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Con Mauro Boselli: Dampyr, Tex e il lavoro in Bonelli – Prima parte

Creato il 23 aprile 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Con Mauro Boselli: Dampyr, Tex e il lavoro in Bonelli – Prima parte Zagor Tex Mauro Boselli In Evidenza Gian Luigi Bonelli Dampyr è una delle figure più importanti presenti oggi all’interno della Sergio Bonelli Editore. Curatore di e Dampyr, personaggio da lui creato assieme a Maurizio Colombo, è anche un prolifico sceneggiatore delle storie di questi due personaggi, oltre che di Zagor. Boselli, inoltre, è una delle figure storiche della casa editrice di via Buonarroti, avendola vissuta fin da ragazzo quando, amico di famiglia di Gian Luigi Bonelli, osservava il padre di Tex scrivere le sue storie del ranger.
Nello scorso mese di febbraio, per circa una settimana, ogni mattina ho avuto un appuntamento telefonico con
Mauro Boselli. Ne è venuta fuori una interessante ed esauriente  intervista, che spazia su molti argomenti, e che da oggi cominciamo a proporvi in varie puntate.

 Ciao, Mauro e benvenuto su Lo Spazio Bianco!
A quattordici anni dall’esordio di Dampyr quali sono le tue riflessioni? Come trovi l’evoluzione del personaggio, sta seguendo la tua idea iniziale, come si sono evolute le dinamiche tra i protagonisti…
Quando un’opera inizia, non si può mai dire dove andrà a parare. Certamente, sia io che Maurizio (Colombo N.d.R.) avevamo idee in grande stile e pensavamo di realizzare qualcosa che andasse al di là della caccia ai vampiri pura e semplice, come molti possono magari aver pensato. Non per niente nella serie era già previsto l’inserimento del personaggio di Caleb Lost, creatura della razza degli Amesha, una potente stirpe proveniente da un mondo parallelo. Anche i nostri supervampiri, i Maestri della Notte, provengono da un’altra realtà.
L’idea del multiverso e delle sue complesse potenzialità narrative  era dunque già in nuce sin dall’inizio. Poi, chiaramente, nei primi numeri era necessario porre le basi della serie, presentare i Maestri della Notte, le loro caratteristiche e il loro carisma di superpredatori, introdurre il modo in cui Dampyr combatte loro e i loro schiavi non morti, ossia i vampiri comuni. Quindi le prime storie sono generalmente più avventurose e d’azione, anche se ce ne sono già alcune, come quelle del ciclo di Praga, che, a partire dal numero 5, Sotto il ponte di pietra, mostrano le sfaccettature più fantastiche e imprevedibili che la serie avrebbe sviluppato in seguito. 
Avevo dunque in mente le principali sottotrame: la lotta contro l’altra potenza (a parte gli Amesha) che vuole dominare il Multiverso,  e cioè l’alleanza infernale, e la ricerca da parte di Harlan di suo padre, il Maestro della Notte Draka, l’incontro-scontro col padre che poi in qualche modo si è trasformato in un’alleanza a distanza. 
L’evoluzione della serie, in sintesi, è questa: molte delle storie parallele chiaramente mi sono venute in mente dopo, altre erano già presenti all’inizio. Si può dire che l’affresco complessivo lo pensavamo così, almeno io lo pensavo così. Maurizio ha abbandonato la serie troppo presto: lui avrebbe dovuto continuare con le sue tematiche avventurose, d’azione e di horror puro. Per questo genere di storie  l’abbiamo sostituito un po’ io e un po’ Diego Cajelli.

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Quindi, tu ti saresti dovuto occupare più della trama orizzontale della serie, sviluppando episodi importanti per la continuity, e Colombo più delle singole avventure in qualche modo più autonome rispetto a essa?
Sì, io avrei dovuto occuparmi più della continuity e lui delle storie “slegate”, anche se in realtà era previsto che anche lui facesse delle storie legate alle continuity, ma fin dai primi numeri mi ero reso conto che quel tipo di storie non era nelle sue corde. Ricordo che Colombo doveva scrivere una storia “praghese”, ma poi gli era uscita dalla penna una vicenda completamente diversa e ho capito, da subito, che avrei dovuto sobbarcarmi io la macrotrama della saga. Certo, non avrei immaginato che a sei mesi dall’esordio lui sarebbe andato in crisi e avrei dovuto  farmi carico di tutto! Ecco, questa è l’unica cosa che non avevo preventivato, anche perché mi occupavo già di Tex e Zagor, quindi, se avessi saputo che sarei rimasto solo a condurre un’altra serie, non so se avrei avuto l’ardire di farlo. Comunque, tutto sommato, le cose sono andate abbastanza bene, e non ho mai perso il timone, credo.

Dampyr è una serie horror, seppur di un horror molto particolare: ambientata in un mondo reale e con protagonisti i personaggi forse “più nobili” dell’orrore, cioè i vampiri. Nata nel 2000, molto prima della moda “dei vampiri” che negli ultimi anni ha investito nuovamente cinema e letteratura. Quali sono oggi le difficoltà nel proporre una serie a fumetti di tale genere?
Fin dall’inizio noi ci ponevamo già in contrasto con la voga dei vampiri in guanti di velluto, come quelli di Ann Rice, oppure del Conte di Saint-Germain, altra serie famosa (scritta da Chelsea Quinn Yarbro N.d.R.). Volevamo fare una cosa molto più dura e molto più realistica. 
Tra le sue mille componenti, Dampyr ne ha due di base. La prima è quella realistica, cioè il fatto che è calato nel nostro mondo. Si deve dare l’illusione, a differenza di quello che succede in Dylan Dog, che quella di Dampyr è la nostra realtà. 
Un dettaglio tecnico su cui insisto sempre con gli aspiranti soggettisti è il seguente: in Dylan Dog è legittimo  che avvengano cataclismi di ogni tipo, Londra viene sommersa dalle acque oppure c’è un terremoto o un ‘invasione di zombie. In Dampyr ciò non può capitare: quello che succede nella serie è ciò che succede attorno a noi. Se una città come Praga nella serie viene sommersa da un’inondazione, è perché è accaduto veramente. Noi fingiamo che quello di Dampyr sia il nostro mondo, non uno alternativo.

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Una delle idee portanti della serie, all’inizio, era quella di mostrare delle guerre “sconosciute”: questo è un filone che non abbiamo seguito quanto avremmo voluto, anche perché a volte ci sono delle controversie politiche legate a questi aspetti. Per esempio, nella storia ambientata in Cecenia (Dampyr #14I ribelli N.d.R.), abbiamo usato i nomi  originali ceceni dei territori, molto meno noti al grande pubblico.
Tutto sommato, dunque, il fatto di essere legati a questa nostra realtà dura e non a una fantasia edulcorata già ci mette in contrasto non solo con il genere, pur letterariamente apprezzabile, di Ann Rice e simili, ma anche con quella deriva assolutamente rosa (e disdicevole a mio parere) di Twlight e soci. Non c’entriamo nulla con quel sottogenere e non possiamo, dunque, nemmeno cavalcarne l’onda del successo. Tra l’altro quel tipo di storie di vampiri, come anche altre che l’hanno preceduto, come Buffy l’Ammazzavampiri, è totalmente “fantasy”, totalmente irreale. Quello che invece noi cerchiamo di fare nelle storie  di Dampyr è trovare la plausibilità, senza elementi magici esagerati, assurdi o contrari alle leggi della fisica.
La seconda componente è quella fantastica, nella quale entrano in gioco le creature di altri mondi o quelle del folklore. O addirittura i mondi letterari di famosi autori horror.  Pur rispettando le regole della serie, questo tipo di vicende ha diritto a una maggior libertà e a dosi superiori di elementi onirici, surreali e perturbanti. Con un limite: il fantastico di Dampyr è sempre laico e razionale. Non ci possono essere divinità e neppure allegorie. Se usiamo un personaggio del folklore lo assimiliamo in qualche modo alla mitologia della serie. 

Fai molto uso dei personaggi delle mitologie e dei pantheon tipici dei paesi nei quali ambienti le storie.
Sì, ma col criterio di cui ho appena parlato. Nell’ultimo speciale (Speciale Dampyr #9 – Gli studenti della Scuola Nera N.d.R.), che è ambientato in Islanda, non ci sono né OdinoThor. E se ci fossero li spiegheremmo razionalmente. Un possibile fraintendimento: leggendo solo qualche numero di Dampyr e vedendoci dentro angeli e demoni, può portare a pensare che sia basato sulla religione, ma non è così! Abbiamo razionalizzato quelle figure come razze aliene che combattono per il possesso del multiverso. Ci hanno fatto credere di essere angeli e demoni ma in realtà non lo sono. Anzi, quel che risalta spesso nelle storie è che gli avversari di Caleb e Harlan, pur essendo cattivi e spietati, potrebbero avere le loro ragioni politiche nel comportarsi in quel modo.

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C’è una serie a fumetti americana edita dalla Vertigo, American Vampire, diventata molto famosa. Pur essendo nata dieci anni dopo Dampyr, ritrovo in quella serie varie affinità con esso.
Per fare un esempio, in Dampyr c’è un personaggio di serial killer/giustiziere, Jeff Carter, che è nato prima di Dexter
In ogni caso, ispirazione per Dampyr sono stati alcuni film di John Carpenter, come quello sui vampiri (Vampires, 1998 N.d.R.), che aveva qualche elemento di western reale, crudo. Non c’è dubbio poi che alcuni albi Vertigo, capolavori come Sandman e Preacher, abbiano ovviamente influenzato il nostro immaginario. Alcuni elementi provengono da lì, anche se l’ispirazione principale arriva dal cinema e dalla letteratura fantastica. Sia io che Maurizio Colombo siamo due ammiratori dei film di Dario Argento, del cinema espressionista, dei racconti fantastici di Weird Tales (pulp magazine statunitense, per molto tempo rivista di punta del genere letterario fantasy di lingua anglosassone N.d.R.) e dei classici dell’orrore, del gotico e del fantastico praghese. Tutti elementi che hanno concorso a formare l’immaginario dampyriano.

 Hai intenzione di sceneggiare, o far sceneggiare, nuovi episodi di Dampyr che abbiamo come sfondo eventi molto legati alla realtà o con un approccio di denuncia come quello ambientato a L’Aquila (Dampyr #155 – Il sigillo di Lazzaro)?
Prima ho citato il numero sulla Cecenia, che  era una specie di denuncia.
L’albo dedicato a L’Aquila nasce da una mia rabbia interiore per la situazione (e, quando sono stato lì, questa rabbia è cresciuta). Addirittura ero entrato in polemica con un lettore che affermava che l’allora governo Berlusconi e i politici locali avevano fatto grandi cose: io  sono andato lì dopo tre anni e ho verificato l’esatto contrario. Quindi quello che c’è scritto nel fumetto, l’apparente qualunquismo che viene fuori dalle parole di Harlan e di Kurjak è in realtà quello che pensa la popolazione aquilana, la loro disperazione. 
In questo caso ho affidato la storia a Diego Cajelli perché io non avevo il tempo di scriverla, ma la parte che riguarda la denuncia è stata fatta su mio suggerimento.
Questa attenzione alla realtà e al sociale è tipica di altri fumetti bonelliani. Mister No, per anni, è stato visto da Sergio (Bonelli N.d.R.) come un suo mezzo per dire le cose che pensava sulla realtà, sulla politica e sulla situazione sudamericana.  Naturalmente poi tutto è visto nel contesto di una storia d’avventura, totalmente immaginaria. 

Siete comunque riusciti a mostrare, anche visivamente, determinate situazioni che già di per sé sono una sorta di denuncia, di esposizione della situazione.
Siamo andati sul posto e abbiamo documentato lo stato delle cose scattando delle fotografie. In altri casi è bastato informarsi su libri e reportage. Per esempio, la storia ambientata in Angola è uno specchio della realtà africana, dove ci sono decine di situazioni di disperazione e di guerra. Anche quella storia è basata sulla realtà. L’unica differenza è che ci abbiamo messo dentro un paio di vampiri! 

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Dampyr è una serie con una forte continuity interna e con un senso reale del tempo che scorre: hai mai pensato a una fine della serie, alla difficoltà di mantenerla “all’infinito”, o a un passaggio di testimone del protagonista?
All’infinito” non l’ho mai pensato, perché niente è infinito e quindi non c’è problema!
In passato, i fumetti Bonelli e italiani in genere non avevano una vera continuity, seppur con le dovute eccezioni: il Piccolo Ranger, per esempio, era strutturato come un feuilleton ed era dunque una saga continuativa. Anche Ken Parker aveva una continuity ferrea, con il personaggio che invecchia nel corso delle avventure. 
Diciamo che, in soldoni, ci sono due tipi possibili di serie: quelle che hanno una continuity e quelli che non ce l’hanno.  Con il secondo genere di serie si riparte sempre daccapo e non è tanto importante che ci sia una coerenza “storica”. Docet Dylan Dog con le sue fidanzate ogni volta diverse. Se c’è la continuity, invece, le cose si complicano, bisogna portarsi dietro dettagli, incontri, ricordi, personaggi, azioni dei personaggi, cause delle azioni, e non sgarrare o sbagliare mai. Bisognerebbe stilare una mappa spazial-cronologica con tutto quello che fanno i vari personaggi anche quando non sono  presenti sulle pagine, per sapere come e quando ricompariranno… Naturalmente però non mi sogno neppure di fare un programma così puntiglioso e scientifico!  Ci vorrebbe troppo tempo! Mi affido solo alla mia mente incasinata e a una congerie di appunti disordinatissimi e confusi con le linee guida della saga e qualche incredibile spunto da realizzare in futuro. L’importante è mantenere la bussola durante la complicata navigazione. Ci sono tanti personaggi che tornano, ci sono tante storie minori all’interno della macrosaga di Dampyr, e dunque ci possono essere altrettanti finali, tranne ovviamente quello che riguarda il protagonista assoluto.

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In 170 numeri e rotti (e mentre vi parlo stiamo realizzando il 190) molti comprimari dampyriani sono già  morti e le loro storie si sono concluse. In una serie con continuity, il lettore sa o suppone che può accadere come nella vita vera. C’è la morte e c’è l’invecchiamento. La vita di tutti loro si può interrompere, tranne ovviamente quella dell’eroe. Se la serie dovesse andare avanti, poniamo il caso, sessant’anni come Tex, anche se per ovvi motivi non credo proprio questo possa avvenire, allora tutti i personaggi morirebbero  di vecchiaia, tranne quelli come Tesla, gli altri vampiri, i vari esseri di altri mondi e naturalmente Harlan,  che in quanto Dampyr può arrivare quasi a i tre secoli! Idea fantastica per un fumetto superlongevo! Però di questi tempi già i quindici anni di vita di Dampyr mi sembrano notevoli. Pensiamo con reverenza a Magico Vento che, pur avendo un buon successo, ci ha lasciato assai prima.
Ripeto, le storie interne alla serie possono finire e, infatti, alcune le ho concluse, anche di personaggi interessanti, come l’agente speciale del S.O.E. Vera Bendix, e il poeta anarchico Victor che sono deceduti, più o meno, per anzianità. Altri sono morti tragicamente, come il serial killer Jeff Carter. Anche Lisa, di cui Dampyr era infatuato, ci ha in un certo senso lasciato.

Come in Ken Parker c’era un invecchiamento dei personaggi, lo stesso avviene in Dampyr. La vita scorre veramente nella serie, a differenza della cristallizzazione che abbiamo in altri fumetti.
Esatto, con le eccezioni che ti ho detto. L’unico che potrebbe avere qualche problema è Kurjak, che aveva già quasi quarant’anni all’epoca del primo numero, e adesso ne ha cinquantacinque. Infatti, inizia a dire che deve smettere di fumare e che sta invecchiando, in qualche storia si chiede anche chi spingerà la sua sedia a rotelle.
Un altro personaggio cui tenevo molto, cioè Ann Jurging, ideata da Maurizio Colombo,  era già piuttosto anziana all’inizio della serie e quindi l’ho miracolosamente ringiovanita grazie a un trucco spazio-temporale. Altri personaggi  sono in una specie di limbo e li ho un po’ trascurati, ma presto risentiremo parlare di Dolly McLaine e del professor Foster.
Ci sono alcuni fili narrativi che avrei voluto seguire di più, ma poi altri hanno invece preso il sopravvento. Conto però di dare spazio a tutti, se i lettori continueranno a seguirci. Per esempio presto torneranno Amber Tremayne e il ciclo celtico. Ricompariranno Black Annis, Matthew Shady e le loro vicende si collegheranno a quelle di Draka e Dolly McLaine. Verrà svelato il mistero del Dampyr del passato, riapparirà quello del futuro  ecc… ecc…

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La nascita di un nuovo Dampyr (dal n°162 della serie)

Già, nel numero 162 è nato un altro Dampyr, Charles Moore…
Sì, è chiaro che lui è talmente piccolo che non credo avrà mai un ruolo da eroe, non avendo la serie assicurata una longevità come Tex o Zagor!  Sicuramente però comparirà in altri episodi che già sto scrivendo e un ruolo preciso, sia pure come pedina, l’avrà.

Non hai mai pensato a scrivere delle storie anche sul bardo Taliesin, il Dampyr del passato?
Come ti stavo dicendo ce ne sono alcune in arrivo in produzione la cui uscita è stata ritardata dalla complessità della trama, ma vedranno la luce finalmente a partire dall’inizio del 2015.  L’unico problema di questo tipo di storie nel passato è che, mentre finora sono stato molto attento a costruire due vicende parallele, una nel passato e una nel presente, oppure a usare il trucco di ambientarle in un passato alternativo, come ho fatto nel ciclo della Londra Vittoriana (Dampyr #133-136 N.d.R.), stavolta mi sono stancato di usare sotterfugi, quindi avremo, in alcuni casi, delle avventure in cui Amber Tremayne, Taliesin e altri personaggi dell’epoca arturiana vivranno vicende senza la partecipazione attiva di Harlan Draka.  Cosa abbastanza estrema, poiché il titolare della serie non comparirà nella storia se non come fruitore di essa al pari del lettore.

Dampyr #167 nasce dal soggetto di un lettore: ce ne parli?
Beh, se c’è una buona idea, e questa, secondo me, lo era, cioè il fatto del figlio di una vittima di Tesla quando era una malvagia vampira, e che ora vuole vendicarsi sulla nostra eroina, perché non realizzarla, anche se non è venuta in mente a noi? 

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Da Dampyr #167

La cosa interessante è stata puntare l’attenzione su Tesla.
È interessante appunto perché si svelano delle cose sul personaggio. Il lettore soggettista, parlando di questa sua idea, ha citato una mia storia di Tex, Il passato di Carson (Tex #407-409), dicendo che era stata una fonte d’ispirazione.
Una storia che tratta del passato, dell’anima e dei sentimenti di uno dei personaggi principali è sempre interessante. Il fatto che il soggetto sia venuto dall’idea di un lettore è solamente un caso, poteva anche essere di un altro professionista che si propone e che magari non è in grado di scrivere la sceneggiatura perché non è tecnicamente adatto alla serie. Questo accade molto di rado su Dampyr, solo un paio di volte abbiamo scritto sceneggiature su soggetti altrui ed erano sempre di colleghi che in quel momento non avevano tempo o che erano, purtroppo, scomparsi, come Mario Faggella, di cui io ho realizzato una sceneggiatura su un suo soggetto (Dampyr #107 – Il musicista stregato). Perciò quello del numero 167 è un caso piuttosto singolare, più unico che raro, ma perché no?

Rimanendo all’interno di Dampyr, un suo sceneggiatore che è Claudio Falco, faceva tutt’altro lavoro e penso che continui tuttora a farlo giusto? Lui è un medico.
Sì, infatti. Anche lui era un appassionato, ma tutti noi nasciamo come appassionati.

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In una recente intervista che abbiamo fatto a Fabiano Ambu, incentrata anche sull’edizione da lui prodotta de Le matite de La casa di Faust (in origine Dampyr #121) , parlando del materiale extra a corredo del volume lui dice “I contenuti extra sono le “tavole” di sceneggiatura di Mauro Boselli, vere e proprie opere d’arte che mostrano la notevole creatività che si nasconde nella scrittura di Mauro, si possono leggere le sue battute riferite al disegnatore oppure ammirare i suoi disegnini scarabocchiati che servono a definire le scene.”
In realtà è quello che faceva già GL Bonelli. Le sue tavole di sceneggiatura, che io vedevo in diretta tanti anni fa, erano fatte secondo la tecnica del lay-out o dello storyboard, che è più immediata e grafica. Inoltre lui colloquiava per iscritto con i disegnatori con battute e commenti, come faceva anche Tiziano Sclavi (che però non faceva lo storyboard). Anche Sergio (Bonelli N.d.R.) divideva la tavola in vignette, però non scriveva quasi le descrizioni; lui si limitava a disegnini espressivi, le disegnava proprio in stile umoristico! Il dialogo diretto con i disegnatori con cui si è in confidenza aiuta a trovare l’armonia giusta per un lavoro migliore, Non funziona sempre, bisogna crearla, questa sintonia.
 Ho letto recentemente una vostra recensione pubblicata anni fa sul Texone disegnato da Pasquale Frisenda (Patagonia – 2009 N.d.R.), dove ci si domandava se alcune scelte grafiche fossero da ricondurre alla mia sceneggiatura. In effetti è così, anche se poi ci vuole il disegnatore che sappia realizzarle, non è che si può impunemente chiedere tutto a chiunque. In quel caso c’era il grandissimo Frisenda e ho potuto esigere da lui delle cose difficili.
Sceneggiatore e disegnatore lavorano separati, ma si telefonano, si scambiano e-mail con le matite e i bozzetti. Per quanto mi riguarda, quando il disegnatore passa in ufficio e ci vediamo, esaminiamo le pagine di sceneggiatura vignetta per vignetta, e arriviamo al punto di mimare le sequenze o di recitarle.
Detto questo, si può anche fare senza!  Dovresti vedere le tavole che, casualmente, sono state disegnate da due artisti diversi, perché magari uno ha interrotto la storia. Per esempio, una storia che ora sta disegnando Corrado Mastantuono per Tex doveva essere, in origine, il Texone di Massimo Carnevale. Giusto ieri stavo guardando le matite di entrambi e le inquadrature, le distanze, l’angolo di ripresa sono identici, cambiano giusto i volti dei personaggi. Questo perché la mia sceneggiatura è piuttosto ferrea e anche chi lavora per la prima volta con me, nel breve giro di una consegna di matite capisce che non deve sgarrare. La sceneggiatura è la regia totale del fumetto.

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Tex di Massimo Carnevale (sin.) e Corrado Mastantuono (des.)

Poi c’è chi è più libero e chi meno: per esempio, un mio caro amico, il maestro catalano Alfonso Font a volte si prende qualche piccola libertà, ma se si allarga troppo riporto all’ordine anche lui. Eh! Eh! Potenza del curatore…
Su certi aspetti fondamentali non si può derogare: per la Bonelli la leggibilità e la comprensione vengono prima di tutto, per cui non si possono disegnare vignette artistiche ma incomprensibili, la narrazione è fondamentale. Per esempio, chi parla per primo deve essere a sinistra, tranne rari casi. Queste per noi sono regole assolute, che tali non sono negli altri generi di fumetti. Io ero un grande lettore della Marvel, ma ultimamente i loro albi mi sembrano un po’ tutti uguali con pagine incasinate e con colori pesanti che trovo illeggibili. Mentre se riprendo in mano un Jack Kirby lo trovo ancora fantastico.

 

 Fine prima parte (continua)

 Intervista realizzata telefonicamente tra il 18 e il 25 febbraio 2014

 

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