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Condropatia, obesità, capricci e piccole disperazioni acquatiche

Creato il 29 gennaio 2014 da Unarosaverde

Ieri ho chiesto aiuto. E’ una cosa che detesto fare. La evito il più possibile con gli estranei. Sovrabbondo con chi mi ha cresciuto, per compensazione. Anche l’anno scorso in questo periodo ho chiesto aiuto, per lo stesso motivo e con la stessa frustrazione.

Ero andata in un centro riabilitativo superspecializzato, dopo un anno e mezzo di zoppia, dicendo che non ce la facevo più dal male, che l’ortopedico non prendeva nemmeno in considerazione l’idea di operarmi, che dovevo dimagrire e rafforzare il vasto mediale. Mi hanno detto: “vieni, sei nel posto giusto, ti aiutiamo noi”. Ho fatto tutto quello che dovevo fare, tranne dimagrire. Se sei grasso la prima cosa che ti dicono, anche se hai un raffreddore, è che devi dimagrire: tutte le altre possibili ipotesi arrivano solo molti mesi e molti soldi dopo. Ho speso in pochi mesi molti soldi, più di 3.000 euro: sedute a giorni alterni, a scapito delle mie ore di ferie, visite superspecialistiche e inutili, infiltrazioni, plantari, tecar, laser, taping, massaggi, teorie di esercizi alle macchine, stretching. La terra dei tentativi. Ho risolto molto poco: il dolore non è diminuito, il portafoglio si è svuotato, la mia pazienza si è esaurita. Sono quasi nella stessa situazione in cui ero l’anno precedente, dopo la fisioterapia alla ASL, dopo un intervento che forse non avrebbero dovuto farmi. Chissà. Non sono ancora riuscita ad avere un parere obiettivo: la medicina si muove per ipotesi e soggettività. E io non sono più un buon paziente: sono grassa e pretendo risposte scientifiche supportate da prove da chi fa un lavoro scientifico altrimenti non ci credo. Eppure da ognuno ricevo risposte diverse con un’unica costante: dimagrire. L’unico che non me lo ha detto era un fisioterapista sovrappeso. Mi ha detto: “c’entra, ma non è l’unica cosa, viene anche a chi è magro”. Dopo tre anni forse non sono nemmeno più un paziente. Sono così e basta: zoppico. Ogni esercizio che prevede la posizione eretta per me è un supplizio. “Ditele di tornare da me a settembre se non risolve”, ha detto l’ortopedico a giugno ai fisioterapisti perplessi dopo cinque mesi di tentativi vani. Non mi ha ancora visto. E non mi hanno più visto quelli del centro, dopo le vacanze estive, anche se avevo altre viste superspecialistiche da fare. Sono stufa  di tentativi e di buttare i soldi.

Non prendo farmaci, sono troppo giovane. Un farmaco tira l’altro e l’asticella si alza: se inizio e magari vivo ancora per qualche lustro dove posso arrivare ad ogni livello di assuefazione raggiunto? Ogni tanto mi metto un cerottone lenitivo, mi sono comprata un apparecchietto per la tens e l’elettrostimolazione e lo uso con continuità, integro con condroitina e glucosammina a cicli di due mesi. A volte ingollo un flaconcino di Zeel T, tanto per non trascurare neppure l’omeopatia. Ho letto tutto quello che ho potuto sulla condropatia: dicono che l’ho mediale e rotulea. Dicono che sospettano sia più seria di quanto appaia nelle risonanze. Meglio però non entrare per andare a vedere da vicino: potrebbe peggiorare la cosa. Certa gente ce l’ha ed è asintomatica. Certi altri ne soffrono e si cambia loro la vita fino a quando non ricevono in regalo una protesi. Leggo i forum a tema in modo ossessivo e periodico. Qualcuno risolve, la maggior parte no. Viene a tutte le età, con lo sviluppo passa, oltre lo sviluppo degenera in artrosi. Interventi e infiltrazioni sono tentativi e palliativi. A volte funzionano, spesso no. Forse le superstaminali da cui ci si aspetta più miracoli che da tutti gli  dei dell’olimpo risolveranno la situazione.

Anzi, volendo, una mezza cura con i fattori di crescita ci sarebbe già, la fanno i calciatori: a ginocchio aperto in sala operatoria, o forse in regime ambulatoriale a ginocchio chiuso, o forse ancora su un lettino di studio medico in pochi minuti. Vai a sapere cosa ti buttano dentro: certi parlano di prelievi da punti del tuo corpo, certi di sangue trattato in un determinato modo per qualche tempo, a certi basta una centrifugatina del tuo sangue e in poco tempo eccola qui la speranza. I costi, non mutuabili, sono nell’ordine dei 1.000 euro ad iniezione, metodo più o meno lungo. Per certi ortopedici puoi scendere giù dal lettino subito, per altri si deve tenere il ginocchio in scarico per un certo periodo. Ma stanno parlando della stessa cosa? Boh. Non lo capisco io. Certi sventolano il bisturi con gli occhi che luccicano, aprono e trasferiscono cartilagine da un luogo all’altro. Conosco uno, bello grosso e grasso, direi, a cui l’ortopedico ha proposto la cosa. Ha accettato dopo sei mesi di stampelle e dolori. Si è fatto cinque mesi di divano, ma adesso dice che non ha nessun dolore nel punto in cui l’aveva prima. L’ha in un altro luogo , ma è meno fastidioso. “Ma non ti hanno detto che sei grasso e prima dell’intervento dovevi dimagrire?”, ho chiesto un po’ invidiosa? “Mi hanno detto che sono grasso, ma l’intervento me lo hanno fatto lo stesso.” Io cinque mesi di divano non ho voglia di farli. Non ho nemmeno un ortopedico interventista direi, sempre che abbia ancora un ortopedico. Li cambio con più frequenza del parrucchiere. Ho considerato la cosa con gli altri punti del mio corpo: ne abbiamo parlato tutti insieme e abbiamo deciso che non abbiamo voglia di creare buchi e dolore là dove non esistono per provare a risolverne altri. Siamo fifoni, gli altri punti del mio corpo ed io.

E allora ieri ho chiesto aiuto perché il vasto mediale tutto sommato se la cava bene, ma sto ingrassando ad un ritmo di otto chili all’anno e ne sono passati tre, fatevi i conti, e già la situazione non era proprio snella prima. Il problema è che mi stanco con niente, adesso che non faccio più niente: faccio le scale e rantolo. Non mi piego più sulle ginocchia se non in piscina perché il cervello mi blocca: attenta, fa male! Non puoi! Non correrei nemmeno se fosse una questione di vita o di morte: catene d’acciaio mi tengono inchiodata al terreno e faccio passettini da anziana, cauti e lentissimi, quando il terreno ha qualche discontinuità. Ahi! Ahi! Sono, fisicamente, uno straccio, direi con tutta l’obiettività possibile. E ho frequenti cali d’umore e picchi di nervosismo: mi ero abituata a stare bene con me stessa, quando facevo tanto sport. Ma devo rassegnarmi per davvero?

Più di metà dei visitatori di questo blog arriva qui per leggere la mia lista dello zaino da portarsi sul Cammino di Santiago e altri post a tema: ogni giorno vedo le statistiche e sospiro. Andranno dove vorrei tornare, dove sono stata, quando stavo bene.

E così ieri ho chiesto aiuto, scrivevo parecchie righe fa. Sono andata in piscina, mi sono fatta avvolgere dalla nuvola calda e dall’odore di cloro, ho parlato con un istruttore con cui facevo corsi ai tempi in cui macinavo vasche su vasche senza nemmeno ansimare e gli ho detto che sono in un baratro più fondo del baratro in cui stavo l’anno scorso. Forse in acqua, posto in cui sto bene, potrei trovare la risposta che sto cercando da tre anni, ma posso unirmi ai corsi iniziati da mesi senza rallentare troppo il lavoro degli altri? Mi metto in un angolo e dove arrivo, arrivo? No, niente più gambe a rana però il resto sì, posso provarlo. No, niente esercizi in acqua bassa, però in quella alta sì, posso provare. “Mi aiuti?”, ho chiesto. Mi aiuti ad aiutarmi, ho chiesto in realtà. “Vieni, ti aspetto. Vedi come va. Eri una tosta, tu”. Mi ha detto. “Mai mollare”, ha aggiunto chiamandomi per nome. “Non sono più tosta e ho già mollato.”, gli ho risposto. “Però ci vediamo giovedì”. E così provo a ripartire, di nuovo. Gli orari sono serali e non dovrò scendere a compromessi al lavoro; da qui a maggio prevedo una spesa di 300 euro al massimo, ma proprio al massimo, pari al 10% di quella dell’anno scorso. Il nuoto è uno sport più democratico. Mal che vada, se non avrò la forza di volontà per ricominciare, se sarà inutile e non migliorerà la situazione, per qualche sera mi infilerò a letto pulitissima e profumata di cloro.

Ieri le vasche erano affollate, ma il mio corpo ha riconosciuto l’acqua, la mia mano si è allungata a prenderla, bracciata dopo bracciata, perché si ricorda che nuotare è come scalare una montagna: non si deve scivolare. Ci si arrampica da un muretto all’altro. E se in un’ora ho fatto venti vasche – e poi ho fatto finta di fare esercizi di fisioterapia – perché non ho trovato l’impulso per continuare quando tre anni fa ne facevo cento e poi andavo avanti per altre cento fino a quando mi si squamavano le dita forse è solo una questione di ricominciare da capo.  Forse.


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