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Comunque sono andato alla presentazione di Donato Carrisi.

Creato il 09 dicembre 2014 da Mik_94
No, non ho un titolo più brillante. Mi dispiace.
Avevo messo, prima, data, due punti e “incontro con Donato Carrisi” tra virgolette, ma faceva troppo temino. Già così sembra il resoconto della gita al caseificio in quarta elementare, ma potevo forse non parlarvene? 
1. Da me non viene mai nessuno; 2. Sono passato da "da me non viene mai nessuno" a "mamma, da me è venuto un autore tradotto in non so quanti paesi"; 3. L'ho recensito qui, qui e qui e sapete che lo adoro. Da oggi di più.
Correva il mese di ottobre. Tempo di belle uscite e di belle notizie. Dopo la parentesi estiva, dopo le ferie e il mare, era tempo di tornare a lavoro. Io in realtà non avevo mai smesso di scrivere. Ma scrivere non è un lavoro e quando non scrivo aspetto. Impazientemente, aspetto. Posta, email, annunci importanti. Aspettavo l'ultimo libro di Donato Carrisi, e poi il momento era arrivato; poi l'avevo letto. In due giorni frenetici, in cui non c'ero stato per nessuno: neanche per il mondo. Lo avevo concluso in tarda serata e, in cucina, con la lavastoviglie che gorgliova, avevo iniziato a scrivere da zero una recensione che avesse un senso. Io ci tengo sempre – ai sensi, dico, a alle recensioni fatte col cuore e il cervello connessi – ma questa volta un po' di più. Donato Carrisi mi aveva scritto, l'anno precedente, e speravo lo facesse ancora. Così scrivevo che era quasi notte; così pensavo a un post che dicesse tutto, però senza svelare niente.  Finisco, vado a dormire. Il mattino successivo rileggo, invio il pezzo alla Longanesi e il buon Tommaso, che quando escono Carrisi e la Gazzola tormento puntualmente, mi ringrazia (lui che è uno dei pochi addetti stampa a leggere sul serio ciò che i blogger scrivono) e mi anticipa una cosa bellissima. L'autore verrà dalle mie parti a presentare Il cacciatore del buio. Correva il mese di ottobre, allora, e all'incontro mancavano due mesi. Scrivevo la data e l'ora sui post it, tra le bozze del cellulare, sul calendario: aspettavo. Ma questa volta qualcosa di più grande. Quando per strada hanno iniziato a fare capolino le luci e i Babbi Natale armati di trombetta, mi sono accorto che c'eravamo quasi. Il sei dicembre era alle porte. Quel weekend non sarei tornato a casa. Ho passato la festa dell'Immacolata in solitario, ma con una pila di libri autografati sul comodino, ché sono meglio delle lasagne di mamma e del presepe coi parenti. Quelli ci sono ogni anno, e da vent'anni. Quando mi ricapitava Donato Carrisi?  Comunque sono andato alla presentazione di Donato Carrisi.
Salto indietro. Zoom su di me.  Causa università, vivo a Chieti da un anno e mezzo – Chieti è provincia, anche se nessuno lo sa, quindi non vi posso dire in provincia di dov'è: Chieti Chieti, insomma – ma non la conosco. O meglio, non c'è niente da conoscere. C'è un paese da raggiungere sul cucuzzolo di una montagna con il filobus, l'università, quattro case tutt'intorno e il Megalò, l'unico pregio di una città in cui piove sempre e a dirotto. Una Londra sfigata. L'incontro non era al Megalò, ma al Centro Commerciale D'Abruzzo. Qui non ho una macchina, rubarne una per l'occasione mi sembrava troppo, quindi c'era una cosa sola da fare: studiarsi gli orari dei mezzi pubblici, anche se era sabato e nei giorni festivi è un macello più del solito. Il giorno prima, venerdì, il mio febbricitante fratello minore – che accusa per la febbre la circolare strapiena e la gente malata di ebola, dice, che tossiva; non le sigarette fumate in pigiama sul balcone, ad orari assurdi – decide di venire a trovarmi. Mi avventuro verso questa misteriosa meta con lui, dunque, anche se io non so bene dove andare e anche se lui non è troppo convinto. Non è un lettore: libri uguale noia. La circolare ci ferma nel bel mezzo della zona industriale. Dieci minuti a piedi, il rischio costante di essere stirati dalle macchine, il centro commerciale all'orizzonte come un miraggio. Fratello va in giro a fare compere, io aspetto in libreria. Sfoglio qualcosa nell'attesa, ma non compro niente: nello zaino ho La donna dei fiori di carta, L'ipotesi del male, Il cacciatore del buio. Gli altri due non entravano in valigia e avevo un po' di vergogna a portare le mie copie, ormai rovinate per il troppo uso. Aspetto, sfoglio altri libri, mi rigiro i pollici e Donato Carrisi non arriva. Giusto farsi aspettare, ma non troppo. In quel momento mi dicono che sto aspettando a vuoto, perché l'incontro non è lì. Sono un dannato genio incompreso. Hanno messo una specie di tendone all'esterno, tra nastri colorati e nodi di luci natalizie che sembrano parte di una scena del crimine nel bianco covo di Babbo Natale e della Befana. Arrivo io e tutte le sedie sono piene. Cavolo. Comunque sono andato alla presentazione di Donato Carrisi.Arrivo, dico Cavolo!, e non ci faccio caso: accanto a me c'è Donato. Lo capisco quando mi viene incontro gente armata di penne e assetata di autografi. So cosa state pensando: nessuno, in realtà, mi aveva scambiato per Johnny Depp, tipo, e non c'erano lettori di Diario di una dipendenza che volevano pugnalare a colpi di biro quel rompipalle che intasa le loro home ogni giorno con post di indicibile inutilità come questo qui. Quella piccola folla era per lo scrittore che avevo riconosciuto dopo. Non so come lo immaginavo: uguale e diverso. Noto che è alto come me, centimetro più, centimetro meno, e la cosa me lo rende ancora più simpatico. Ha la barba lunga, camicia bianca, pochette nel taschino.  Comunque sono andato alla presentazione di Donato Carrisi.Lui sorride, firma copie a volo e mentre i lettori starnazzano io vado e rubo il posto a chi si è alzato. Ma sì. E mi piazzo in primissima fila, proprio davanti a lui. Mentre mi siedo, sento una ragazza che gli chiede di dedicare il libro a Lisa. Come Lisa dagli occhi blu, dice, anche se lei poi non ha gli occhi blu. Be', risponde Donato, è un po' come se mi avessero chiamato Donato dai capelli biondi! Mi raggiunge mio fratello, con una busta di Piazza Italia in mano e la faccia sofferente di chi pensa “ma che palle, quando finisce 'sta cosa?” - lui è il fratello bello, come noterete dalla foto; io sono quello che cerca di compensare leggendo. Gli comunico con gli occhi “ma stai zitto” e quando Donato Carrisi comincia a parlare vedo che Diego posa la busta a terra e si rilassa. Sulla sedia rubata a “chi è andato a Roma e ha perso la poltrona” si sta più comodi e quando Donato parla non c'è noia. E' da sabato, adesso, che Diego dice di voler leggere qualcosa di Carrisi. C'è chi scrive, come diceva il personaggio di Scamarcio nello splendido Mine Vaganti, perché non sa parlare. Capisco dopo un attimo che Donato Carrisi non è parte della categoria di autori taciturni e timidi: ho davanti una delle persone più carismatiche e affascinanti che abbia mai incontrato. Ci racconta, si racconta; ci diverte e ci intrattiene. Ci dice di non chiedergli se è parente di Albano e, soprattutto, di non metterlo alla prova con l'arduo ritornello di Nel sole. Parla dei casi di cronaca nera e interroga il pubblico: ricordiamo tutti i nomi dei colpevoli, nota, ma non quelli delle vittime. Perché? Ci dice di quando una bellissima sconosciuta in treno gli ispirò La donna dei fiori di carta e una lettera d'amore scarabocchiata sul bordo del Corriere della Sera; di quando abbandonò tutto e si rifugiò in un trullo (ma guai a definire i suoi polizieschi “thruller”!) per scrivere Il suggeritore; del pregiudizio nutrito dagli italiani verso gli autori italiani; della passeggiata col Penitenziere che ha ispirato il misterioso Marcus del Tribunale delle anime. Ci incanta. Il microfono gira tra il pubblico, ma mi conoscete, non sono il tipo da microfoni e domande. L'incontro è durato un'ora che però è sembrata troppo poca. Capisco cosa diceva Bergson quando parlava di tempo soggettivo e oggettivo; di tempo che vola. Ci si alza tutti, perché è il momento degli autografi. Tutti hanno portato un solo libro (principianti!) e io mi metto alla fine della coda umana, trovando come complice una ragazza della mia età che i libri invece li ha portati tutti e cinque. Mi avvicino e non sono agitato o intimidito. Non è da me neanche la calma, ma Donato Carrisi sa scrivere e sa come non mettere a disagio chi ha davanti. E' amichevole, simpaticissimo, gentile; ti stringe forte la mano, ti mette il braccio sulle spalle per fare una foto. Non pensavo l'avrei fatto, e invece sì. Mentre firma le mie copie gliela butto lì. Sono sicuro non se ne ricorderà, ma ci eravamo sentiti per una o due recensioni qualche tempo fa. Scrivo su Diario di una dipendenza. Gli do un po' del tu e un po' del lei, nel dubbio. Alza lo sguardo dalla carta e mi guarda. Noto come un lampo di riconoscimento e mi dice che certo, se ne ricorda. Non so se è vero o no, ma io sono contento. Ringrazio. Per l'autografo; la forse bugia che però mi ha fatto tornare a casa più soddisfatto ancora; la foto che abbiamo dovuto rifare due volte, perché c'era una signora incapace nel pubblico che, al posto di scattare, si era messa di impegno e aveva spento il cellulare. Motivo valido per un omicidio, dico, e lui ridacchia. Dico grazie ancora, perché io faccio sempre a gara di grazie, in caso non fossero sufficienti. Lui ringrazia me; mi chiama per nome. 

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