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Concetto al buio, leggere fa male

Creato il 06 luglio 2010 da Letteratitudine

Ci sono storie che scavano dentro, che lasciano solchi, che afferrano per la gola cogliendo il lettore impreparato, sorprendendolo di continuo. Sono queste le sensazioni dominanti che suscita la lettura di “Concetto al buio”, la nuova opera narrativa di Rosario Palazzolo (pubblicata da Perdisa Pop nella collana Babele Suite).
Per la verità l’autore ci mette in guardia già a partire dalla prima delle epigrafi scelte. È una citazione tratta da La cantina di Thomas Bernhard, e dice così: “Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, è disturbo e irritazione. Tutta la mia vita in quanto esistenza non è altro che un continuo disturbare e irritare. Giacché richiamo l’attenzione su dei fatti che disturbano e irritano. Io non sono un uomo che lascia in pace la gente”.
“Concetto al buio” è una storia che disturba, irrita… che afferra alla gola, dicevo… ma non perché contiene descrizioni cruente. Tutt’altro. Qui è la suggestione, a padroneggiare. È la capacità dell’autore di imbastire un racconto avvalendosi di un approccio avvolgente, ipnotico. Squarci di una realtà amara e dolorosa che si dipanano con lentezza, ma in maniera inesorabile. Il lettore ci si trova nel mezzo. All’inizio della storia si può avere l’impressione di possedere tutte le coordinate degli eventi, ma ciò che nella fase preliminare della lettura sembra chiaro ed evidente si rivela – ben presto – come il frutto di una visuale sfocata. C’è un momento in cui il lettore proverà un inevitabile senso di straniamento, per poi capire – con sorpresa - che la storia che sta leggendo non è il semplice dramma del presunto protagonista… ma l’intreccio delle vite di almeno tre personaggi legati da un destino e una condizione orribili. Girata l’ultima pagina, la tentazione di rileggere tutto dall’inizio è quasi irresistibile.
Non c’è dubbio che Palazzolo sia bravo a mischiare le carte (a creare un effetto straniante, dicevo)… ma lo fa avvalendosi di un linguaggio e di una caratterizzazione forti e di qualità.

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La storia inizia in una stanza chiusa. C’è un ragazzino che vi è segregato dentro.
Il senso di ciò che accade, l’atmosfera, si percepisce sin dalle prime pagine: “è successo ieri, verso sera, ho sentito che sprangavano la porta, che ci mettevano delle assi di legno, ho sentito che le inchiudevano per bene, la buttanissima strega con la solita voce smozzicata da strega dava degli ordini secchi, l’altra invece non parlava, eseguiva soltanto, ogni tanto faceva degli sbuffi di naso come di chi si sta stancando tropp’assai, erano degli sbuffi angosciati, pure, forse perché nel mentre, sotto sotto, stava piangendo”.
Le identità delle due donne vengono rivelate solo alla fine, quando i pezzi di questo puzzle narrativo si ricompongono.

E poi la storia viene intramezzata da un diario. Una sorta di lunga lettera indirizzata a Gesù crocifisso. “Una storia segreta e difficile (leggiamo nella scheda del libro), un padre silenzioso, una madre arcigna, un prete che impartisce crudeltà morali”.
Comincia così: palermo, 9 novembre 1984, ore 20 e 37
Questa sequenza di missive, a mio avviso, ha un che di commovente e (nonostante l’epilogo tutt’altro che a “lieto fine”) testimonia l’esistenza di una grande fede, per quanto semplice, disperata, talvolta distorta: “… visto che sei il più grandissimo, fai una cosa piccola per me, caro gesù: da adesso in poi, e per tutto il tempo del mio racconto, non ti mettere nessuna espressione, fatti di niente, ascolta la storia che infilerò dentro al foglio e non spiccicare parola, perché solo così potrò scrivere senza vergogna tutto quello che è successo, solo così potrò azzerare per poi ricominciare daccapo… e allora ci stai a questo giochetto? ci stai a scancellarti da ogni dove? grazie gesù mio, schiodati dalla croce e scomparisci, per favore”.

Vorrei discutere insieme a voi e a Rosario Palazzolo di questo suo libro e – contestualmente – soffermarmi su un paio di requisiti essenziali (sebbene non unici) di ogni narrazione: il linguaggio e lo stile, da una parte; la trama, dall’altra.

E sarà questa la base di partenza della discussione parallela che accompagnerà quella sul libro…
Come sempre, al fine di incentivare il dibattito, provo a formulare alcune domande.

Nella “economia” di una storia che ruolo giocano linguaggio, stile e trama?

Tra linguaggio e stile (da una parte) e trama (dall’altra) - premesso che dovrebbero sempre amalgamarsi in maniera simbiotica e sinergica - chi riveste (o dovrebbe rivestire) il ruolo prevalente?

a) Linguaggio e stile sono a servizio della trama. b) La trama è condizionata da linguaggio e stile.
Quali, tra le suddette affermazioni, vi sembra la più condivisibile?

State per andare in vacanza e siete costretti a scegliere un libro da portare con voi, tra i due seguenti: il primo - secondo i vostri gusti - è dotato di stile e linguaggio sopraffini, ma ha una trama ridicola; il secondo ha una trama avvincente e ben strutturata, ma linguaggio e stile sono decisamente mediocri.
Quale libro portate con voi?

L’importanza che si attribuisce a linguaggio, stile e trama può variare a seconda del “genere letterario” di riferimento?

Spero che queste domande possano innescare una bella discussione (parallela, ripeto, a quella che riguarderà “Concetto al buio”).

Prima di chiudere, segnalo che avrò il piacere di presentare Rosario Palazzolo e questo suo libro nell’ambito dell’evento “Leggere fa male” organizzato da Alessandro Zannoni e che si svolgerà dal21 al 23 luglio a Bocca Di Magra (Porticciolo)… come meglio specificato nella locandina qui sotto.
Alessandro parteciperà alla discussione raccontandoci meglio i dettagli e la storia di questo evento letterario.

Massimo Maugeri

P.s. dato che Alessandro Zannoni è pure scrittore, avrò modo di aggiornare questo post con riferimento al suo nuovo romanzo “Imperfetto” (anche questo edito da Perdisa Pop). Ne parleremo nella seconda fase di questo dibattito.

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