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Condanne dolomitiche

Creato il 09 agosto 2010 da Desian

 

Condanne dolomitiche

foto:flickr

 

Cambia continuamente il cielo di questa giornata. Certo che c’è il sole ma il contorno bianco di nuvole e nuvole si sposta e si sfilaccia a seconda di come il vento lo sospinga.

 

Siamo sotto la Roda di Vael (o più precisamente sotto la Torre Finestra, ché la Roda di Vael è un po’ più dietro, più bassa; da qui non si vede) ma sembra di essere in pieno centro, a Firenze: un ragazzo veneziano, appena approdato sul pianoro del rifugio omonimo, butta un’occhiata attorno e poi sconsolatamente gli cadono le braccia, “xè come piazza San Marco”. Ecco, appunto. Con la differenza che almeno non c’è la basilica…

In effetti è abbastanza un bordello: persone di tutte le età che si muovono in ogni direzione, chi sale, chi scende, chi sta a naso all’insù. Decine e centinaia di persone, perché se il mattino comincia con una seggiovia sotto il sedere (che ti fa saltare 500 metri di dislivello), va da sé quanto popolo possa esserci su per quei sentieri.

E, tra una nuvola e l'altra, ecco che spunta allo sguardo persino la Sforcella.

E’ un po’ questa la condanna perenne di questi luoghi, tra Catinaccio e Latemar, tra le cose migliori che le Dolomiti offrano: l’equilibrio impossibile tra bellezza, rispetto ed economia. Se così tanti turisti riempiono queste valli in ogni poro (pronti a riversarsi su decine di sentieri come un battaglione di solerti impiegati) forse potrebbe anche essere il segno di una consapevolezza maggiore, di un’esigenza di svago differente, di uno stile alternativo al turismo plastificato.

Ma è davvero così? O magari lo era un tempo ed oggi non più? O forse il meccanismo è identico anche dove appare differente?

Farsi una foto in un angolo caratteristico è come stare in coda al supermarket, qualcuno che grida frasi inutili dentro un cellulare c’è sempre.

E poi il benessere. C’è tanta gente agghindata con vestiti, materiali ed attrezzature a basso costo ma ce ne sono anche tanti che sfoggiano quanto di meglio la manifattura tessile asiatica sia oggi in grado di produrre per i mercati ricchi del mondo. Tessuti in fibre che dieci anni fa (ma che dico dieci? Forse anche solo cinque) non erano state ancora pensate e, mentre segui il passo di coloro che ti camminano davanti, noti le rifiniture perfette di quel cappuccio o la fantasia chiaramente ricercatissima di quella stoffa che serve solo per foderare un capo che puzza di firma anche da qui.

Insomma mi chiedo cosa c’entri il benessere con la fatica di arrampicarsi su per quei pendii, già che la fatica cerchiamo di rifuggirla in ogni modo nella nostra vita quotidiana, quella fatta di benessere, fitness, relax, health club.

Cosa ci viene in mente di gettare al vento il nostro ben bilanciato ritmo di vita bianco-occidentale-europeo, per gettarci a capofitto su (o giù) per quei viottoli dove la polvere ti mangia, dove il sudore cola giù senza chiederti permesso, dove inciampi ad ogni radice (ah già, la riconosci solo ora che è una radice… eh, non sei proprio abituato a vederne, in città)?!

In queste giornate così convulse, dove anche in quota si sta fitti come su un autobus dell’ora di punta, dov’è finita la misticheggiante retorica dei veri appassionati, quella iscritta, come su pietra, sulle riviste del settore che maledicono queste torme di maleducati e rumorosi invasori?

Anche questa passione, un tempo asperrima e selvatica (chissà perché mi torna in mente sempre e soltanto un nome, Tita Piaz…), si è oggi stemperata nel denaro che i turisti scambiano per un po’ di illusioni. Certo la bellezza dei luoghi resta, è immutabile, nessuna torma te la può portare via: basta alzare gli occhi e riempirseli coi rossi del tramonto (se le nuvole non sono troppo basse…). Ma pace e tranquillità non ci sono più, scomparse. Tradite dai negozietti che ormai vendono di tutto, dal gadget falso-etnico (e magari made in Cina esso stesso) alla carta dei sentieri, dal vino al kitsch purissimo.

Una cosa sola, forse, può spiegare tanto accanirsi di così tante persone che, imperterrite, anno dopo anno, continuano a tornare in questi luoghi: il miraggio di un sentiero che scende verso valle nel pomeriggio. Un sentiero deserto dove nessun altro passo riecheggia. Allora ecco che torna il silenzio, solo il tuo passo batte sulla terra e la mente è libera, finalmente, di fare le proprie evoluzioni. Il vuoto, il silenzio: quello che cercavi.

Poi, mentre scendi verso valle immerso nei tuoi pensieri, sono i rumori di automobili costruite in Germania, caricate nel porto di Rotterdam e sdoganate in quello di Livorno che ti riportano alla realtà.


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