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Come si sceglie un libro

Creato il 08 marzo 2011 da Gaia

L’anno scorso ho scritto un romanzo, negli ultimi dieci mesi ho lavorato a un altro, che ora è quasi finito (o almeno spero, in queste cose non so se esista il quasi finito: finchè non lo è del tutto, non lo è per niente). Ammettiamo e non concediamo che i miei libri (o il mio libro e mezzo, insomma per capirci) siano buoni e meritevoli di essere letti, il che ovviamente è soggettivo e indimostrabile; il che è l’opinione di molti/alcuni (dipende da come valuto l’onestà di amici e parenti) ma non di tutti – ma da qualche parte bisogna cominciare. Detto questo, a me pare che scrivere il libro sia la parte meno problematica dell’intera vicenda. Mi spiego.
Innanzitutto, io sono ossessionata dalla sovrabbondanza della produzione culturale, e quindi anche di libri, ma su questo vorrei entrare nello specifico più tardi, con l’aiuto magari di un libro in particolare. Comunque, questo è un problema innanzitutto perché temo che la mia voce naufraghi, affoghi, scompaia nel mare immenso di tutte le voci che hanno parlato e che stanno parlando, e non venga udita. Non c’è tempo e soprattutto non c’è spazio mentale per ascoltare tutti. E poi, mi chiedo: se io trovo che ci sia chi non dovrebbe scrivere o dovrebbe ormai smettere, e stia solo intasando con le sue opere francamente inutili il nostro limitato spazio mentale, posso io davvero essere sicura di non essere una di queste persone, e che il mio contributo sia veramente valido? Ovviamente io sicura lo sono, ma e se lo fossero tutti? Chi ammette a sè stesso: scrivo solo per soldi, o solo per vanità? O: non sono bravo, dovrei lasciare perdere?
Ma non è neanche questo il punto. Il fatto è che a me pare che scrivere un libro sia molto meno difficile, e soprattutto molto meno problematico, che venderlo. Io sono naturalmente sospettosa nei confronti di tutto ciò che è pubblicità, e quindi intrinsecamente incapace di pubblicizzare sul serio il mio libro. Ho sempre pensato che una cosa, qualunque essa sia, debba vendersi da sè, e non essere spinta.
Ho deciso di pubblicare in proprio anche perché ho il sospetto molto fondato che la macchina della produzione e distribuzione culturale in Italia sia manipolata, insincera, finalizzata più a fare denaro che a selezionare la vera qualità: si prende un autore che si pensa possa vendere, lo si pompa, lo si manda in tv, si convince colleghi e giornalisti amici a scriverne e parlarne, si cerca di accattivare il lettore anche con meccanismi piuttosto meschini (sesso, degrado, le solite cose)…
Io non mi fido. Io non riesco a credere che ogni settimana si produca un capolavoro, o neanche qualcosa che è veramente così necessario che io legga.
Io addirittura inorridisco quando la gente dice che ha preso un libro “perché mi ispirava la copertina” (è come scegliere chi sposare in base ai capelli!!), o “perché ne ho sentito parlare in radio/tv/sui giornali” – qui il discorso si fa più complesso, ma i giornalisti e gli intellettuali spingono spesso i loro colleghi, non so se i loro amici ma penso di sì, o comunque sono ingranaggi di quelle macchine di cui dicevo sopra, quelle nei confronti delle quali nutro diffidenza. Sei dentro perché conosci la tal persona, fai parte del tale ambiente, sei stato nella tale trasmissione o nella tale scuola… e quindi tutti parlano di te. Se sei fuori, sei fuori, bravo finché vuoi, ma fuori, e chissà quando entrerai.

Non tutti i presentatori e recensori di libri saranno così, ovviamente, ma io in generale non posso delegare a una persona, per quanto sincera e competente, uno dei compiti più importanti della mia vita, e per davvero, uno dei miei massimi esercizi di libertà: quello di scegliere che libri leggere. Il mio rapporto con i libri somiglia per certi versi al mio rapporto con le persone, e non delegherei quest’ultimo a nessun altro.
E allora, come sceglo cosa leggere? Mi fido solo di due meccanismi.
Uno è lo status che il libro ha raggiunto. Non mi riferisco ai premi, per cui sospetto valga il meccanismo di cui sopra: ma se un libro ha lo status di classico, viene citato o elogiato da altri autori che amo, è in qualche modo entrato a fare parte del patrimonio culturale comune, comunque definito, e soprattutto se è sopravvissuto alla prova del tempo, se ha ancora qualcosa da dire dopo decenni o secoli, allora mi viene voglia di leggerlo.
In secondo luogo, mi fido del passaparola. A differenza di una sponsorizzazione mediatica, questo dovrebbe essere genuino: ti consiglio un libro perché voglio il tuo bene, e quel libro mi è sinceramente piaciuto e penso piaccia anche a te.
Il punto è che il passaparola è drogato: le persone che mi consigliano un libro potrebbero averlo letto perché consigliato in tv, assieme a molti altri, e quindi avere dei parametri completamente falsati. Secondo me manca una cultura letteraria, e ancora dovrei scusarmi per la presunzione ma non lo faccio, comunque mancando questa cultura letteraria in una grossa fetta della popolazione, perché la gente legge quello che le capita, perché non è stata o non si è formata bene, perché è abituata alle porcherie, perché non ha appunto avuto pazienza con i classici, si scelgono i libri per moda, conformismo o fiducia nei guru di turno, e magari anche il gusto ne risente (non lo so per certo, ma anche questo lo sospetto), e così non posso fidarmi dei consigli degli altri, in un mondo in cui Tre metri sopra il cielo ha la stessa media di voti dei lettori (su IBS) di Anna Karenina (ok, solo in un’edizione, ma è già grave). Il passaparola, parrebbe, ogni tanto fa emergere dei capolavori, ma sono veramente capolavori? Anche qui, sono diffidente.  Infatti ci sono persone da cui accetto consigli su cosa leggere, incrociandoli solitamente con consigli di altre persone di cui mi fido, e altre di cui conosco i gusti e so che non corrispondono ai miei (magari tante persone hanno lo stesso tipo di rapporto con i recensori ‘ufficiali’).
Io sulla copertina del mio romanzo non ho messo immagini, né una mia foto né una mia biografia, né la trama, solo un breve estratto del libro. Questo è indice di arroganza, forse, oppure è il mio tentativo estremo di far sì che il libro venga letto perché buono, non perché accattivante. E come fa la gente a sapere che è buono? Qui torniamo al punto di partenza. Ho avuto una recensione su un giornale, l’ho presentato in radio, ma sapevo che questi due giornalisti erano sinceri. Ma non basta. Penso che la gente potrebbe voler leggere il mio libro perché qualcuno di cui si fida gli ha detto che è bello, o perché gli piace come scrivo di solito, ed è curiosa del mio romanzo. Privarmi quasi del tutto di qualsiasi forma di promozione, se non quanto già detto, più il blog e il lasciare il libro a due biblioteche pubbliche, può sembrare stupido e insensato, come saltare senza piegare le gambe. Diciamo che è quasi una specie di esperimento, ma un esperimento condotto in condizioni che lo condannano quasi sicuramente a fallire, quindi vedremo.


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