Magazine Società

Come muore una città

Creato il 19 dicembre 2014 da Trame In Divenire @trameindivenire

Le città storiche sono insidiate dalla resa a una falsa modernità, dallo spopolamento, dall'oblio di sé. Di questa minaccia, e dei rimedi possibili, Venezia è supremo esempio. Dobbiamo ritrovarne l'anima, rivendicare il diritto alla città.

Salvatore Settis

Non esiste comunità cittadina, salvo rare eccezioni, che non sia interessata dal fenomeno dell'esclusione dalle scelte amministrative. La democrazia, per giunta quella partecipata o diretta così tanto invocata, è sempre più distante dalla realtà. In genere ci si ritrova con città e territorio ben impacchettati dietro la spinta di grossi interessi economici, per lo più speculativi. Che, diciamolo, è più semplice avere a che fare con chi rappresenta interessi concentrati in poche meglio se uniche figure con cui trattare, anziché una miriade di interessi variegati, talvolta anche contrapposti.

La politica così come ormai la conosciamo preferisce la sintesi, semplifica e fa prima, evita fastidi e perdite di tempo, va dritta al sodo. Laddove il sodo difficilmente è dato dalla variegata e spesso contrapposta miriade degli interessi e necessità collettive.

Ci si ritrova così cittadini a soggetto, schiacciati da governi e burocrazie (sempre più corrotti), senza alcuna possibilità di partecipazione, condivisione e consapevolezza politica e con il sodo bello confezionato. Ed ecco le ormai obsolete paratie del Mose, una marea di mega resort 5 stelle lusso che consumano suolo, territorio, campi, lavoro, storia, memoria e tutto quello che la terra porta con sé, con la monnezza abbandonata per le strade non solo di Napoli e nonostante in Italia non manchino inceneritori, con il cemento che avanza senza sosta, con l'Ilva e Cerano che producono cancro e morte, e ancora con la Tap, la Tav, presto anche il TTIP, e tanta altra bella roba per lo più negli interessi delle multinazionali e della finanza globale a cui poco interessa della partecipazione e della condivisione democratica.

Appena quindici giorni fa, in Un paese senza memoria, riflettevo sullo stato dell'insegnamento della storia nel nostro paese. Mi affidavo alle parole di Pasolini in Scritti corsari. Parlavo di memoria e del certosino e metodico lavoro di rimozione della memoria storica, collettiva delle nostre comunità, sia esse locali, di contrada, nazionali e soprattutto individuali. Come se si stesse perseguendo l'obbiettivo di una radicale mutazione genetica di principi, valori, usi, costumi e condizioni sociali, anche alla luce della continua e progressiva sequela di episodi di corruzione che investe l'Italia, tutta, da tempo immemore e senza che ormai indigni più nessuno. Ed ecco che conseguenza ultima abbiamo il continuo oblio della coscienza, compresa quella civica, la perdita della identità sociale e culturale, individuale e collettiva, la definitiva resa del proprio ruolo nella storia e nella società, per poi finire addomesticati come sotto l'ennesima dominazione passando per la morte civile e talvolta anche quella fisica.

In tre modi muoiono le città, secondo Settis.

Quando le distrugge un nemico spietato (come Cartagine, che fu rasa al suolo da Roma nel 146 a. C.); quando un popolo straniero vi si insedia con la forza, scacciando gli autoctoni e i loro dei (come Tenochtitlán, la capitale degli Aztechi che i conquistadores spagnoli annientarono nel 1521 per poi costruire sulle sue rovine Città del Messico); o, infine, quando gli abitanti perdono la memoria di sé e, senza nemmeno accorgersene, diventano stranieri a se stessi, nemici di se stessi. Questo fu il caso di Atene, che dopo la gloria della polis classica, dopo i marmi del Partenone, le sculture di Fidia e le vicende della cultura e della storia segnate da nomi come Eschilo, Sofocle, Euripide, Pericle, Demostene, Prassitele perse prima l'indipendenza politica (sotto i Macedoni e poi sotto i Romani) e più tardi l'iniziativa culturale, ma finì col perdere anche ogni memoria di se stessa. [...] Se mai Venezia dovesse morire, non sarà per la crudeltà di un nemico né per l'irruzione di un conquistatore. Sarà soprattutto per oblio di se stessa. Oblio di sé, per una comunità del nostro tempo, non vuol dire solo dimenticanza della propria storia né morbida assuefazione alla bellezza, che dandola per scontata la viva come esangue ornamento cercandovi consolazione. Vuol dire soprattutto la mancata consapevolezza di qualcosa che è sempre più necessario: il ruolo specifico di ogni città rispetto alle altre, la sua unicità e diversità, virtù che nessuna città al mondo possiede quanto Venezia. [...] Venezia potrà resistere nella sua ineguagliabile forma urbis se saprà costruire creativamente il proprio destino, calibrando ogni mutamento
non sulle aspettative dei turisti né sulla speculazione immobiliare, ma sul futuro dei propri cittadini.

Salvatore Settis, "Se Venezia Muore", Einaudi 2014


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine