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Corpo in crisi – parte due

Da Femminileplurale

Sottotitolo: il corpo non mente

 

   I walk besides the sea, m/y entire body is sick,
   m/y throat does not allow me to speak,
   I see the sea, I gaze at it, I search,
   I question m/yself in the silence in the lack of traces,
   I question an absence so strange that it makes a hole within m/y body
 
   Monique Wittig, The Lesbian Body
 
 
brain

Il corpo rappresenta indubbiamente il grande rimosso dell’epoca moderna. Il corpo è qualcosa che c’è, ma che non si vede. Meglio, si vede, ma lo ignoriamo se non in certi contesti definiti e ritualizzati. A partire dall’età moderna si assiste all’affermazione di un nuovo paradigma antropologico-filosofico, consacrato poi dalla filosofia cartesiana e dalla medicina di Vesalio, in cui la distinzione mente/corpo si fa radicale, irriducibile (1). Negli ultimi secoli si è assistito da più parti alla costante ricerca di un collegamento efficace tra le due entità così separate tra loro, cercando argomentazioni valide per “rivalutare” il corpo, senza ricordarne i motivi che l’hanno reso inferiore. Totalmente perduta nella società occidentale, una prospettiva diversa di unione di mente e corpo, si ritrova solamente nelle culture/religioni/filosofie non occidentali o in quelle pratiche considerate “tradizionali”, frutto di saperi tramandati oralmente nel corso dei secoli. Alla base, la concezione dell’essere umano come un tutto, come una sorta di microcosmo.

Pruderie agostiniana, dualismo platonico o eccessivo intellettualismo…sono molti i fattori che hanno contribuito all’exploit cartesiano (2). Elemento fondamentale di questa concezione è connesso alla definizione ontologia del corpo che viene inteso come una macchina. Per ovviare all’imperfezione strutturale del corpo, che invecchia, che si modifica, che peggiora, e affinché il divario con la mente (più nobile e perfetta in quanto spirituale) non fosse troppo profondo, è emersa l’idea del corpo come macchina perfetta, marchingegno misterioso ma autonomo. La separazione era compiuta.  Il corpo diviene il supporto senza il quale non si dà una mente e in senso più ampio non si dà l’essere umano, ma allo stesso tempo viene relegato al ruolo di macchina misteriosa la cui “meccanica” è ignorata dai più.

 L’attenzione morbosa per il corpo tipica della nostra società sembra conferire a questo paradigma all’interno del quale siamo ancora profondamente immerse, un’inaspettata sfumatura paradossale. In realtà è forse la rimozione e l’assenza del corpo che produce l’ossessione contemporanea per esso. Tale ossessione prende le mosse dalla concezione del corpo come macchina, perfetta anche perché costantemente modificabile, migliorabile e plasmabile secondo le esigenze, fisiche, estetiche, sociali di chi lo porta. A livello economico, il corpo perfetto, idealizzato, preferibilmente femminile serve per vendere, ma al tempo stesso viene venduto, poiché è possibile per chiunque ottenerne uno uguale.

Tavola  proveniente da un'edizione del De umani corporis fabrica di Vesalio (1543)

Tavola proveniente da un’edizione del De umani corporis fabrica di Vesalio (1543)

Una parte molto consistente della nostra economia (cosmesi, i prodotti dietetici e sportivi, la chirurgia) è nutrita da questa illusione. A livello simbolico il corpo, in qualche modo separato da chi lo porta, non fa parte a tutti gli effetti del Sè, è qualcosa di posseduto dall’essere umano, ma non è l’essere umano. Il potere dell’immagine meccanica del corpo e della sua estraneità dal nucleo essenziale dell’essere umano accredita l’idea che esso o parti di esso possano diventare merci.  Non sei tu, è il tuo corpo.

Qualche giorno fa, Michela Marzano ha accennato alla separazione mente-corpo, affrontando il tema del post-porno. La filosofa, criticando il post-porno come linguaggio a suo dire ancora maschile, afferma che alla liberazione dei propri corpi le donne dovrebbero sostituire l’assunzione di una prospettiva maschile, concentrata sulla mente e non sul corpo. Si propone di assumere un atteggiamento maschile (?) per sottrarci a quello che siamo state considerate da sempre, ovvero corpi. Magari piuttosto sarebbe auspicabile cercare sia con la teoria che con le pratiche di includere il corpo nella soggettività al fine di superare la separazione mente-corpo che il patriarcato ha assunto come discriminante tra i generi.

In realtà a differenza di quanto dice Michela Marzano c’è bisogno eccome di una liberazione dei corpi, ma, a mio avviso, sociale prima che sessuale (3). Anzi più che una liberazione sessuale dei corpi auspicherei ad una de-sessualizzazione nella rappresentazione dei corpi, in particolare dei corpi femminili, che vengono percepiti in ogni contesto solo ed esclusivamente come oggetti sessuali. Più in generale poi è necessaria una liberazione sociale dei corpi: i corpi delle persone malate, degli anziani, corpi esteticamente non rispondenti ai modelli proposti, corpi che presentano disabilità (assieme all’ossessione del corpo la nostra epoca è ossessionata dall’utilizzo del corpo che si esprime semanticamente nei concetti di prestazione, di performance ecc). Questi corpi, paradossalmente avvertiti come anomali rispetto alla rappresentazione mediatica, sono sistematicamente cancellati dal discorso, emarginalizzati perché non più utili al capitalismo e al suo profitto. E con liberazione intendo visibilità, rappresentazione, narrazione.

 Note

(1) Su questo aspetto il bellissimo libro di David Le Breton, Antropologia del corpo e modernità, Giuffrè Editore, Milano 2007, che specifica come l’opposizione mente-corpo sia specificata in opposizione tra essere umano e  corpo, il quale entra nel registro simbolico dell’avere e non dell’essere (libro bellissimo, ma ahimè, la cui lettura è rovinata da un’edizione scadente, mal revisionata e un testo zeppo di grossolani errori ortografici, banali sviste sintattiche e opinabili scelte di traduzione).

(2) Sarebbe molto divertente oltre che interessante se la storia della filosofia in collaborazione con le discipline psicologiche tracciasse i profili psicologici dei filosofi. Sicuramente, i risultati comporterebbero un serio ridimensionamento del loro contributo teorico.

(3) Come ho già detto in precedenza, non c’è alcuna liberazione nel momento in cui si impiegano e ci si pone all’interno delle strutture patriarcali invece di decostruirle in maniera radicale dal di fuori.


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