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Consigli di lettura in attesa della pioggia: Virginia Woolf, Sylvia Plath, William Gaddis, Frank O'Hara

Creato il 04 ottobre 2011 da Ghostwriter

La saggezza di Virginia WoolfRiconoscere al corpo la sua cittadinanza, non soltanto nelle Lettere ma nella vita, è stato senz'altro uno dei compiti più importanti che Virginia Woolf si è imposta. Non lo ha fatto soltanto con i romanzi, com'è risaputo, ma nella forma a lei molto congeniale del saggio. Sulla malattia (On Being Ill) è forse la prova migliore di questa passione per le idee, in questo caso la difesa della malattia come risorsa interiore e possibilità di un'esperienza meno arida e riduttiva di quella che facciamo quando la coscienza occupa tutto il campo, e non siamo tanto consapevoli di quel complesso teorema che è la vita psicofisica: "La gente non fa che raccontare le imprese della mente: i pensieri che l'attraversano; i suoi nobili propositi; come abbia civilizzato l'universo. Secondo loro la mente, nella sua torre d'avorio, ignora il corpo; o con un calcio lo fa volare, come un vecchio pallone di cuoio, attraverso leghe innevate o desertiche a perseguire conquiste e scoperte. Alle grandi guerre che il corpo, servito dalla mente, muove nella solitudine della camera da letto, contro gli assalti della febbre o l'avvicinarsi della malinconia, nessuno bada".   Il saggio di Woolf pubblicato da Bollati e Boringhieri è accompagnato da un testo di Charles Lamb, Il convalescente, e dalla postfazione di Nicola Gardini che ricostruisce, con dovizia di particolari e accattivanti parallelismi letterari, l'idea di malattia nella letteratura del Novecento.   Saturno anni Cinquanta Plath"Fu un'estate strana, soffocante, l'estate in cui i Rosenberg morirono sulla sedia elettrica, e io ero a New York e mi sentivo come un'anima persa. Io le condanne a morte non le reggo. L'idea della sedia elettrica, poi, mi fa star male fisicamente, e i giornali non parlavano d'altro: titoloni che mi guardavano fisso a ogni angolo di strada e all'imboccatura di ogni stazione della metropolitana con quell'odore di noccioline stantie. Non che mi riguardasse, ma non potevo fare a meno di domandarmi che effetto faceva, essere bruciati vivi lungo tutti i nervi. Deve essere la corsa più orrenda che esiste, pensavo".  Inizia così il primo e unico romanzo di Sylvia Plath, La campana di vetro, uscito nel '63 e riedito più volte da Mondadori. Nella postfazione, il critico Claudio Gorlier ci ricorda che si tratta di un romanzo autobiografico, come spesso accade con questa scrittrice e poetessa. Ma è proprio necessario sottolineare il nesso tra il romanzo e la vita di uno scrittore? Dubito che le metafore abbiano davvero una paternità, e quando ci si immerge nella scrittura ciò che si perde, probabilmente, è proprio quel tanto di biografico che si voleva mettere alla prova. Leggiamo senza farci troppe domande, le risposte verranno, perché come diceva Gilles Deleuze "si scrive per diventare stranieri nella propria lingua".   William Gaddis: agonia e avanguardia   William GaddisL'agonia dell'agape (Alet edizioni) è un libro di difficile lettura? Non è facile dirlo, dipende quanto siamo disposti a farci trascinare da un testo che fugge da tutte le parti come un fiume dai molti affluenti. Gaddis è un autore di grande audacia, l'autore di Gotico americano (su Nazione Indiana c'è un interessante articolo a proposito di questo romanzo) e di Le perizie (The Recognitions, 1955), insomma un guru, come si dice, dell'avanguardia. La frase che inizia può trovare, con lui, la sua fine dopo molte trasformazioni, come se fossimo in presenza in un pianista jazz che improvvisa su alcune note strappate a un mottetto medievale. "La storia è quella di uno scrittore ormai anziano, alter ego di Gaddis stesso, che giace in un letto d’ospedale circondato dagli appunti di una vita, e tormentato dal bisogno di “spiegare tutto… riordinare e sistemare prima che tutto crolli”. Il nemico è l’entropia che divora il suo corpo in disfacimento e che al contempo “sta portando al collasso di tutto, dei significati, del linguaggio, dei valori, dell’arte”. Nel caos che domina la nostra epoca la tecnologia ha trasformato l’arte in passivo intrattenimento: quando, come, perché siamo arrivati a questo? Che cosa abbiamo perduto? Dov'è finita “l'accanita autenticità” che informava il rapporto tra lo scrittore e il lettore?" (dalla quarta di copertina). Direi che come presentazione può bastare, il resto è letteratura.   Pollock segreto PollockFrank O'Hara è, purtroppo, un poeta poco conosciuto da noi, nonostante le prime traduzioni risalgono alla metà degli anni Settanta. La prima volta che mi sono imbattutto nella sua risata - perché O'Hara è uno che ama ridere, a differenza di molti poeti metafisici- è stato proprio con questo libretto acuto e preziosissimo che racchiude alcuni scritti dedicati all'amico Jackson Pollock, da qualche tempo ristampati da Abscondita (editore che ha già avuto il merito di pubblicare, anni fa, le lettere di Pollock). Si tratta di alcune delle pagine più brillanti mai scritte sul pittore, ricche di intuizioni come questa: "Pollock è l'Ingres e de Kooning il Delacroix dell'Action Painting. Sono altrettanto grandi, ma antitetici. E per questo, rinnegare l'uno significherebbe rinnegare l'altro". Al di là del talento interpretativo di O'Hara, questi scritti documentano l'opera di Pollock precedente il periodo -poi diventato canonico - del dripping e pertanto gettano uno sguardo sulla produzions pollockiana rimasta in ombra. In questo modo si scopre un Pollock in competizione con Picasso e e Rivera, con la pittura messicana e con il cubismo. Un'immagine più ampia, dunque, e tutt'altro scontata del grande pittore. Come se non bastasse il volumetto contiene anche una poesia di O'Hara, con testo a fronte, Ode on Causality.

Pubblicato da Remy71 |


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