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Considerazioni a margine di un’affermazione di Marco Giusti su cinema horror, politica e calcio

Creato il 29 luglio 2013 da Olineg

Considerazioni a margine di un’affermazione di Marco Giusti su cinema horror, politica e calcioQuello di seguito è un post semi-serio, non se la prendano gli eventuali lettori che, loro malgrado, sono affetti dalla malattia accennata nel finale del post.

“il vampiro è borghese e pariolino, lo zombi è proletario e romanista” citazione da Marco Giusti da una puntata di Stracult.

Al di là (in questo caso ci stava anche scriverlo senza spazi) della tassonomia immaginifica della singola creatura, è innegabile che dietro la cinematografia dei morti viventi vi sia una sensibilità marxista o da essa derivata, perché incentrata su una particolare lotta di classe (viventi vs non-morti);  il topos cinematograficamente inventato da Romero e ripreso dalla tradizione voodoo, è spesso usato come metafora della società consumistica, e nello specifico dell’atteggiamento dei consumatori. Probabilmente nel background di genere oltre a Marx trova un posto anche Marcuse. La letteratura vampiresca è senz’altro più individualistica, è difficile non pensare al super-uomo di Nitzsche, ma non trovo sia di per sé politicamente caratterizzata; può essere di destra o di sinistra, a seconda, ad esempio, che il vampiro sia eroe o anti-eroe, di certo non sbaglia il Giusti a definirlo borghese, almeno nella sua accezione classica (accezione di vampiro intendo, non di borghese), infatti il vampiro è spesso ricco, probabilmente grazie al fatto di essere immortale (forse Nosferatu oggi farebbe una fortuna rivendendo ai compra-oro monili fatti del bene rifugio per antonomasia, comprati quando il relativo prezzo era più abbordabile) e il suo benessere implica un rapporto parassitario sul resto della società, i vampiri sono coloro che vivono di rendita finanziaria, a scapito di chi vive di reddito da lavoro, e i secondi accusano metaforicamente i primi (a ragione) di succhiargli il sangue. Tramontato da tempo il topos di Frankenstein; il romanzo di Mary Shelley è mosso dalla diatriba fra ardore scientifico e paura verso la manipolazione scientifica della vita, tema attualissimo alla luce della bioingegneria e delle frizioni morali ad essa legate, eppure il mito di Frankentein è stato divorato anzitempo, probabilmente a causa del talento comico di Mel Brooks che ha partorito la nota parodia dopo la quale nessuno ha avuto più il coraggio di sfruttare il romanzo, e il relativo immaginario, non in chiave comica (fa eccezione il solo “Frankenstein di Mary Shelley” di  Kenneth Branagh, che tuttavia già nel titolo ricorda l’autrice originale, forse per far recapitare a lei eventuali perplessità sul soggetto), quindi il chiedersi da che parte si porrebbe politicamente oggi il genere frankensteniano è argomento più da cultori del modernariato letterario che da amanti della settima arte, è innegabile però che le tensioni del romanzo di Shelley rivivano oggi in un filone nato da una costola del cinema zombi, ovvero quello dei contagiati, non contagiati da un vagente già presente in natura, ma da un germe, da un virus o da una tossina creati dall’uomo, alla “28 giorni dopo” di Danny Boyle per capirci. Per finire e tornando alla frase di Marco Giusti, non saprei connotare calcisticamente i generi finora descritti, non me la sentirei di associare il romanismo al genere zombi, ma una cosa la posso affermare tranquillamente: lazio merda!


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