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>>Cop 18, il riscaldamento globale viene dal ghiaccio

Creato il 06 dicembre 2012 da Felice Monda

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«Il rilascio di CO2 e di metano provenienti dallo scioglimento dei ghiacci del permafrost è irreversibile. Gli obiettivi riguardanti le emissioni antropiche del futuro trattato sul cambiamento climatico dovranno tener conto di queste emissioni. C’è una forte probabilità che si superi l’obiettivo di limitare il riscaldamento massimo delle temperature mondiali a 2°C». Queste le parole di Kevin Schaefer dell’università del Colorado, autore di un allarmante rapporto presentato alla Cop 18 di Doha.

NOVITA’ DALLA COP 18 - A Doha è in corso la cosiddetta Cop 18. Le Nazioni Unite discutono di cambiamenti climatici per trovare soluzioni e sviluppare politiche comuni volte a contenere il problema. La cornice è quella del Qatar, il Paese con il più alto livello di emissioni pro capite al mondo. Il precedente quello della Cop 17 svoltasi lo scorso anno a Durban, in Sud Africa, che non ha prodotto alcun accordo vincolante e determinante per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Tante promesse, pochi risultati. E l’andazzo, ancora una volta, sembra essere questo. Nel 2012, però, c’è una novità. E non è positiva, perché il surriscaldamento globale potrebbe subire una repentina impennata per ragioni fino ad oggi sottovalutate. L’United Nations environment programme (Unep) ha presentato a Doha il rapporto “Policy Implications of Warming Permafrost“, che da’ l’ennesimo segnale di allarme paventando l’elevato rischio di nuove «Emissioni di biossido di carbonio e di metano provenienti dal permafrost». Certo, notevole che se ne parli in una Conferenza delle Nazioni Unite e, soprattutto, che i media considerino questa una “notizia” degna di nota; ma niente di nuovo per la scienza.

LE STIME - Secondo il rapporto, «le temperature artiche ed alpine dovrebbero aumentare più o meno di due volte più rapidamente della media mondiale, al punto che un aumento della temperatura mondiale di 3°Ccorrisponde ad un aumentato di 6°C nell’Artico. Il risultato sarebbe undisgelo dal 30 all’85% della superficie del permafrost con emissioni da 43 a 135 milioni di tonnellate di CO2 entro il2100». Parliamo del 39% delle emissioni totali di gas sulla Terra.

Una precedente ricerca coordinata dall’Accademia Russa delle Scienze e dall’Università dell’Alaska, pubblicata sulla rivista Science, aveva stimato una diffusione nell’atmosfera di circa 8 milioni di tonnellate di metano all’anno dal permafrost, quantità analoga a quella prevista per gli oceani di tutto il mondo. A fine 2011, inoltre, un articolo pubblicato sulla rivista Nature da Benjamin Abbott dell’Università dell’Alaska aveva equiparato la quantità di carbonio dovuta allo scioglimento del permafrost a quella connessa alla deforestazione, sottolineando che “Le stime più alte sono dovute all’inclusione di processi ignorati dagli attuali modelli e alle nuove misurazioni della quantità di carbonio organico immagazzinato nei suoli ghiacciati”, come quelli del nord, dove «è presente più carbonio organico che in tutti gli esseri viventi insieme»:  circa 1,7 trilioni di tonnellate di carbonio – circa quattro volte tutto il carbonio emesso dalle attività umane moderne e circa il doppio di quello presente in atmosfera, secondo le ultime stime –.

Non basta? Allora, a dare ulteriori indicazioni è una ricerca dello scorso aprile, svolta con il contributo dell’Università di Urbino e pubblicata da Nature. Lo scioglimento del permafrost polare e non il metano intrappolato nei fondali oceanici sotto forma di gas idrati) sarebbe il responsabile di alcuni episodi di riscaldamento globale avvenuti più di 50 milioni di anni fa.

CHE COS’E’ IL PERMAFROST? - In natura, non tutto il ghiaccio si scioglie ed è chiamato permafrost proprio quel ghiaccio che potremmo dire “permanente”. Più nel dettaglio, in termini scientifici, si tratta di porzioni di suolo o sottosuolo, e di rocce che mantengono una temperatura uguale od inferiore a 0°C per un periodo di almeno due anni.  Il ghiaccio del permafrost è quello che ha formato l’Artide e l’Antartide, ma è presente anche in alta montagna, dove permette il mantenimento dei ghiacciai. Ai Poli si è formato circa 10mila anni fa durante l’ultima era glaciale e può raggiungere la profondità di oltre 700 metri, come in alcune regioni dell’Alaska e del Canada, fino ai circa 1500 metri misurati in Siberia. Uno strato esterno – detto “crosta attiva” –, che arriva a 2 metri di spessore, protegge i blocchi di permafrost sciogliendosi in estate per poi rigelare in inverno.

Ma non si tratta soltanto di questo. Sono altre, infatti, le ragioni per cui il ghiaccio permanente contribuirà al surriscaldamento globale. Il permafrost, infatti, costituisce una membrana per lo più impermeabile al di sotto della quale si trovano grandi quantità di materiale organicoaccumulatosi nel corso di millenni, a cominciare da gas metano (CH4). Quest’ultimo è l’idrocarburo più semplice presente in natura, costituito da un atomo di carbonio circondato da quattro atomi di idrogeno e, come altri composti, può essere prodotto da microrganismi che consumano materia vegetale in ambienti umidi e poveri di ossigeno. Il sostanza, al momento della glaciazione il gas è rimasto congelato e intrappolato al di sotto del permafrost, penetrando in profondità. E il metano ha una particolarità: pur essendo 200 volte meno presente in atmosfera rispetto all’anidride carbonica, è in grado di trattenere 25 volte più calore e, pertanto, risulta ancor più impattante se rapportato ai cambiamenti climatici.

“FEEDBACK”, UN CANE CHE SI MORDE LA CODA - Il ghiaccio si scioglie se la temperatura aumenta e il surriscaldamento globale dovuto alle emissioni antropiche sta mostrando impatti sempre più drammatici. Basti pensare che lo scorso luglio i satelliti della NASA hanno monitorato lo scioglimento della quasi totalità della copertura ghiacciata della Groenlandia, di cui il 97% del territorio è risultata priva a causa di quella che è stata chiamata una “cupola di calore”.

Con una diminuzione significativa dello spessore della “superficie attiva”, anche il permafrost si sta sciogliendo e il materiale organico sottostante si decompone gradualmente, liberando migliaia di tonnellate di CO2 e metano. Queste quantità vanno però ad aggiungersi a quelle già presenti in atmosfera, in gran parte prodotti da attività umana. La reazione è chimicamente irreversibile e ciò significa che non vi è modo invertire il processo, imprigionando nuovamente le molecole liberate. In tal modo, l’effetto serra dovuto al trattenimento del calore solare si intensifica e, di conseguenza, la temperatura aumenta: il risultato è la progressiva accelerazione del surriscaldamento globale. Questo, naturalmente,accelera a sua volta lo scongelamento del permafrost e, quindi, la liberazione di nuovi idrocarburi.

Si tratta del permafrost carbon feedback: a tutti gli effetti, un cane che si morde la coda. E non è finita, perché l’uomo, oltre a generare “indirettamente” questo fenomeno attraverso le emissioni, estrae direttamente metano dal sottosuolo (con l’obiettivo di sfruttare, un domani, anche le ricche miniere al di sotto dei fondali marini e del permafrost). Ma l’attività estrattiva è scarsamente in grado di contenere perdite e fughe di metano, sulle quali, al massimo, si interviene con la pratica del gas flaring: vengono bruciate prima che si diffondano nell’aria, peccato che anche questo produca CO2 come tutte le combustioni. Sembra un vortice da quale è impossibile uscire, ma è sempre più evidente la necessità di intervenire in vista di un cambiamento, operando scelte che trasformino radicalmente il modello economico dominante.

Federico Gennari Santori - http://dailystorm.it


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