viso carnoso veniva male, finto.
Non mi sarei mai fotografata davanti allo specchio, o ancor peggio, non avrei mai messo la mia foto in rete.. Chiudevo la chiave, per evitare che entrasse anche solo quell'impiccione di mio fratello, che mi avrebbe massacrato di prese per i fondelli.
Mi ricordo che mi ero fatta regalare l'Inventa Ricci Garnier: in pratica, si trattava di una scatola di bigodini, ma al posto dei bigodini c'erano dei tubi gommosi di gommapiuma, con un'anima di ferro, su cui andavano arrotolati i capelli, e che si chiudevano a loro volta con un nodo. Insieme ai tubi c'era uno spray speciale per far fare i ricci. Non una lacca, tipo la Cielo Alto, che usavano le mie amiche dai ciuffi cotonati. Proprio uno spray che lasciava sui capelli e sulle mani una patina appiccicaticcia, ma che doveva riuscire a mantenere intatti i ricci per un tempo infinito. Mi sono messa con buona volontà davanti allo specchio, e ho usato tutti gli Inventa Ricci della scatola. Ho spruzzato lo spray sulla testa da medusa gommosa, gialla e blu. Sono andata addirittura a dormire, con tutto l'armamentario in testa, per lasciarlo in posa tutta la notte (soffrendo come una dannata per le gibbosità dei tubi sul cuscino, che mi hanno regalato uno dei peggiori sonni della mia vita). E il giorno dopo, speranzosissima, ho tirato via tutti gli inventaricci: solo che i capelli sono ricaduti flosci, appena appena zigzagati e odorosi di spray. Ben lontani da quelle volute meravigliose della modella che occhieggiava dalla scatola degli Inventa Ricci; e soprattutto, ben lontani dai capelli della Betta. Il bello è che col tempo ho imparato di avere DAVVERO i capelli ricci. Naturalmente. Senza inventaricci, e senza spray puzzosi. Bastava accorciarli un po', e asciugarli con un diffusore. Ma per il nervoso, da allora, me li sono sempre stirati, tirati, castigati, i miei capelli. Li ho tinti di blu, stinti biondi fino a farli diventare di stoppa, li ho rapati a zero. E dire che eran belli, quei capelli. Sempre in quelle foto, si vedono, dietro al ciuffo cotonato, lunghi e leggeri. Con appena un piccolo boccolo in fondo, ondeggiante a seconda della camminata. Eran belli, e non lo sapevo.
Mi sentivo bella con una maglietta azzurra dal collo alto, che mi ricadeva morbida sulle spalle, ed attenuava tutti quegli spigoli di spalle e clavicola, che ancora non sapevo, ma sarebbero state dritte, e fiere, e da mostrare con orgoglio. Mi mettevo la maglietta azzurra quando volevo esser bella, alle feste, o a pattinare sul ghiaccio su a Fanano. Ma era troppo leggera, per il ghiaccio. E finivo per patir freddo, solo per esser bella agli occhi di un ragazzo che magari non sarebbe neppure uscito quel pomeriggio, o che avrebbe parlato tutto il tempo con gli amici di come far andare più forte il suo motorino.
E quella pancina, santiddio! Non un costume da bagno in due pezzi, per i primi venti anni. Solo costumi interi, per poter piegare in dentro la pancia e non far vedere, da seduta, quel monticello ciccioso. Che pure c'era, e ci sarà sempre: non posso far finta di niente. Mi sono sempre imposta migliaia di piegamenti addominali. Stavo attaccata con i piedi alla spalliera, in palestra, mentre le mie amiche già palleggiavano sotto rete e tentavano schiacciate, bagher e alzate, schemi di squadra. E io da una parte, a far addominali alla spalliera, contando di cinquanta in cinquanta, fino ad aver la faccia rossa per lo sforzo, e i muscoli indolenziti. Eppure la pancina stava lì, imperturbabile: molti che mi sono stati accanto, avevano preso il gesto tenero di appoggiar la mano sopra, come una coppetta, a proteggere. E tanto d'amore voleva dire quel gesto, che non ci sarebbe stato, senza la pancina. E mai avrei voluto rinunciarvi.
Ora mi sento di nuovo brutta. Come una volta. E' il corpo che è cambiato di nuovo, stavolta non per crescita mia, ma per crescita di un'altra persona dentro di me. Un uragano che mi ha lasciato spossata, con il seno esausto, i capelli spenti, la pancia afflosciata. La tentazione di ricominciare tutto daccapo è molto forte: già ho tagliato via tutti i capelli, già sto cercando i costumi interi da mettere quest'estate.
O no? Non sarà forse come l'altra volta? Che son bella, eppure non lo so?

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