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Conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. La strategia del centrodestra sul caso Ruby

Creato il 01 marzo 2011 da Iljester

Conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. La strategia del centrodestra sul caso RubyLa maggioranza vuole sollevare il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. La richiesta, indirizzata a Fini, è stata decisa, perché il Tribunale di Milano intende procedere contro il Premier, nonostante il Parlamento abbia dichiarato – in sede di autorizzazione a procedere – che i reati contestati al Premier sul caso Ruby sono di competenza del Tribunale dei Ministri e non già del giudice ordinario.
Ora vi domanderete: cosa è un conflitto di attribuzione? Ebbene, il conflitto di attribuzione è quel conflitto che viene sollevato ogni qual volta si verifica lo «sconfinamento» di un potere dello Stato rispetto alle prerogative costituzionali di un altro potere dello Stato. Sappiamo infatti che nel nostro ordinamento giuridico, i poteri sono separati: legislativo, esecutivo e giudiziario. Questo implica che ogni potere si presume indipendente e autonomo, avendo dunque un’attribuzione specifica che non può essere esercitata dall’altro potere. Così, per esempio, il giudice non può creare le norme di legge; ma allo stesso tempo, il legislatore non può decidere un procedimento penale. In altre parole, ogni potere ha – in uno Stato di diritto – il proprio specifico compito. Esistono però delle zone grigie. Cioè delle zone in cui può capitare che un potere «sconfini» nel campo dell’altro. Questi sconfinamenti, a volte, danno adito ai conflitti di attribuzione, che vengono risolti dalla Corte Costituzionale.
Nel caso in questione, il conflitto verrebbe sollevato dal Parlamento, che lamenta la violazione delle sue prerogative, relative alla valutazione dei reati ex-art. 96 Cost., poiché i reati contestati al Premier sarebbero, secondo la maggioranza, di competenza del Tribunale dei Ministri. In termini umani, il Parlamento si lagna, dicendo: io ho il diritto di dire che quei reati sono ministeriali, e il giudice si deve adeguare, rimettendo gli atti al Tribunale competente.
Se questo è vero, la domanda fatidica è: cosa accadrà ora? Beh, gli scenari sono davvero problematici. Il quesito fondamentale è infatti questo: Fini avrà la giusta serenità per avviare l’iter? Lui afferma: «Qualora si verificasse quest’eventulità sarà una decisione presa alla luce dei regolamenti. Sarà valutata dall’ufficio di presidenza e dalla giunta per il regolamento. Non ci sarà alcun conflitto istituzionale tra il mio ruolo di presidente e il mio ruolo politico». Le intenzioni dunque sembrerebbero buone, senonché dobbiamo ricordare che i regolamenti prevedono che la decisione se far votare o meno l’aula spetta proprio all’Ufficio di Presidenza, sentita la Giunta per il Regolamento. Il che ci porta a una valutazione meramente politica dell’inghippo, visto che nell’Ufficio di Presidenza, PDL e Lega non hanno la maggioranza. Infatti, dopo che Fini è finito all’opposizione, nell’Ufficio da lui presieduto i rapporti di forza sono a netto sfavore della maggioranza: 9 (PDL-LEga-Responsabili) a 11 (PD-IDV-FLI-MPA-UDC).
In ogni caso, sapremo presto se il conflitto di attribuzione si farà o no. Laddove però dovesse farsi, il giudizio davanti alla Corte Costituzionale non sospenderà comunque il procedimento penale che proseguirà finché la Consulta non prenderà una decisione. Chiaro che se dovesse decidere a favore dell’attribuzione al Parlamento (a valutare i reati del Premier), il processo contro Berlusconi fin lì celebrato verrebbe travolto dalla sentenza dei giudici costituzionali, e questo dovrebbe riniziare da capo davanti al giudice naturale precostituito per legge, e cioè il Tribunale dei Ministri.
Ora una mia sensazione. Non so perché, ma credo che l’Ufficio di Presidenza respingerà la richiesta di conflitto. Forse sono pessimista, ma è anche vero che il radicalismo nel nostro Parlamento ha di fatto già decretato la decisione. Poi, chiaramente, posso pure sbagliarmi. E se anche mi sbagliassi, non potremmo certamente dire «è fatta». Dobbiamo infatti tenere in considerazione quanto hanno asserito qualche giorno fa alcune importanti fonti qualificate della Consulta, le quali riferiscono che sulle questioni di giurisdizione decide la Cassazione e non la Corte Costituzionale, secondo quanto previsto dall’art.37, secondo comma, della legge 87 del 1953 sul funzionamento della Consulta. Aggiungendo che il Parlamento dovrà tenere conto delle norme anzidette, nel caso in cui la Camera o la Presidenza del Consiglio decidano di sollevare il conflitto. L’alternativa è il concreto rischio dell’inammissibilità del ricorso.
Effettivamente il problema giuridico si pone, ed è altamente probabile che l’Ufficio di Presidenza della Camera possa alla fine respingere la richiesta di voto proprio su queste argomentazioni. Epperò è chiaro che il conflitto di attribuzione in questo specifico caso non mi pare finalizzato a chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla giurisdizione, bensì a stabilire quale sia l’organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, e quale sia la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali. In parole povere, mi sembra che il conflitto dovrà chiedere al giudice costituzionale di stabilire se la «ministerialità» dei fatti di reato del Presidente del Consiglio debba essere decisa dal giudice ordinario oppure dalla camera di appartenenza del Premier, tramite l’autorizzazione a procedere. Il che mi porta a ritenere che la paventata inammissibilità succitata lascerebbe notevolmente perplessi.


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