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Come la scoperta di Zohr cambia il panorama energetico di Israele

Creato il 29 gennaio 2016 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Irene Masala

Israele aggiunge un altro tassello alla diatriba sul gas. Un gruppo di compagnie, capeggiato dalle società Isramco Negev e Modiin Energy, ha scoperto l’ennesima riserva di gas naturale nella zona costiera israeliana del Mediterraneo. L’annuncio è stato dato il 17 gennaio e le dimensioni del nuovo giacimento dovrebbero essere paragonate a quelle del già noto Tamar. 

Secondo quanto riportato dalle due compagnie, la nuova falda avrebbe una portata stimata di 8,9 TCF (trillion cubic feet) di gas ed è situata a est e a ovest della zona Daniel. Il giacimento Tamar, scoperto nel 2009 e seguito nel 2010 dal Leviathan – i due più importanti giacimenti dell’offshore israeliano –, vanta riserve per 10 TCF per un totale di 275 miliardi di metri cubi. È stato considerato fondamentale nel soddisfacimento del fabbisogno energetico di Israele, oltre che nella capacità di export, tanto che la questione energetica viene spesso associata a quella della sicurezza nazionale. Secondo Ron Maor, Amministratore Delegato della Modiin Energy, riserve di gas di queste dimensioni sono significative e, se realizzate, potrebbero rappresentare una concorrenza a quelle esistenti, migliorando allo stesso tempo la sicurezza energetica del Paese.

Giacimenti off-shore israeliani - Fonte: Modiin Energy
Giacimenti off-shore israeliani – Fonte: Modiin Energy

Il primo afflusso di gas proveniente dal Tamar risale al 31 marzo 2013 e, in virtù delle dimensioni del consumo di gas di Israele, si è calcolato che da solo questo giacimento potrebbe coprire il fabbisogno energetico nazionale per almeno vent’anni. Se a questo si aggiungono le riserve del Leviathan, circa 535 miliardi di metri cubi (18.9 TCF), e dei più piccoli Karish e Tanin, si arriva a un tesoro sommerso il cui potenziale oscilla tra i 1.400 e i 2.500 miliardi di metri cubi di gas, per un valore di più di 200 miliardi di dollari. Proprio questi ultimi tre giacimenti, però, sono bloccati da anni a causa delle polemiche sorte in relazione al consorzio formato dalla compagnia texana Noble Energy e dall’israeliana Delek. In seguito al ritrovamento del 2010, infatti, si è trattato di capire e di decidere nel medio lungo periodo quante quote di gas si sarebbero potute destinare al consumo interno e quante al settore export, verso quali mercati dirigerle e con quali modalità (tramite gasdotto o GNL). A causa dell’instabilità regionale sorta a seguito delle cosiddette “Primavere Arabe” e a causa della crisi politica e di sicurezza interna israeliana del 2013, il consorzio Noble-Delek è riuscito a produrre gas solo dal Tamar. Il progetto di lungo periodo che prevedeva lo sviluppo, l’estrazione e la distribuzione del gas proveniente dal Leviathan su scala internazionale ha incontrato le prime difficoltà da parte dell’autorità anti-trust israeliana e del Ministero dell’Economia. Il nodo su cui si sono concentrate le polemiche è rappresentato dal conferimento al consorzio internazionale, guidato dalla Noble-Delek, dei diritti di sfruttamento della più grande riserva di gas trovata finora nelle acque israeliane, in cambio di un ridimensionamento del ruolo delle stesse società nel giacimento Tamar. Su questa proposta si era espresso un anno fa l’allora Commissario anti-trust di Israele, David Gilo, manifestando perplessità circa la condizione di monopolio che il consorzio avrebbe di fatto costituito nel mercato energetico e dell’estrazione di gas nazionale con evidenti ricadute sull’aumento dei prezzi al consumo.

Nonostante i dubbi espressi sia dall’opinione pubblica israeliana sia dalle diverse forze politiche in campo, il governo di Benjamin Netanyahu ha approvato lo scorso agosto l’ultima versione dell’accordo tra la Noble Energy e il Delek Group. In questo ultimo adattamento si fa leva sulla volontà di ridimensionare la posizione di monopolio del consorzio sull’intero mercato energetico e, allo stesso tempo, di consentire lo sviluppo generale della riserva del Leviathan, fermo dalla data della sua scoperta. L’approvazione di questo progetto era nell’ottica del Primo Ministro Netanyahu un passo importante per la tutela degli interessi dello Stato ebraico: il denaro ricavato da questo investimento, sarà infatti destinato a migliorare diversi settori della società israeliana come l’istruzione, la salute e il benessere sociale. Queste le premesse che hanno anticipato, sempre nel mese di agosto, la votazione del Consiglio dei Ministri, che ha approvato il testo con 17 voti favorevoli e 1 contrario.

Nonostante le modifiche apportate, l’autorità anti-trust ha criticato anche questo accordo, dal valore di diversi miliardi di dollari. Il rifiuto dell’allora Ministro dell’Economia, Aryeh Deri – incaricato di utilizzare ogni misura di sua competenza per arginare i veti posti dall’autorità di settore – di sottoscrivere la sospensione delle leggi anti-trust, ha spinto il gabinetto del Premier a definire la questione del gas come collaterale alla sicurezza nazionale, così da poter agire nell’interesse generale della nazione, aggirando le leggi che regolano i monopoli. Le forti pressioni politiche hanno spinto Deri a rassegnare le proprie dimissioni il 1° novembre, decise di comune accordo con Netanyahu così da poter lasciare libero campo d’azione al Premier in cambio di un posto come Ministro delle Periferie (Ministero per lo Sviluppo delle Periferie del Negev e della Galilea). Questa mossa ha di fatto spianato la strada all’accordo sul gas off-shore consentendo a Netanyahu di assumere l’incarico ministeriale, indispensabile per arginare i vincoli della normativa anti-trust. In virtù dell’articolo 52 della Legge anti-trust del 1988, il potere di ignorare il parere del Commissario alla concorrenza e di permettere a un monopolio di operare in Israele può essere conferito soltanto al Ministro dell’Economia. Attualmente Netanyahu detiene il portafoglio ad interim degli Esteri, dell’Economia e delle Comunicazioni e il 17 dicembre scorso ha posto la firma allo stesso articolo 52, dando sostanzialmente luce verde all’accordo. Questa mossa ha scatenato ulteriori polemiche da parte dell’opposizione politica, che si è riservata la possibilità di impugnare l’intesa davanti alla Corte Suprema per eventuali violazioni. Isaac Herzog, leader di Unione Sionista, ha accusato Netanyahu di ignorare i diritti civili dei cittadini israeliani, minacciando , dunque, l’eventualità di presentare la questione davanti all’Alta Corte. Il ricorso all’articolo 52 è stata la scintilla che ha di fatto scatenato il dissenso dell’opposizione e degli attivisti, scesi in piazza a Tel Aviv, Modi’n, Ashdod e Arad per manifestare il proprio dissenso nei confronti della politica energetica del governo. Costoro, infatti, hanno accusato il Premier di aver sfruttato lo slogan della sicurezza nazionale per forzare l’approvazione dell’accordo,. Per tutta risposta, il Primo Ministro e il Ministro dell’Energia e delle Infrastrutture Yuval Steinitz, hanno portato a termine la stipula dell’accordo che dovrà adesso essere valutato in primis dalla Commissione economica della Knesset e successivamente essere votato. L’obiettivo del governo è ora quello di accelerare i tempi e di far ratificare l’intesa il prima possibile, così da implementare un progetto già in forte ritardo.

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E proprio quando l’infinita trafila del gas israeliano sembra essere arrivata alla fine e aver visto Netanyahu come vincitore, sul panorama dei giacimenti del Mediterraneo si è affacciata una novità che potrebbe sconvolgere il piano strategico ipotizzato da Israele. Mentre ad agosto il Premier israeliano era impegnato a convincere l’opinione pubblica della bontà dell’accordo, il colosso energetico italiano ENI annunciava la scoperta di Zohr, enorme giacimento di gas al largo delle coste egiziane. Una scoperta, questa, che ridimensiona notevolmente l’importanza strategica di Leviathan e Tamar, tanto da ipotizzare un ribasso delle stime sul prezzo del gas e sui profitti sui quali tanto puntava l’esecutivo. Zohr avrebbe infatti dimensioni ragguardevoli, del 30% più grande del Leviathan, tali da garantire all’Egitto di soddisfare il proprio fabbisogno energetico per i prossimi decenni, depennandolo così dalla lista dei possibili acquirenti dello Stato ebraico. Questo rappresenta per Israele un enorme problema dato che nel piano originale circa la metà del gas estratto sarebbe stata destinata all’Egitto, che ha rafforzato notevolmente la sua posizione anche grazie al raddoppiamento del Canale di Suez qualche mese fa.

Buona parte dell’intesa del gruppo Noble-Delek verteva infatti sulla sicurezza degli acquirenti, sicurezza che ora dovrà essere messa in discussione e diretta verso destinatari alternativi. Il primo nella lista è la Giordania, considerata un buon candidato già nel 2013, quando si pensava di prolungare la condotta che attraversa Ashdod fino alla Valle del Giordano. In secondo luogo, vi sarebbero i singoli Stati europei e l’Unione Europea, che per posizionamento geografico sarebbero i partner perfetti, soprattutto in vista della volontà di Bruxelles e delle singole cancellerie nazionali di diversificare le proprie importazioni in seguito anche alla crisi ucraina e, in generale, all’incrinamento dei rapporti con la Russia. Infine la Turchia, con la quale vi è stato un riavvicinamento ufficiale annunciato da Recep Tayyp Erdoğan nel corso di un’intervista datata 13 dicembre. I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono stati recentemente complessi, in particolar modo in seguito all’incidente della Mavi Marmara del 2010 e alla politica israeliana nei confronti della Striscia di Gaza. La scoperta del gas egiziano potrebbe però portare i due Paesi a rivalutare una possibile distensione strategica. L’opzione turca era tornata alla ribalta già due anni fa in occasione dei negoziati per la realizzazione di un gasdotto lungo 470 Km, in grado di trasportare circa 16 tonnellate di gas da Israele all’Europa attraverso il territorio anatolico.

L’allargamento del Canale di Suez e il ritrovamento di Zohr al largo di Port Said potrebbero aver dunque ridimensionato le ambizioni energetiche dello Stato ebraico, ponendo inoltre un possibile termine all’accordo ventennale da 15 miliardi di dollari per il rifornimento di gas israeliano che Abdel Fattah al-Sisi era in procinto di firmare con Tel Aviv già dalla scorsa estate.

Nonostante il cambiamento del panorama strategico, una buona opportunità potrebbe giungere dall’Italia. Infatti, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, ha ipotizzato e auspicato, all’indomani del ritrovamento di Zohr, una cooperazione a tre tra Italia, Egitto e Israele, nella quale quest’ultima possa usare l’impianto di liquefazione egiziano anche per la propria esportazione di gas.

Non rimane che capire se il ritrovamento dell’ENI possa convertirsi in un elemento di ulteriore instabilità tra Paesi già in forte concorrenza tra loro, oppure se si possa trasformare in un elemento di distensione politica, aprendo così un nuovo capitolo nelle future relazioni tra Israele, Egitto e gli attori della sponda sud-orientale del Mediterraneo.

* Irene Masala è OPI Contrbutor

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