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Contro la libertà d’espressione

Da Pietro Acquistapace

 Danish School painting

La libertà d’espressione è un bene, certo. Ma quando c’è qualcosa da esprimere. Cosa significa esprimere? Significa dire la propria opinione, ma si presuppone si sappia quello che si sta esprimendo. E per sapere bisogna conoscere. E conoscere può essere di aiuto a chi non sa. Sia che si accetti una nuova conoscenza, sia che la si rifiuti è un confronto con il nuovo, ossia una crescita. Se manca qualcuna delle condizioni sopra esposte esprimersi è dire cose che non si conoscono il che è da stupidi, se in buona fede, o da persone cattive se in malafede.

La velocità e la portata con cui oggi si diffonde l’espressione, in tutte le sue forme, pone enormi problemi nel selezionare le conoscenze dal quale apprendere. La possibilità di avere a disposizione tutto e il contrario di tutto finisce spesso con la non scelta, se non addirittura con il cadere nel processo opposto alla conoscenza, vale a dire la ricerca di argomenti a supporto delle proprie certezze, che siano fondate o meno. Ecco, quel meno è l’elemento estraneo che potrebbe mettere in pericolo tutto il sistema, a partire dalla civile convivenza, affidando all’irrazionalità il compito di fare scelte e dettare comportamenti.

Un esempio di irrazionalità si sta avendo giusto mentre scrivo con il caso di un ragazzo italiano ucciso a Londra da un gruppo di persone. Nemmeno 24 ore dall’omicidio si sono già scatenate in Italia crociate anti inglesi, anti immigrati non inglesi in Inghilterra e si è già stabilito chi sono gli assassini, la dinamica e pure il movente. I giornali italiani hanno infatti dichiarato che ad uccidere sono stati dei bengalesi che hanno voluto punire la colpa del ragazzo italiano. Quale colpa? Quella di rubare il lavoro agli inglesi. E qualcosa non torna. Immigrati bengalesi che hanno talmente a cuore le sorti del popolo inglese da uccidere per procura? La paura e il lavoro, i due grande temi dell’informazione odierna, due veri e propri strumenti per il controllo, e la gestione, delle dinamiche sociali.

Ma il movente dell’omicidio come si è risaputo? Da una dichiarazione di un amico della vittima comparsa sui giornali italiani. Ma davvero si è svolta un’intervista a poche ore dal fatto, perdipiù avvenuto in un altro paese? Ma la nazionalità degli omicidi da dove è emersa visto che le autorità britanniche hanno dichiarato che dei nove fermati uno era inglese, quindi un non bengalese, e degli altri non ha voluto fornire indicazioni? Ma il fatto che, sempre le autorità inglesi, non stiano affrontando il tema come un episodio di razzismo, quale che sia il motivo all’origine dei fatti, conta qualcosa o è trascurabile? E qualcuno ha per caso cercato di capire la dinamica dei fatti? Generalmente una rissa, oppure un’aggressione, per futili motivi si risolve subito, in strada.

Il fatto che i mezzi d’informazione devono sopravvivere in un sistema dove tutto è misurato in profitto, ascolti, vendite non aiuta di certo. Lo scoop è diventato vitale nel mondo dell’informazione, si lancia il sasso ma la mano è già troppo occupata a verifcare se il bersaglio è stato colpito. Siamo al punto che un grande quotidiano ha cambiato la sua grafica per essere più fruibile sui social network, la vera tirannia odierna. Sui social network tutti possono dire la loro, ma si finisce con lo schierarsi sempre in fazioni avverse (qualcuno ricorda il caso della maxi rissa di ragazzini iniziata in rete e finita in un parco?) e per dire cose tremende. Scrivendo viene facile dire cose molto molto brutte, non avendo la responsabilità del confronto in prima persona. E di certo la velocità della rete non favorisce la riflessione. E cosa diventa allora l’espressione? Una cagnara.

Oggi si decide tutto in base all’emotività, e questo porta dritto al giustizialismo, ed in merito è interessante il caso dei clandestini di Lampedusa. Non si volevano venissero condannati nonostante la legge lo prevedesse. Qual’è la soglia di morti oltre la quale scatta il bonus dell’unamità? Se muore solo un clandestino posso continuare a fare finta di niente? E tornando alle domande iniziali siamo sicuri che la libertà d’espressione sia oggi qualcosa di positivo? E non sia solo invece la ricerca costante di attenzione, in un mondo con sempre meno certezze? Mi esibisco quindi sono, ma in rete quindi non esibendo il vero io, quello fragile. Con buona pace del povero ragazzo morto a Londra, sempre che a qualcuno interessi qualcosa di lui.

Fonte immagine http://daily.wired.it/news/tech/storia-ghigliottina.html


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