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Critica Letteraria: Joe Lansdale, “La sottile linea scura”

Creato il 15 ottobre 2012 da Patrizia Poli @tartina

copda CriticaLetteraria del 15 ottobre 2012

di Patrizia Poli

La sottile linea scura
di Joe R. Lansdale

Einaudi, 2004
pp.300

Edizione di riferimento “La biblioteca di Repubblica l’Espresso”

C’è chi, parlando de “La sottile linea scura” di Joe R. Lansdale, cita subito il Bildungsroman, il romanzo di formazione alla Stand by me, con la classica perdita dell’innocenza.
Stanley Mitchell, il protagonista tredicenne, in una lunga estate calda texana, scopre che il mondo non è come lo credeva, che le persone fanno sesso fra loro, uccidono, si ubriacano, picchiano la moglie, brutalizzano i figli. Soprattutto scopre che i neri non sono uguali ai bianchi, non è loro concesso lo stesso posto nell’ordine delle cose.

“Quella è gente che non ha di meglio da fare che smuovere le lapidi della gente di colore o ridurle in mille pezzi buttandole nel torrente. Che poi sono pure codardi, figliolo, perché lo sanno che i neri non reagiranno mai, così davanti a tutti, col rischio di vedersi arrivare quelli del Klan, altra gente di quella fatta.” (pag 131)

Scopre che i diritti non sono per tutti, che le donne, specie se di colore, sono sempre vittime; che i pregiudizi avvelenano i rapporti sociali, le amicizie, il vicinato; che c’è chi lucra sulla pelle degli altri; che non tutto è come appare.
Noi, però, non ci soffermeremo su quest’aspetto scontato, ma toccheremo il principale pregio di un romanzo che, se non segna, non sconvolge, non penetra, comunque avvince almeno per il tempo limitato della lettura: non è la crescita interiore del protagonista, come abbiamo detto, né l’intreccio, improbabile e pure irrisolto, quanto piuttosto l’atmosfera riuscitissima dell’America fine anni cinquanta.
Non seguiamo, quindi, l’investigazione di Stanley sulle due ragazze morte in circostanze oscure molti anni prima, il ritrovamento delle lettere, il cofanetto sepolto, la paurosa casa sulla collina. Alla fine, le scoperte fatte da Stanley ci lasciano indifferenti, il protagonista sembra non avvertire nemmeno orrore mentre disseppellisce cadaveri che dovrebbero agghiacciarlo. Non ci interessa dipanare il mistero del fantasma senza testa che si aggira lungo la ferrovia, quanto piuttosto tallonare Stanley nei suoi spostamenti, pedalare con lui su per la collina mentre l’aria rinfresca prima del temporale, infilarci nel gabbiotto del proiezionista negro sempre ubriaco.

“D’estate ce ne voleva prima che facesse buio, e il sole – che ancora non trovava ostacolo in grattacieli né in casermoni popolari – si tuffava tra gli alberi del Texas orientale come una stella cadente. Via via che tramontava, dava l’impressione di mettere a ferro e fuoco interi boschi.” (pag 20)


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