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Confessioni di un mantenuto

Da Robertodragone

Dovete sapere che io sono un mantenuto. A quanto pare rientro anche in una media, infatti statisticamente non so quanti milioni di “giovani” in questo periodo sono bloccati nel limbo che c’è tra la fine della formazione scolastica e l’introduzione nel mondo lavorativo. Questa è la “teoria”, perché la pratica mi rende ben diverso e molto meno vittima. In questo limbo ci sono da così tanto tempo che ho perso il conto. Dall’inizio, sono cambiato molto, e se nella statistica sono compresi solo i giovani che stanno subendo la crisi, che hanno un diploma o una laurea e ora si ritrovano in mondo (o Paese?) gestito male che non è in grado di dar loro delle prospettive per il futuro, io mi sento in una sotto-categoria la cui crisi è anche esistenziale, la “butto sul personale”, molto personale, tanto che da quando è iniziato questa sorta di brutto periodo ho avuto così tanto tempo per pensare che ogni puntura d’ago è diventata un problema, ogni pensiero un dramma, e ogni passo un viaggio impossibile da fare.

Faccio il mantenuto, ma sono uno “complicato”, perché – me lo hanno sempre detto, ma il vero senso l’ho capito solamente ora – me lo posso permettere. Posso perdermi in inutili problemi esistenziali – che tanto inutili non sono, ma sono “cattivi”, perché mi irrigidiscono dalla paura, e io inerme non posso fare – anzi, non riesco a fare un beneamato cazzo.

Ma diciamo le cose come stanno, arriviamo al punto. Sono le sei e quattordici minuti del mattino, è lunedì. Poco fa mi sono alzato per andare a bere. Non mi capita quasi  mai di svegliarmi, che sia per andare a bere o fare pipì, prima delle undici del mattino. Mi sveglio tardi, cosa che mi mette in imbarazzo. Ho sempre evitato di svegliarmi tardi mettendo una sveglia, ma se prima riuscivo ad alzarmi fresco come una rosa, ora (dice una mia amica psicologa, ma non so se crederci tanto), poiché capita (tutte le mattine) di sentire la sveglia, anzi, di svegliarmi prima della sveglia per staccarla senza farla suonare, per poi restare immobile nel letto aspettando che mi venga la forza per alzarmi, probabilmente questo mio atteggiamento è dovuto a una sorta di depressione (dico “sorta” ma lei non lo dice; anzi, continua a ripetermi di essere uno dei pochi depressi veri che lei conosce; insomma, è un onore) che mi mette nei panni di chi non vuole affrontare la giornata e vuole restare in un luogo sicuro (in questo caso, con la testa immersa sotto le coperte) anziché entrare in un luogo insicuro e pieno di sfide (= la giornata).

Sapevo che la mia totale mancanza di competizione mi avrebbe fottuto.

Ora arrivo al punto. Insomma, ora sono le sei e venti e poco fa mi sono alzato per bere, e ho anche pisciato. Ho incontrato mio padre in cucina, che, sorpreso, mi fa: “Ehi, ciao”. Per quanto possa sembrare un saluto sarcastico, come per dire “Ehi, il mantenuto si sveglia presto?”, non lo era. I miei non mi hanno mai fatto pesare questa situazione; sono io, da bravo mantenuto intelligente (una ulteriore sotto-categoria) che mi sento in colpa per un’infinità di svariate azioni, tra cui una semplicissima: farmi trovare seduto sul divano da mio padre che torna da lavoro, a guardare la tv. Il fatto è che il divano è in salotto e il salotto è all’ingresso, e quindi appena apre la porta la sera si ritrova davanti il figlioletto alto due metri che, poverino, è depresso. Ma aspettate che forse ho capito il motivo di questa mia vergogna di farmi trovare lì sopra al suo ritorno dal lavoro. La mia amica sarà fiera di me, anzi, Tremonti sarà fiero di me.

Infatti prima, tornato a letto, ho iniziato a pensare aspettando che il sonno mi rapisse sino a mezzogiorno. Ascoltavo il vento forte che soffiava e pensavo come mi sarei sentito se, al posto di tornare al letto, mi sarei dovuto alzare per uscire e andare a lavorare. Non sono uno “sfaticato”, a me rispetto ad altri miei “amici” mantenuti (una comitiva, in pratica) pesa molto questa situazione (la sotto-categoria di intelligenti di cui vi parlavo). Ma i miei pensieri non si sono fermati lì. Ho pensato a mio padre come un essere schiavizzato dai miei vizi e i miei problemi esistenziali. Insomma, io “posso” permettermi di stare fermo a essere “depresso” (cit.), ma lui esce alle sei e un quarto del mattino per andare a fare un lavoro noioso con un tempo di merda che gli congela il sangue in corpo. Mio padre è camionista, è ho avuto quest’immagine infinita della strada, e lui lì a fissarla. Una ripetizione infinita di un concetto, la sua vita schiavizzata per permettermi di guardare Sky.

Lo vedo, mio padre non è felice nel senso stretto del termine. E’ come se non avesse stimoli, e a me dispiace molto. Non so quante volte ho cercato di smuoverlo e svegliarlo – il figlio depresso e mantenuto che sveglia il padre che lavora e che si è costruito una vita. Io e lui non andiamo molto d’accordo ma in momenti di illuminazione mentale come questo mi rendo conto che mio padre, da me, meriterebbe sono un profondo rispetto, a prescindere di tutte le caratteristiche che ci rendono differenti e litiganti. Ma non solo, perché in questa storia io faccio una figura di merda gigantesca. Mi sento un bug nell’esistenza dell’uomo, un errore che non è in grado di gestire la sua esistenza e si perde in inutili problemi e inutili riflessioni. Un bug terrorizzato, un errore che verrà dimenticato per colpa della sua inutilità nell’infinito (per quanto inspiegabile) piano sul proseguimento della razza umana. Sono le sette meno venti e mi sento di essere arrivato a una consapevolezza di me tale da rendermi la persona più triste del mondo. La mia attuale esistenza si riduce a una paura di vivere il futuro tale da bloccarmi e rendermi inerme di fronte allo spettacolo della mia vita che prosegue e va, per non tornare più.

Spesso, quando sono in casa senza fare niente, e fuori fa freddo, mi viene in mente di vestirmi e uscire in strada, per poi sedermi su una panchina e sentire freddo.

Penso che tutto questo post dimostra alla mia amica un altro paio di sue teorie sulla mia testa; infatti dopo tutto questo insieme di complicati pensieri (che sono, per me, una routine) non sono riuscito più a dormire; ho dovuto accendere subito il portatile (pagato con i soldi miei di quanto lavoravo – sì, perché non sono stato sempre così) e ho dovuto scrivere quello che provo. Anche solo per avere la coscienza pulita e ritornare a dormire, ma ho scritto.


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