La fine di un amore. Una stanza vuota. La luce al neon, fredda, catatonica. Due persone, due corpi, che si fronteggiano da un lato all’altro della stanza. Un testo semplice ma efficace.
Due ore di spettacolo, due monologhi se vogliamo così dividerli, un'ora per Stanilas e un'ora per Audrey. Prima tocca a lui. Lei zitta in piedi, immobile ascoltava tutto quello che lui le diceva, che le riversava addosso. Parole violente, violenza gratuita quasi, e lei incassava e soffriva, immobile, e si riempiva di dolore, di lacrime di incredulità…come si può parlare così ad una persona che si è amato? Stanislas recitava con foga, più che con la voce, il suo corpo manifestava una tensione che le parole celavano, il suo corpo si contorceva e le frasi venivano in qualche modo portate a galla dai suoi gesti che tradivano un nervosismo latente. Lei, Audrey, per la prima parte dello spettacolo rimane immobile. Il suo corpo minuto e i suoi capelli lunghi e lisci, facevano della sua figura la traduzione del suo silenzio rispettoso e paziente. Quando è il suo turno, dalla sua bocca esce una voce sicura, ferma, che ben contrastava con i suoi occhi e la sua espressione piena di dolore. Un corpo, quello di Audrey, che sapeva creare silenzio, pausa e riflessione, una voce che in alcuni momenti raggiungeva degli acuti per poi all’improvviso scivolare di nuovo nel silenzio. Un argomento forte, quello portato in scena da Pascal Rambert, forte e difficile. Perché quando si parla d’amore e soprattutto della fine di un amore, di una storia, non ci sono mai verità assolute e certezze innegabili. La domanda principale è: chi amiamo quando amiamo? Il regista però non da una risposta e si avvale di numerose possibilità. Perché “la nostra immaginazione è limitata da quello che crediamo possibile”. VISTO A MODENA, TEATRO DELLE PASSIONI 26/05/12