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Corrispondenza 1903-1928 silvio cucinotta – alessio di giovanni

Creato il 08 febbraio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

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Corrispondenza ADG- SCdi Marco Scalabrino. La bibliografia su Alessio Di Giovanni si arricchisce di un ulteriore, preziosissimo strumento: la pubblicazione, per le Edizioni Centro Studi Giulio Pastore – Agrigento 2006, della CORRISPONDENZA intercorsa dal 1903 al 1928 fra Silvio Cucinotta e lo stesso Alessio Di Giovanni.

Dovuto all’alacre impegno di Rosalba Anzalone (Ispettore Regionale per la Sicilia del M.I.U.R., ideatrice e coordinatrice del Progetto L.I.R.e.S, che giusto in ADG ha ravvisato l’autore regionale da proporre, per il triennio 2005-2007, all’attenzione delle oltre cento scuole che al progetto hanno aderito) e dello storico e giornalista Franco Biviano, l’odierno lavoro si colloca nell’alveo del rigoglio di studi che in anni recenti ha investito la figura di ADG.

I meriti di questa renaissance, orientata alla rivalutazione del pensiero e dell’opera di ADG, sono, tra gli altri, da accreditare alla Associazione Culturale “Alessio Di Giovanni” costituita in Cianciana (paese natale di ADG) nel 2002, Domenico Ferraro presidente, che dal 2003 cura la pubblicazione – già undici i numeri licenziati – del “Quaderno di studi digiovannei”, nonché alle virtù, fra gli altri,  di studiosi e letterati del calibro di Pietro Mazzamuto, Eugenio Giannone, Salvatore Di Marco.

A questa azione va associata l’altra, indifferibile e funzionale alla precedente, della ristampa delle opere di ADG, le quali, lo si appura scorrendo il titolo in argomento, vedevano la luce in poche centinaia di esemplari; circostanza la quale – ben si intuisce – rende quei libri ormai pressoché introvabili.

All’interesse di questi rari cultori e all’encomiabile patrocinio della Provincia Regionale di Agrigento e del Comune di Cianciana si debbono: l’edizione postuma nel 1980 del romanzo lu saracinu, la riedizione nel 1987 dell’ode cristu, la riedizione nel 1996 dei sonetti fatuzzi razziusi, la riedizione nel 1997 delle liriche voci del feudo, la ristampa nel 1998 del romanzo la racina di sant’antoni, la riedizione nel 2003 della silloge maju sicilianu, e per ultimo, nel 2006, della novella la morti di lu patriarca.

Le lettere scritte ad ADG da SC – traiamo questa e bensì le altre delucidazioni dalla puntuale prefazione al volume e dalle note di commento, entrambe redatte dagli autori – dormivano sugli scaffali della Biblioteca Comunale di Palermo, ove i figli del poeta avevano ritenuto di dovere allocare tutte le carte del padre. Le lettere scritte a SC da ADG aspettavano dentro una grande busta gialla, depositata presso la Biblioteca Comunale di Pace del Mela. Esse – a cementare un’amicizia lunga e inossidabile – ricostruiscono, in tono sommesso e confidenziale, la loro vicenda umana, i percorsi di sofferenza, gli aneliti di spiritualità e le testimonianze di solidarietà; vi palpita la vita vissuta, lo sfondo storico-politico di una Sicilia economicamente depressa ma dignitosa, lo scampolo di una società frantumata alla ricerca di una identità non ancora conquistata dal periodo post-unitario.

C’è spazio per poeti e scrittori, per frati e preti, per contadini e zolfatai, che divengono i protagonisti delle loro realizzazioni.

E c’è il dialetto siciliano, scelta consapevole per rinnovare la poesia dialettale dell’Isola, che sembrava languire stretto dalle morse di un “retoricume” d’altri tempi – sebbene, invero, la problematica relativa al rapporto lingua–dialetto non sia molto presente.

Un posto privilegiato occupano le opere, pubblicate o in via di pubblicazione, di ADG e di SC, ed è singolare constatare quale sia la percezione che di esse hanno gli stessi autori.

Ragguardevole il numero delle riviste citate; a riprova che l’artista debba mantenere un’apertura al confronto e, per motivi pratici, non possa limitarsi a una sola testata. I fatti hanno dimostrato ad ADG che più si parla di un poeta e più il poeta ha speranza di poter continuare a fare il poeta.

Tutto ciò premesso, e vagliata la fama di cui ADG godette già in vita in Sicilia (in Italia: Angelo Biffi, saggi il poeta della zolfara: adg e la poesia siciliana pubblicati in rivista di letteratura dialettale, Milano 1903: “La Sicilia, in cui tutto il popolo è poeta … doveva necessariamente avere la sua parte in questa moderna rifioritura della poesia dialettale”, e, assoderemo, all’estero), tanto che nel 1946, alla scomparsa del Maestro, un nucleo di poeti che comprendeva le voci più impegnate dell’Isola: Ugo Ammannato, Miano Conti, Paolo Messina, Nino Orsini, Pietro Tamburello, Gianni Varvaro e altri, ne prese il nome e si denominò Gruppo Alessio Di Giovanni, accingiamoci ad affrontare la CORRISPONDENZA.

Il tomo supera le trecento pagine!

Ecco si pone, dando per scontato il credito che desta ciascuna di esse – formato cm. 17 x 24 – per la meticolosa riproposizione delle lettere e per le impagabili glosse, il problema del taglio da dare alla “lettura”, dell’atteggiamento critico da riservare loro.

Del resto è facile dedurre, in un carteggio protrattosi per venticinque anni – e composto nel suo complesso di centoottantotto documenti (parecchi altri, dei quali altresì si reperiscono i nessi, non sono stati rinvenuti) tra lettere, cartoline, telegrammi, biglietti, una partecipazione di morte e due foto – i temi distintivi, significativi che vanno a configurare il menu principale, sono sostenuti, alimentati da mille altri vitali rivoli, così detti minori, secondari, ma, per questo, nient’affatto marginali, residuali.

E appunto su questi ultimi, perché ne emerga la ricaduta sulla quotidianità, al pari della valenza storica e della rilevanza sociale e di costume, abbiamo scelto (in buona misura) di soffermarci. Aspetti, se si vuole, privati, financo intimi, talvolta di “colore”; e nondimeno, crediamo, alquanto avvincenti.

Non un saggio dunque, non una disamina di contenuti, stile, costruzione, ma una presentazione (benché in questo “presentare” – ci rammenta Gianmario Lucini – è comunque insito un “krinein”, una scelta, che è un atto di libertà di che cosa dire e non dire o su che cosa dire e non dire). Un procedere, con misurate intrusioni, contemplando stralci delle lettere e dei relativi commenti esplicativi, il presente storico narrativo e i paralleli omogenei rimandi, i fatti e i fatti omologhi, che risulterà, probabilmente, (un po’) slegato, frammentario (e di tale evenienza chiediamo sin da adesso venia); e tuttavia, confidiamo, ugualmente stimolante.

La prima lettera è datata Giovedì 10 Dicembre 1903. Ma riteniamo occorra, preliminarmente, tratteggiare un succinto profilo dei Nostri.

SC nasce a Pace del Mela ME il 13 Marzo 1873. Entra in Seminario nel 1890 e nel Dicembre 1895 viene ordinato sacerdote. Consegue quindi a Roma la laurea in teologia e in lettere latine e italiane e al suo rientro a Messina è chiamato a insegnare presso il Seminario Arcivescovile. Dal 1899 al 1904 abita a Messina. Fondatore di due circoli e della rivista letteraria l’agave, fautore del Movimento della democrazia cristiana contrapposto al Movimento dei circoli socialisti e della esigenza che il clero si adatti ai tempi nuovi sulla scia tracciata dal pioniere del cristianesimo sociale Romolo Murri, è redattore e collaboratore di settimanali cattolici e conferenziere. In tale ultima veste subisce, nel Giugno 1903, l’aggressione a sputi in faccia da parte di taluni avversari. Con la morte, nel Luglio del 1903, di papa Leone XIII, che nel 1891 aveva emanato l’enciclica Rerum Novarum le cui direttive egli si proponeva di attuare, e l’ascesa al soglio pontificio di Pio X, è allontanato dalla Curia e dimesso dall’insegnamento in Seminario sotto l’accusa di “essere modernista”.

Nelle lettere VIII del 4 Settembre 1904 e XXXIV del 23 Gennaio 1906, SC rievocherà quegli eventi qualificandoli: “una congiura settaria”, e, rincarando la dose, le “canagliate di Messina”, riferendosi agli intrighi e alle manovre, in specie degli ambienti ecclesiastici, che hanno determinato quel clima e provocato quel drastico provvedimento.

Proprio nel corso del tribolato 1903 la conoscenza con ADG.

ADG nasce a Cianciana AG l’11 Ottobre nel 1872. Terminate le scuole elementari, nel 1884 segue la propria famiglia a Palermo, dove è avviato alla carriera ecclesiastica. Dopo circa otto “anni dolorosi” trascorsi alla Cappella Palatina non sentendosi affatto vocato al ministero sacerdotale, abbandona e si dedica al giornalismo. “Precipitate le sorti della famiglia” il padre, Gaetano, si trasferisce a Noto per intraprendere la professione di notaio, ADG continua gli studi, sposa a Noto nel 1895 Caterina Leonardi, comincia a scrivere, a entrare in contatti con riviste, autori ed editori e a pubblicare. Nell’autunno del 1903 (e fino al Settembre 1904) ADG – già apprezzato in quell’ambiente culturale perché il settimanale peloritano il marchesino diretto da Alessio Valore ha pubblicato parecchi suoi lavori – abita a Messina, dove è andato “in cerca di un tozzo di pane” e insegna Italiano nelle Scuole Tecniche.

E rieccoci alla missiva d’esordio: brevissima, SC si rivolge ad ADG usando un classico e rispettoso lei: “Carissimo professore …”

Le iniziali undici lettere della CORRISPONDENZA sono tutte da SC ad ADG, segno  che, tra i due, SC è colui che prende più di sovente in mano penna e calamaio. È in effetti, se andiamo a sfogliare lo score, esso pende decisamente in suo favore per 133 a 55.

Nella quarta di esse, datata 5 Gennaio 1904, SC testualmente dichiara: “Mi congratulo sentitamente della meritatissima abilitazione definitiva.” Apprendiamo, infatti, che solamente in data 31 Dicembre 1903 ADG ottiene l’abilitazione definitiva, per titoli, all’insegnamento della lingua italiana nelle Scuole Tecniche, con assegnazione alla “Scinà” di Palermo. In precedenza ADG era in possesso di una abilitazione valida per il solo triennio 1901-1904.

A partire dalla lettera VI, 29 Febbraio 1904, notiamo, si è passati al tu: “Caro Alessio.”

La dodicesima lettera, Palermo 12 Ottobre 1904, segna il debutto di ADG. Questi invita SC a Palermo, per incontrarvi Tommaso Nediani (1871-1934, sacerdote, poeta e scrittore, nonché predicatore in ogni parte d’Italia) che egli ha conosciuto nel 1902. “Perché tu non profitti della presenza di Nediani e mia qui per venire? Io ti fisserei una stanzetta all’albergo Pompei: una lira al giorno. Tu non dovresti spendere altro che questa lira e le 12 lire di ferrovia se vai in terza.” Per farsi un’idea si pensi che, negli anni immediatamente antecedenti la grande guerra, lo stipendio medio di un impiegato si aggirava attorno alle 250 lire. Fatti i debiti ragguagli il valore di una lira corrisponde (nel 2006), grosso modo, a EURO 5,00.

Venerdì 21 Ottobre 1904, tredicesima lettera. “Lunedì col diretto delle dieci – comunica SC – mi recherò a Piazza Armerina, per insegnare lettere e storia nel Liceo di quel Seminario.” Una lieta improvvisa nuova, dovuta ai buoni uffici di Mons. Mario Sturzo, vescovo di quella città (e fratello di don Luigi Sturzo, che SC ha conosciuto durante la loro permanenza a Roma). Piazza Armerina, all’epoca in provincia di Caltanisetta, passerà dal 2 Gennaio 1927 alla nuova provincia di Castrogiovanni, la quale a sua volta assumerà, dal 28 Ottobre 1927, la denominazione di Enna.

“Mio carissimo e buon Silvio – scrive ADG il 13 Novembre 1904 nella sedicesima lettera – ricorro a te come ad un fratello, anzi meglio che a un fratello, perché mi voglia fare l’eccezionale favore di prestarmi fino al quindici Dicembre, e con gentile sollecitudine, Lire 30. Attendo fiducioso una tua sollecita ed affermativa risposta.” Che le condizioni economiche di ADG non siano floride – né mai lo saranno – se ne ha contezza per tutto il carteggio; e talvolta egli non riesce a fare fronte alle ingenti spese sostenute a beneficio della “adorata famigliola.”

Appena tre giorni dopo, il 16 Novembre 1904, SC gli risponde: “Tira un freddo intenso. Ti confesso che mi sento di essere in una gran solitudine, perduto in mezzo ai monti, senza la vista di una striscia di mare che mi rianimi. E ora a noi, brevemente e da fratello, senza bisogno di tante cerimonie. Mi rincresce di non poterti intieramente servire: sono al verde, e non ho ricevuto ancora alcun mensile. T’includo qui solamente 15 lire. Tu, così buono, mi compatirai.”

La richiesta è destinata a non rimanere isolata; come pure il tono (identico) della replica.

“Fammi un favore, caro Silvio – ADG, lettera CLI del 6 Aprile 1914 – nella nostra fraternità, senza seccarti. Mandami in prestito venti lire. Ne ho stretto bisogno. Te le restituirò immancabilmente, dieci alla fine del mese, quando tu sarai qua, e dieci alla fine di maggio. Ho dovuto fornire di scarpe i bambini, farmi un vestito, ché l’ultimo che mi feci mostrava le …, son rimasto al verde. Non ho a chi ricorrere. Qua la gente ti perde la stima se ti sa in bisogno.”

“Non adontarti – gli ribatte SC nella lettera CLII del 7 Aprile 1914 – se, invece di venti, trovi qui soltanto lire dieci. Se ho limitato, vuol dire che mi trovo nell’impossibilità di fare altrimenti.”

Registriamo che si reiterano, a sostegno del “favore” preteso, l’appello alla fraternità, la sottolineatura dello stato di bisogno, l’impegno alla restituzione in tempi brevi.

Nella lettera XXIII, il 4 Maggio 1905, ADG annota: “Non vedo l’ora che fuggano questi due mesi di scuola, perché io possa volare di nuovo in Valplatani.” Il nome Valplatani è stato creato da ADG per indicare con un unico termine “quella grandiosa distesa di latifondi che, attraversata in parte dal fiume Platani, muove dal Monte delle Rose da un lato, e dall’altro dai picchi di Caltabellotta, e va a finire al mare di Sciacca.”

“Eccoti una delle primissime copie dell’Ode (Cristu, ode siciliana, Palermo 1905) – ADG a SC, lettera XXIV del 13 Maggio 1905 – Le altre venti copie vedi di collocarmele.”

Il 31 Maggio 1905, lettera XXVII, SC commenta: “L’ho riletta parecchie volte e con diletto crescente. Il dialetto assurge ad una altezza e ad una originalità meravigliose di pensieri e di immagini. Trovo il poeta che crea e idealizza e commuove con forme che  rivestono concetti nuovi non ancora toccati dai soliti poeti dialettali. Avrei voluto collocare tutte le tue copie … ma chi compra libri di questi giorni? Ho potuto smerciare soltanto sette copie a centesimi 50 l’una.” Tra virgolette, NIHIL SUB SOLE NOVI.

“L’Ode a Cristo ha incontrato bene – riporta ADG nella XXVIII missiva del 20 Ottobre 1905 – Ho qua lettere entusiastiche del Verga, del Cesareo, dello Zingarelli.”

Lettera XXXVIII, 3 Aprile 1906. ADG annuncia: “otto giorni or sono, è venuto al mondo il mio piccolo Tanuccio. Tanto io che Agatina avremmo piacere vivissimo che tu tenessi al fonte il nostro adorato figlioletto. Scrivimi subito e fammi sapere quando conti di venir qua: così potremmo profittarne per il battesimo.” Al secondogenito di ADG nato il 26 Marzo 1906, che secondo l’usanza porta il nome del nonno paterno, vengono aggiunti i nomi di Silvio Roberto in omaggio al Cucinotta, che ne sarà il padrino. Caterina Leonardi e ADG avranno sette figli, malgrado il manifesto proposito di lui, dopo il quarto, di “mettere punto” – lettera CXXVII del 9 Febbraio 1913.

“Non è forse lecito – eccepisce SC con la XXXIX lettera del 29 Aprile 1906 – tra noi, che siamo più che amici fratelli, essere sinceri? La sincerità consiste in questo, ch’io, per ora, non posso venire a Palermo, per la semplicissima ragione, tu intendi, che attualmente mi trovo senza un vestito atto a farmi vedere a Palermo. – E conclude – A giorni ti manderò le mie tenui.”

Nel frattempo, progressivamente, avanza, “Mi chiudo sempre in una sterile rievocazione del passato, in una contemplazione egoistica della natura. Lontano, lontano e solo”, il malessere cui già aveva fatto cenno nella lettera XXVII del 31 Maggio 1905, tanto che il 22 Novembre 1906, nella XLIII lettera, SC ribadisce: “Ti scrivo di qui, dal mio nido, dove vivo d’inerte incoscienza lontano da qualsivoglia moto. Della vita, qui, mi arriva solamente, a traverso i giornali, qualche languida eco.” E il 6 Dicembre 1907, nella XLV lettera, sulla stessa stregua insiste: “Svegliandomi dal lungo inesprimibile sonno ti chiedo una fraterna parola che addolcisca l’inerzia vile e angosciosa nella quale mi sono gettato, vivendo soltanto di ricordi senza più speranze. Questa solitudine mi pesa. Non so che scopo abbia la mia vita.” Se si soppesano i brillanti esordi del giovane sacerdote SC, in che triste condizione egli, adesso, versa!

Il conforto e lo sprone di ADG non tardano ad arrivare, lettera XLVI dell’8 Dicembre 1907: “Sono addoloratissimo da questo stato di invincibile inerzia in cui ti sei buttato, con grave danno del tuo bell’ingegno e del tuo animo. Comprendo quello che hai sofferto e soffri, ma, Dio buono, chi non ha sofferto a questo mondo, chi non ha avute delle traversie? Ora se tutti facessero come te, se ognuno stesse in perpetua adorazione del passato, cosa ne sarebbe della vita? Coraggio! Scuotiti, muoviti, fatti vivo!”

La notte del 28 Dicembre 1908, alle ore 5.20, un violentissimo terremoto rase al suolo la città di Messina. Si contarono oltre 60.000 morti.

SC è a Pace del Mela e, nell’imminenza di quell’evento, lettere XLVIII, XLIX, LI, LIV riferisce: “Miracolosamente salvi! Ah, mio Alessio che terremoto! Messina non è più! La città rigurgita di feriti e di profughi. Siamo tutti a lutto. E la tristezza generale è accresciuta dalla tinta uniforme, grigiastra del cielo. Un inverno malaugurato, insolitamente rigido e piovoso. I profughi sono migliaia e migliaia, ricoverati in tutti i punti della città, alcuni in case private. Ce n’è a Taormina, a Catania, in tutta la provincia di Siracusa, di Girgenti (l’attuale Agrigento, ndr), di Palermo. La Sicilia Illustrata terrà una grande lotteria di beneficenza per i danneggiati.”

Tra i periti nel terremoto Gioacchino Chinigò, erudito milazzese, legato da amicizia con ADG, redattore della prefazione alla prima edizione di A lu passu di Giurgenti e del saggio l’arte umana della poesia dialettale di adg, e Alessio Valore, che dirigeva un giornaletto mezzo tra mondano e letterario: il marchesino.

Nel medesimo 1908 ADG pubblica il dramma siciliano in tre atti scunciuru, la cui prima ebbe luogo il 7 Dicembre 1908 al Broadway Theatre di New York.

“Mio carissimo Alessio – invia SC, il 31 Gennaio 1909 nella cinquantatreesima lettera – ho voluto trascrivere qui una delle mie dieci ballate francescane che vorrebbero vedere la luce. Che te ne pare?” “Procura di cambiare quel fronda non crolla” obietta ADG il 2 Febbraio 1909, con la lettera LIV. “Crollare è un po’ troppo, e poi … sotto i piedi. È l’unico neo che vi ho trovato.” E, manco a dirlo, SC accoglie il consiglio e “fronda non crolla” diventa “zolla non freme.”

“Eccoti le Ballate – scrive sempre SC, in data 24 Marzo 1909, nella cinquantottesima lettera – Credo valga la pena, non è vero?, di tirarne 250 o 300 copie. Ti raccomando di curare bene l’edizione: elegante per carta, formato, caratteri. Correggi le bozze accuratamente: le ultime bozze, prima che si tirino i fogli, ho desiderio di rivederle io.” Le raccomandazioni di rito che tuttora noi si usa fare. E quantunque, nella cinquantasettesima lettera datata 13 Marzo 1909, avesse sottolineato: “il tempo mi sfugge di mano e s’ingrandisce in me l’indecisione di correggere delicatamente quelle mende”, troverà modo, lettere LIX (senza data) del Marzo 1909 e LXV del 23 Aprile 1909, per talune “revisioni”: per la ballata Come le paranze “Se in fondo alla ballata si mettesse un novembre, quel più breve sarebbe o dovrebbe essere chiaro, ché, in novembre, i tramonti sono più brevi.” E, prosegue: “Perché ondeggiare tremulo? C’è forse un ondeggiare immobile?; a pagina 8 bisogna scomporre quel dalle in da le; a pagina 12 ci ho messo quella linea per indicare che quei versi dovrebbero uscire un po’ più fuori nella stessa linea dei precedenti; due punti invece del punto e virgola dopo raccoglimento pagina 15; mi stona quel ove ascolta; quel chioccola che è proprio degli uccelli vorrebbe indicare il mormorio dell’acqua. Se non è chiaro mettici un’altra parola.” Per concludere, arrendevole: “Mi rimetto al tuo giudizio.”

“Torno, di quando in quando, alle tue affascinanti “parole evangeliche” (SC, su la soglia dell’atrio, parole evangeliche, 1915) – considera ADG nella lettera CLIX del 1° Novembre 1916 – e trovo in esse pace e conforto. Osservo, qua e là, però, qualche lieve improprietà che vorrei eliminata. Il verbo “frullare” è adoperato, per esempio, più d’una volta in un significato che non mi pare sia il suo. Così a pag. 51 mi pare un po’ ardito quel “crepitio di singhiozzi”. A pag. 53 poi trovo: “ti sei gettato di buzzo buono”, mentre la frase, se ben ricordo, è “mettersi di buzzo buono a fare una cosa”. Così suol dirsi “parlare, scrivere a vanvera”, ma non si direbbe mai che “i libri son sparsi a vanvera”. Non darmi del pedante. E fa di queste mie osservazioni il conto che credi. Esse ti mostrino se non altro con quanta cura e con quanto amore io torno alle tue care pagine.”

Le parole or ora scorse suonano quale un monito per tutti noi. A non ritenerci arrivati (giacché nessuno mai lo è), a lasciare che gli altri enuncino schiettamente la loro e ghermirne, a pizzichi o a bocconi, con una formula che sa di viva intelligenza e di genuino opportunismo, ciò che d’altronde condividiamo, a spogliarci della nostra meschina vanagloria, ne avremmo tutti da imparare!

Non v’è gelosia dei propri versi inediti, non v’è ritrosia a interpellare l’amico per “emendare” il proprio scritto, non v’è rivalità artistica. Non v’è, basilarmente, timore di esporsi alla berlina, di palesare le proprie esitazioni, di confessare le proprie riserve. Viceversa si cerca l’aiuto, si confida nel suggerimento, si vuole l’imbeccata dell’illustre corrispondente. E non tanto per smania di novità, per frenesia di riforme, quanto piuttosto per quel sano assillo dei Poeti di non stimare mai del tutto licenziata la propria opera (“labor limae severissimo”, raccomanderà ADG a Tommaso Nediani, lettera CLXXV dell’11 Ottobre 1920), di tendere a un costante esercizio di affinamento alla luce di acuite sensibilità, accresciute conoscenze, sempre nuovi fermenti, di compiere una incessante auto-analisi stilistica e ideologica al fine di “sgriciari la pirfizioni”.

“Mio carissimo Alessio – appunta SC nella lettera LV datata 14 Febbraio 1909 – intorno all’opera tua letteraria mi sono prefisso di tenere una conferenza a Ribera.”

“Domani, Sabato, alle ore 16 – riprende il 9 Aprile 1909, lettera sessantaduesima – unisciti in spirito al tuo Silvio che parlerà alla classe eletta di Ribera, in una sala del palazzo municipale, sulla Poesia dialettale di un certo Alessio Di Giovanni.”

E nella sessantatreesima lettera, del 13 Aprile 1909, gli partecipa: “La conferenza è piaciuta: applauditi tutti i brani delle tue poesie. Ho dovuto sintetizzare per non abusare della pazienza degli uditori non abituati a sentir conferenze. È durata un’ora e mezza: ascoltata con piacere, trattata sotto tutti i punti: poeta della natura, del feudo, del popolo, degli umili, del Cristo, del Puvireddu, della madre.”

 “Qui dinanzi al mar di Sciacca – SC, lettera LXVII dell’8 Maggio 1909 – ho cantato riproducendo la vita medievale e il caso di Luna: ne sono venute finora sei o sette ballate.” Edite nel 1909, le ballate di sciacca rievocano una tragica vicenda storica. Si tratta del contrasto fra due nobili famiglie saccensi, quella dei conti Luna e quella dei baroni Perollo, animate da un reciproco odio feroce a causa del matrimonio, avvenuto il 15 Agosto del 1400, fra Artale Luna e Margherita Peralta, già promessa a Giovanni Perollo. La vicenda si prolunga fino al 1529, quando il conte Sigismondo Luna, dopo avere fatto uccidere il barone Giacomo Perollo, ne lega il cadavere alla coda di un cavallo e lo fa trascinare per le vie di Sciacca. Successivamente si reca a chiedere perdono all’imperatore Carlo V e al papa Clemente VII, ma entrambi glielo negano per la ferocia dei suoi misfatti, per cui Sigismondo si suicida gettandosi nel Tevere.

“Chi ntsi fari don Silviu cu sti ballati di Sciacca iu nun lu capisciu.” È un malevolo commento, nell’informare SC del quale, il 9 Febbraio 1913 lettera CXXVII, ADG auspica che “dopo le ballate francescane” SC produca “una opera degna”, perché  “tutti quelli che ti apprezzano e ti vogliono bene “ se l’aspettano. “E tu devi darcela.”

Una corrispondenza allora, un’amicizia, un affetto senza mai una incomprensione, uno screzio, un dissapore? Sostanzialmente, sì. Ma, giusto in quei giorni, una nuvola s’addensa all’orizzonte.

Sciacca (dove si trova per predicare), 31 Maggio 1909 lettera LXIX, SC segnala: “Ho ricevuto le otto copie delle Ballate in carta patinata, più 87 copie (non cento) in carta ordinaria. Come va che ne trovo 87 e non 100? È stato uno sbaglio tuo?”

E ADG, in data 29 Giugno 1909, lettera LXXII, replica: “Caro Silvio, in pari data ti spedisco per pacco postale le copie ultime delle Ballate, per cartolina vaglia il rimanente delle lire cinque, dalle quali ho tolte Lire 0,60, importo copie Ora con articolo del Minutilla, mandatoti a Sciacca, e Lire 0,60 spedizione pacco. Qui ti unisco la ricevuta delle Lire 55 fattami dal Barravecchia. E così possiamo finalmente mettere punto a questa malaugurata faccenda, dalla quale dopo avervi attorno spese tante amorose cure e avervi preso un interesse più che fraterno, non mi aspettavo affatto, dopo essermi raffreddato col Barravecchia, del quale sempre potevo giovarmi, essere costretto anche, con una morbosa insistenza, a rendere conto delle copie, non una, ma due, tre, quattro volte, quasicché io avessi potuto mangiarmene qualcheduna o friggermela per mio uso e consumo!! Chi più chi meno, tutti abbiamo dei guai: ma non è ragione questa che dobbiamo mostrarci diffidenti, scortesi e strani con chi non ci ha dato che prove di affetto quali raramente si danno nella vita.” Toni inusitati: aspri, risentiti, perentori.

“Mio carissimo Alessio – gli fa eco, accorato, SC nella lettera LXXIII datata 8 Luglio 1909 – rispondo ora, brevemente, a mente calma. Ricevetti la tua lettera amara, molto amara e ingiusta. Sono rimasto di sasso, te lo confesso. Ah, bravo Alessio, lacera anche tu, co’ tuoi ingiustissimi sospetti i brandelli di questo povero cuore. E non dico altro, ché oserei parole più gravi e feroci, e reprimo il mio intenso ribollimento. E protesto, sì, altamente, contro la tua lettera ingiusta che mi ha fatto piangere. Mi fa pena a scrivere così; mi fa pena vivissima a pensare che tu abbia potuto pensare così basso di me poiché è stata sempre la mia ambizione di considerar te più come fratello che come compare.”

Sappiamo che l’alterco fu poi superato; ma, tant’è, a fronte delle sei lettere di SC nei mesi immediatamente successivi, la prima di ADG è datata 18 Luglio 1910 – oltre un anno dopo quell’increscioso frangente!

Frattanto, nelle lettere dalla settantaquattresima alla settantanovesima, da Pace del Mela, da Forlì e da Racalmuto, luoghi in cui si è recato per predicare, SC gli aveva scritto: “non ostante il tuo broncio godo fraternamente degli splendidi successi di Scunciuru … ieri sera, a Forlì, nella sala del Circolo femminile di cultura, ho tenuto la conferenza sulla tua poesia. È stata bene accolta. Era un ambiente signorile ed intellettuale. Sei contento? Ora non mi resta che tenerla a Girgenti e poi pubblicarla … ho ricevuto Nni la dispensa di la surfara ma quei sonetti, te lo confesso, mi hanno lasciato freddo. Forse non avrò saputo cogliere tutta la ricchezza di quell’oggettività per me nuova; ma il fatto si è che quella non mi pare la tua poesia, o, dico meglio, è una poesia molto diversa. Gabrieli (Gabrieli, lu carusu dramma siciliano in tre atti, 1910, la cui prima rappresentazione avvenne la sera dell’8 Novembre 1911 al Teatro Olympia di Palermo e riscontrò una calorosa accoglienza) invece, è un vero capolavoro. Io qui ho letto ad alcuni massari alcune delle tue poesie e ho potuto toccare con mano, dai loro commenti e dalle loro impressioni, tutta la naturalezza dell’arte tua.” Nonostante il lodevole intento, la prima pubblicazione di quella conferenza è avvenuta solo nel Volume 3° della Collana del Progetto L.I.Re.S. nel 2006. SC terrà una ulteriore conferenza, dal tema la poesia dialettale di adg, a Reggio Calabria il 15 Marzo 1914 – lettera CL del 14 Marzo 1914.

Per tornare alla CORRISPONDENZA, le lettere, la ottantesima del carteggio datata 18 Luglio 1910, e poi la ottantunesima e la ottantaduesima, scritte tra Ottobre e Novembre 1910, da ADG a SC, hanno un tono assolutamente disteso, amicale e confidenziale e affatto v’è residuo, o allusione alcuna, alla passata acrimonia; indice che la classica pietra sopra vi è stata messa: “Carissimo compare …. Tanuccio sta bene. Egli non ha fatto altro che ripetermi: – Ci ‘a scrivi ‘a littra ‘o parrinu miu? Ernesto cosa fa di bello?”; lo appella affettuosamente “poltronaccio”, a motivo del ritardo nella risposta; gli confida che egli indugia in campagna “perché, come saprai, le scuole a Palermo non si sono riaperte pel timore del colera. Ho badato molto alle faccende del podere, ho dimenticato tutto il nerume e le nequizie del fango letteruto e mi son sentito di nuovo buono. Ho scritto poco; ma di quel poco ne sono assai soddisfatto. Ho buttato giù quasi tutto il poemetto la seggia cu li vrazza, e ne sono assai contento. Anche a te piacerà molto: ne son sicuro. Credo d’aver superato me stesso. Non mi dire orgoglioso: tu lo sai: io odio la falsa modestia.” la seggia cu li vrazza è il principio del poema di padre luca, edito poi in Palermo nel 1935. A dispetto del “maledetto colera”, ADG pubblica za francischedda nel 1910.

E i toni di intimità sono quanto mai palesi nella XCI lettera, del 13 Aprile 1911, in cui ADG informa SC che “Tina (nell’epistolario la moglie, Caterina, appare sempre col nome di Agatina o Tina) s’è abortita d’un feto mostruoso che l’ha fatto soffrire in modo  eccezionale. Figurati la mia ansia e il mio dolore.”

Non bastasse il colera, SC lettera CVI del 27 Novembre 1911: “Ho inteso parlare di non so quale epidemia di vaiolo o di morbillo a Palermo. Che c’è di vero?”

“Il vaiolo è all’ordine del giorno – conferma ADG, nella lettera CVIII dell’8 Dicembre 1911 – Sono morti molti bambini; pure qualche adulto. Ti consiglio di non venire.”

E perfino, lettera CLXIV del 28 Novembre 1918, una “terribile epidemia”. Si tratta della devastante pandemia del 1918-19, nota col nome di “febbre spagnola”, che ha provocato nel mondo almeno 15 milioni di decessi. Tra gli amici strappati dalla “maledetta spagnola” il “povero e diletto amico nostro” Ferdinando Attilio Termini.

“Hai ricevuto il pacco di fichi secchi per Tanuccio?”; “Ti ho spedito, per Tanuccio e Lorenzino, un pacco di fichi secchi”; “Baci a Tanuccio (fra giorni gli arriverà il pacco dei fichi secchi)”; “Tanuzzo, dunque va a scuola? A quest’ora certamente avrà divorato li ficu”; “Hai ricevuto il pacco di fichi secchi?”

ADG nel Maggio 1911, lettera XCV, per accordi presi per telefono, si reca a Mazara del Vallo, dove ha degli “ignoti ammiratori”.

Dal canto suo SC, nel Giugno 1911, lettera XCVIII, è a Spaccaforno (Ispica dal 1935) per predicarvi. “Ho da darti – implora – una preghiera. Ti raccomando, cioè, vivamente, lo studente Catalano, fratello del mio amico diacono Catalano del seminario di Cefalù, il quale è venuto costì per dare la licenza. Aiutalo, te ne prego, in tutte le maniere, e raccomandalo con ardore ai professori di matematica e francese.”

ADG accoglie la supplica dell’amico, ma, lettera CI datata 4 Agosto 1911: “Il tuo Catalano me ne combinò una bella. Fece fare al fratello l’esame di seconda in terza presso la Scuola Tecnica di Cefalù, e poi se ne venne alla Scinà a fare l’esame di licenza. E ciò a mia insaputa, facendomi così far la figura d’uno che tiene il sacco ad una irregolarità, perché il Ragusa (Girolamo Ragusa Moleti, preside della Scuola Tecnica Scinà di Palermo) venne a sapere la cosa e l’espulse dagli esami. È stato semplicemente per un riguardo verso te se non bollai l’amico come meritava d’esser bollato.”

Da tempo ADG è in contatti con Frédéric Mistral, 1830-1914, premio Nobel 1904. Con Roumanille e altri, questi fondò il Felibrismo, movimento impegnato ad impedire l’estinzione del provenzale e delle parlate occitane e far sorgere, sulle ceneri della cultura della Provenza, una nuova letteratura, ispirata alla poesia popolare e alla lirica trovadorica. Il Corriere della Sicilia di Palermo stampa, nel corso del 1911, una serie di articoli di ADG riuniti sotto il titolo generale: Nel campo dei Felibri. Joseph Roumanille, Valère Bernard, Frédéric Mistral sono tra gli esponenti più in vista del movimento. Su proposta di quest’ultimo, nella seduta concistoriale tenutasi a Montpellier il 4 giugno 1911, ADG è stato “eletto, all’unanimità, e tra grande entusiasmo, socio del Felibrige.” ADG ne notizia SC, lettera CI, specificando che: “ho tradotto molto dal provenzale, ne ho studiato la grammatica.”

È il 7 settembre 1911, lettera CII. “Vedo fuggire – rimarca ADG – con spavento i giorni delle vacanze! In questi mesi ho tradotto i Racconti Provenzali del Roumanille, le vergini d’avignone dell’Aubanel e ho scritto un nuovo lungo poemetto: chiddu di lu vrazzu curtu. Mentre ti scrivo sono tutti a letto. Solo Rosaliuccia (la figlia maggiore, ndr) è qua a sfogliare un libro. Vi è un gran silenzio. Sento il cri cri dei grilli. Alzo la testa e vedo, dal balcone spalancato, nel buio, il rosseggiare delle stoppie in un campo. Oh, fossi qui anche tu!” Per inciso SC definirà – lettera CXXXVIII del 13 Agosto 1913 – i Racconti del Roumanille dei “gioielli: non tradotti ma scritti da te.” E, lettera CXXXIX del 14 Agosto 1913, ADG sottolineerà: “Son contento che la mia traduzione del Roumanille sia piaciuta anche a te! In Provenza suscita entusiasmo. Il Mistral, il Bernard, il Bourrilly, la Réquier me ne scrivono con parole altamente lusinghiere. Tutti lodano la fedeltà assoluta e la bellezza tipica con cui son rese le minime sfumature del difficilissimo testo.”

Momenti felici si alternano ai meno felici. ADG, lettera CXIV del 10 Marzo 1912, si scusa del lungo silenzio: “i bambini ammalati tutti e due e poi noie e preoccupazioni d’ogni genere. Selvaggio per temperamento, di giorno in giorno lo divento sempre più. Tutta questa letteratura a base di ripicchi, di piccinerie, d’invidiuzze meschine mi fa nausea. Vorrei financo non aver più la passione dell’Arte. Peccato, però, che di certe malattie si muore, non si guarisce.” Un pensiero simile egli esternerà al “caro e illustre amico” Luigi Natoli: “qua non esiste fraternità. Non c’è che il pettegolezzo, la vile malignità, la invidiuzza. Palermo diventa sempre più restia ad ogni sorriso d’arte.”

Chiaramonte Gulfi, da dove SC invia una cartolina il 22 Aprile 1912, è in provincia di Siracusa; passerà dal 1927 alla nuova provincia di Ragusa.

Il 19 Luglio 1912 muore Gaetano Di Giovanni, padre di ADG, nato nel 1831. Nella lettera CXXII, il 3 Agosto 1912, ADG avvisa: “Il Solco prepara un numero unico che uscirà il 15 corrente e che sarà cosa assai bella e importante. Tanto io quanto Vincenzo (fratello di ADG, ndr) desideriamo vivamente che a questo omaggio alla sapiente operosità del caro Papà nostro contribuisca, insieme a tutti gli altri amici, anche tu. Ognuno è stato incaricato di parlare d’un lato dell’opera di Papà. Tu ci farai il favore di parlare del francescanofilo. Non devi fare un lungo articolo. Ci basta una colonnina, una colonnina e mezza di stampa piena di sentimento, come tu sai fare. Devi dire che Papà commemorò San Francesco nella Valplatani. Se hai bisogno d’aver sott’occhio il discorso di papà, fammi un telegramma che te lo spedirò subito. Caro Silvio, bada che ci teniamo. Non dimenticarti di dire che il discorso di papà fu elogiato assai. Dirai pure che nella grande raccolta omaggio al mondo cattolico a S. Francesco d’Assisi nella ricorrenza del VII centenario della nascita, tra i tanti discorsi di secolari letti in quell’occasione, furono riportati soltanto quello di Ruggero Bonghi, quello di papà, e un articolo meraviglioso di Enrico Nencioni.”

Una “graziosa” invocazione, suffragata da adeguati “suggerimenti” ad hoc, alla quale SC dà seguito in data 16 Agosto 1912, lettera CXXIII: “Perdonami se ho mancato al tuo appello fraterno e, insieme, a un dovere che sentivo compiere. Ma pur troppo mi sono trovato in tali condizioni d’animo da non potere gettare giù nemmeno una linea. Questo continuo peregrinare mi stanca e mi toglie ogni volontà di fare. Dopo tanto silenzio letterario, mi pare, ohimé, a momenti, di non saper più scrivere.”

“Mons. Anselmo Sansoni (vescovo di Cefalù, ndr) – SC, lettera CXXVI del 23 Gennaio 1913 – mi ha destinato a Nicosia.”

Lì, conosce il poeta dialettale La Gaglia, lettera CXXVIII del 3 Marzo 1913: “Abbiamo parlato di te ed egli ti ha già spedito le sue opere. Ti prego di ricambiargli le tue.”

Nel 1913 ADG pubblica la poesia d’un solitario. “Travi (il tipografo, ndr) – annota egli il 14 Luglio 1913 nella CXXXV lettera – per 300 copie ne vuole cinquanta lire.”

“La ferrovia – deplora nella CXXXIX lettera del 24 Agosto 1913 – verrà a profanare la francescana pace.” In realtà dovranno passare parecchi anni fino a che il frastuono delle vaporiere raggiunga effettivamente la zona di Cianciana: la linea ferroviaria a scartamento ridotto, con lunghi tratti a cremagliera, da Lercara Bassa a Magazzolo, la cui costruzione è iniziata nel 1912, verrà completata nel 1924 e, per la sua antieconomicità, sarà poi chiusa all’esercizio il 1° Ottobre 1959.

9 Gennaio 1914, lettera CXLIII di ADG: “Ho scritto un nuovo dramma siciliano in tre atti. Muscoloso, serrato, emozionantissimo. Credo d’aver fatta opera degna e che leverà alto grido. Lascia che io ti parli, candidamente, senza la solita modestia ipocrita dei letterati. È la gioia, del resto, del buon artiere che, ad opera compiuta, se ne compiace.” Si tratta del dramma comu lu muncibeddu, rappresentato per la prima volta la sera dell’8 Novembre 1915 al Teatro Olympia di Palermo. Il titolo sarà più tardi mutato in l’ultimi siciliani.

“Hai ricevuto la Vela latina? – chiede ADG nella lettera CXLIV del 20 Gennaio 1914 – Lo dirige Ferdinando Russo il valorosissimo poeta dialettale napoletano, e la redazione per la Sicilia è presso di me. Ti ho fatto mettere nella lista degli abbonati. Così ho fatto con tutti i miei amici. Si tratta del resto d’una miseria, lire tre – e d’un giornale ch’è nostro e che può giovarci.”

“Ho ricevuto la Vela latina. – SC lettera CXLV del 23 Gennaio 1914 – Mi vi abbonerò per amor tuo. Ma a giudicare dal 3° numero mi par troppo pesante e poco vario.”

Tra la seconda metà del 1914 e il 1928 la CORRISPONDENZA subisce una graduale, benché netta, flessione.

“Io invecchio e vado, a poco a poco, disabituandomi degli uomini e della vita. – soppesa ADG nella lettera CLIX del 1° Novembre 1916 – Lavoro molto in attesa di tornare in lizza, appena la nefasta guerra lo permetterà. In primavera, forse, la mia classe sarà richiamata sotto le armi. Che Iddio me la mandi buona! Poveri i miei figlioletti se io dovessi morire anzitempo!”

“Mi congratulo per la tua nuova carica” – attesta ADG, lettera CLX del 6 Aprile 1917. Dall’8 Settembre 1915, difatti, SC è titolare della parrocchia “S. Maria della Visitazione” di Pace del Mela, alla cui guida rimarrà sino al 1927.

“Da due anni circa – ADG, lettera CLXIV del 28 Novembre 1918 – sono consigliere magna pars della Commissione per le conferenze del Circolo di cultura. E via via penso a rendermi utile per gli amici. Invitai l’anno scorso il Torregrossa (Ignazio, 1864–1922, sacerdote palermitano, ndr). Adesso penso ad invitare te. Vuoi venire in primavera a fare una conferenza? Possibilmente quella sugli eremi di Sicilia, nella quale potresti incastonare le tue squisitissime ballate francescane?”

“Per la vita che conduco – SC, lettera CLXVI del 29 Novembre 1918 – fatta di lavoro faticoso e continuo e non scevra di continue pungenti preoccupazioni, mi son visto a poco a poco, quasi involontariamente, chiuso in un silenzio ostinato e in una intensa solitudine palpitante solo di ricordi e di acri nostalgie.”

“Da quattro cinque anni – ribatte nella lettera CLXXII del 3 Marzo 1920 – le cure della parrocchia mi hanno tolto ogni volontà di scrivere. Un tedio insoffribile di prendere la penna. Lettere e lettere che si accumulano e aspettano una risposta! Amici che si lamentano! La parrocchia ha svanito me stesso. La troppa solitudine ha cinto l’anima d’una profonda melanconia. Studi interrotti. Lavori interrotti. Un lavoro che strema. Di ammalato in ammalato. In chiesa, sempre in chiesa. Accompagnare morti. Trattare con contadini che talvolta non comprendono. Un desiderio che mi si liberi da questo peso enorme. Ecco le mie condizioni.”

“Ti mandai subito una delle prime copie del mio amato la morti di lu patriarca (novella siciliana, Palermo 1920). – ADG, lettera CLXXV del 11 Ottobre 1920 – Attendo di sapere le tue impressioni. E tu come stai adesso? Come va che dovevi venire e poi non sei venuto più a Palermo? Quando potremo vederci?”

“Provato da molte sventure – SC, lettera CLXXXII del 7 Agosto 1926 – tra le quali la morte di mio fratello Letterio, e la frattura del mio braccio sinistro, per una terribile caduta mentre uscivo di chiesa, non sto bene in salute. Ho bisogno di riposo e di cura. Il quindici Agosto partirò per Montecatini, per la cura di quelle acque. Quindi, dal 31 Agosto al 10 Settembre, a Lourdes, in pellegrinaggio. Dammi tue notizie. Dammi notizie di Tanuccio, gia ventenne. Come desidero vederti! Ti abbraccio e bacio con tutta l’anima, Tuo aff.mo fratello SC.”

Seguiranno due cartoline, da Lourdes nel Settembre 1926 e da Parigi il 7 Novembre 1926, ma la CLXXXII sarà l’ultima lettera di SC della CORRISPONDENZA.

“Solo in questo momento – ADG scrive alla sorella di SC Giuseppina in data 3 Giugno 1928 nella CLXXXIV e ultima lettera della CORRISPONDENZA – vengo a sapere della nostra grande sventura. Le lascio immaginare il mio dolore! Le sarei vivamente grato se volesse darmi notizie sugli ultimi giorni e sulla malattia del nostro caro fratello. Appena ne avrò il modo, io verrò a Pace del Mela per vedere la casa di Silvio e per inginocchiarmi e pregare sulla sua tomba. Intanto, serro nel cuore tutta l’angoscia di questo tristissimo momento.”

Silvio Cucinotta muore, a seguito di una emorragia cerebrale – la seconda, la prima lo aveva colpito nel Gennaio 1927 – a Santa Lucia del Mela il 1° Maggio 1928.

La Tradizione, Palermo Settembre-Ottobre 1928, pubblica un pezzo di ADG titolato ADDIO AD UN FRATELLO, Silvio Cucinotta: “La sua morte è stata un vero lutto per quanti lo conobbero e lo amarono. Perché Silvio Cucinotta fu senza dubbio un poeta delicato e fine, un prosatore di rara eleganza, ma soprattutto un sacerdote nel più alto  senso della parola, un uomo veramente e supremamente buono. Silvio Cucinotta ha lasciato esempi di virtù che, a ripensarli, ci rendono adesso più inconcepibile la triste sorte che gravò sul suo nobile capo, e tutto l’amaro che la vita offrì a quelle sue pure labbra che seppero soltanto la parola candida e mite, la preghiera fervida e schietta, l’alata ispirazione mistica. Sia benedetta, o Silvio, la tua memoria, che noi conserveremo sempre nel cuore con muto, ardente, inconsolabile dolore!”

“Ci vedremo, e parleremo dell’arte che è più buona degli uomini”. SC, 4 Settembre 1904.

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