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Come leggere un racconto /18 – Greenleaf di Flannery O’Connor

Da Marcofre

La stalla era in fondo al viale. (…) “Quando se ne fa una anche lei?”
“Signor Greenleaf,” aveva ribattuto lei, (…). Io non sono servita di barba e capelli dal governo. (…) Così come stanno le cose, ce la faccio appena a tirare avanti.”

Questo dialogo rimette in moto la contrapposizione tra il signor Greenleaf e la signora May. Siamo nell’appezzamento di terra dei figli del signor Greenleaf, e qui ancora una volta possiamo notare come il dialogo tra queste due persone, siamo all’insegna della reciproca disistima. In realtà Flannery O’Connor racconta questo dialogo, non si sta svolgendo mentre leggiamo ma è già accaduto tempo prima.

Mentre la signora May ha un modo di parlare diretto, direi brutale, tipico di chi comanda, il signor Greenleaf è sempre piuttosto sommesso. Possiamo arrischiare di affermare che è “sottomesso”? In un certo senso, sì: è il fattore. Però questa condizione mica gli impedisce di essere altrettanto diretto.

“I miei figli ce l’hanno fatta,” aveva mormorato il signor Greenleaf. E aveva soggiunto: “Ma non tutti i ragazzi sono uguali.”

Se per esempio trascriviamo le parole della signora May su un foglio di carta (un esercizio che non fa mai male), e su un altro foglio quelle del signor Greenleaf, forse possiamo imparare qualcosa al riguardo della voce dei personaggi.

A me pare che siamo alle prese con due voci distinte. La donna come abbiamo già imparato a conoscere, è abituata a comandare, e sia la voce, che i modi di fare e le parole rispecchiano alla perfezione la sua natura.

Il signor Greenleaf è al contrario un uomo insulso, una specie di parassita sulle spalle della sua padrona. Difende e protegge se stesso, i figli, e svolge il suo lavoro in modo approssimativo. Prima ho scritto che sono due voci distinte, e a prima vista sembra un’ovvietà. Però è sempre bene sottolineare quello che sembra troppo banale.

Ricordiamoci sempre che i personaggi non sono inchiostro e carta, ma sangue e carne; perciò non ce ne sono due uguali. Proprio come le persone. Se si dimentica questo dettaglio, invece che scrivere un dialogo saremo alle prese con un monologo. Il lettore più superficiale non se ne renderà affatto conto; però chi scrive non è a lui che deve badare. Deve essere ambizioso e cercare di intercettare il lettore in grado di cogliere differenze o sfumature.

“No davvero!” era scattata lei. “E ringrazio Iddio per questo!”
“Io Lo ringrazio per tutto,” aveva cantilenato il signor Greenleaf.

La signora May, di fronte alla provocazione (se possiamo definirla così) del suo fattore, che aveva appena sottolineato la differenza tra certi ragazzi, a tutto vantaggio dei suoi, reagisce. Anzi: “scatta”. E qui troviamo ancora il riferimento a Dio, benché la signora May pensi che non ci sia niente di vero. Ma qui lo tira in ballo perché i suoi ragazzi (che abbiamo imparato a conoscere bene: se ne infischiano della loro madre), sono diversi da quelli del signor Greenleaf.

Negli stati del Sud degli Stati Uniti, dove la Bibbia è di solito la sola lettura opportuna, questo scambio di battute riporta alla mente un episodio del Vangelo di Luca. Gesù racconta di un pubblicano, e un fariseo nel tempio. Quest’ultimo ringrazia Dio perché non lo ha fatto come i meschini peccatori, ma al contrario è un uomo praticamente perfetto. Il pubblicano invece, è consapevole di essere un peccatore e chiede misericordia.

La frase del signor Greenleaf nella sua ovvietà (Flannery O’Connor usa il verbo cantilenare non a caso), offre una lezione comprensibile anche a quanti non hanno alcuna dimestichezza con la Bibbia. Per un attimo il fattore, forse senza che se ne renda neppure conto, emerge e appare migliore della signora May. Le offre un’eccezionale lezione di fede, forse persino una lezione teologica. Non importa che lui sia inconsapevole di quello che dice (ecco perché cantilenare è lì). Questo è un esempio di come l’autore, all’insaputa dei suoi personaggi, può mostrare qualcosa.

Lei ringrazia Dio (verso il quale non ha sentimenti genuini) perché non è zotica come certi vicini, e i suoi figli nemmeno.
Lui lo ringrazia per tutto. È un ringraziamento che abbraccia, mentre quello della signora May esclude, e fa delle distinzioni: io, loro.

Ed è più che giusto, aveva pensato lei, nel silenzio feroce che era seguito. Non hai mai fatto nulla, da te.

Il pensiero della signora May è tipicamente protestante: se vuoi qualcosa, datti da fare. Dio non è con chi lo invoca, ma con chi lavora duro. Ed è un pensiero talmente forte, da far perdere di vista tutto il resto.

Dopo questo scambio di battute, non ci può essere che un silenzio “feroce”: è un termine del tutto casuale? Chissà, occorrerebbe conoscere l’originale, di sicuro l’italiano deriva dal latino (e da cosa altrimenti?) ferox, derivato a sua volta da ferus. È un termine che si riferisce alle belve, e quando gli uomini ammutoliscono, non usano più la parola, sembra quasi si riducano a uno stato primitivo. Animalesco, appunto.

Come leggere un racconto /18 – Greenleaf di Flannery O’Connor.


Filed under: buona scrittura, cassetta degli attrezzi Tagged: flannery o'connor, scrivere bene

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