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Con Cesare Pavese tra i fortunati che han visto l’aurora

Creato il 10 settembre 2013 da Paolotritto @paolo_tritto
Con Cesare Pavese tra i fortunati che han visto l’aurora

"Mio cugino è tornato, finita la guerra, / gigantesco, tra i pochi. E aveva denaro". Cesare Pavese riesce a racchiudere nei versi della poesia I mari del Sud tutto il dramma dell'io di fronte all'imponenza della realtà. Quale sarà la posizione giusta, di fronte a ciò? Dai ricordi infantili emerge la figura dell'adulto, di quella condizione che apparentemente mostra di essere in grado di reggere il duro confronto con la realtà. "Mio cugino è un gigante vestito di bianco". È un gigante, è il protagonista di imprese incredibili.

"Vent'anni è stato in giro per il mondo. / Se n'andò ch'io ero ancora un bambino portato da donne / e lo dissero morto. Sentii poi parlarne / da donne, come in favola". Era la favola di un uomo tanto audace da far temere per la sua vita - lo dissero morto. E invece "Un inverno a mio padre già morto arrivò un cartoncino / con un gran francobollo verdastro di navi in un porto / e auguri di buona vendemmia. Fu un grande stupore, / ma il bambino cresciuto spiegò avidamente / che il biglietto veniva da un'isola detta Tasmania / circondata da un mare più azzurro, feroce di squali, / nel Pacifico, a sud dell'Australia. E aggiunse che certo / il cugino pescava le perle. E staccò il francobollo".

Fu un grande stupore che alimentò per tanto tempo la trepidante attesa di un bambino. "Oh da quando ho giocato ai pirati malesi, / quanto tempo è trascorso. [...] / quanta vita è trascorsa. Altri giorni, altri giochi, / altri squassi del sangue dinanzi a rivali / più elusivi: i pensieri e i sogni".

Ma il "bambino cresciuto" si ritrovò di fronte i più agguerriti rivali: "i pensieri e i sogni". È il timore che questa pienezza di vita non possa realizzarsi veramente e che al bambino non resti che cedere, smarrito, all'astrattezza dei pensieri e dei sogni - ombre della realtà. "La città mi ha insegnato infinite paure: / una folla, una strada mi han fatto tremare, / un pensiero talvolta, spiato su un viso".

Di fronte alla realtà, il bambino scopre la fragilità del proprio io, scopre di non essere capace di reggere con la sue mani il peso di "una folla", di "una strada". Nello stesso tempo, assiste all'invidiabile risolutezza degli adulti. "Mio cugino ha una faccia recisa. Comprò un pianterreno / nel paese e ci fece riuscire un garage di cemento / con dinanzi fiammante la pila per dar la benzina / e sul ponte ben grossa alla curva una targa-reclame". Mostrando, in questa maniera, di essere in grado di piegare la realtà ai suoi piedi. "Vestito di bianco, / con le mani alla schiena e il volto abbronzato, / al mattino batteva le fiere e con aria sorniona / contrattava i cavalli. Spiegò poi a me, / quando fallì il disegno, che il suo piano / era stato di togliere tutte le bestie alla valle e obbligare la gente a comprargli i motori".

Ne I mari del sud sembra di scorgere il Cesare Pavese che sarà traduttore di Moby Dick e per il quale l'intraprendenza dell'adulto - anche questa - si rivela un'illusione risibile e destinata al fallimento. Perfino in una figura gigantesca come quella del cugino che addirittura "ha incrociato una volta, / da fuochista su un legno olandese da pesca, il Cetaceo, / e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole, / ha veduto fuggire balene tra schiume di sangue / e inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla lancia".

Anche il gigante, dunque, è destinato a soccombere di fronte alla realtà. E infatti "quando gli dico / ch'egli è tra i fortunati che han visto l'aurora / sulle isole più belle della terra, / al ricordo sorride e risponde che il sole / si levava che il giorno era vecchio per loro". L'adulto che pure sembra reggere l'urto con la realtà non sarà in grado di cogliere il senso di questa realtà. Anche all'adulto, dunque, la realtà sfugge, la realtà non è mai veramente presente. Ma è un fallimento che non scoraggia il fragile bambino che nel suo continuo naufragare poggia sulla certezza della realtà, delle "isole più belle della terra", come quella lontanissima isola "detta Tasmania / circondata da un mare più azzurro, feroce di squali, / nel Pacifico, a sud dell'Australia".

Non sarà un fallimento a scoraggiare un bambino. Perché come una inesorabile aurora, la vita tornerà a illuminare noi uomini che siamo le "isole più belle della terra".

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Revisione di http://www.f052.it, 22 ottobre 2011


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