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CRITICI E APOLOGETI DI MARX: IGNORANTI E “FALSARI”, di GLG

Creato il 26 aprile 2015 da Conflittiestrategie

Riporto l’appendice a un capitolo del mio “Navigazione a vista” (Mimesis), di cui sto correggendo le bozze. Si tratta di un millesimo delle possibili citazioni dalle opere di Marx; esse dimostrano come questo “poveretto” sia stato falsato sia dagli apologeti che dai critici. Questi secondi lo fanno per ignoranza e/o in malafede, per poterlo confutare liberamente dimostrando che ha affermato solo corbellerie o era un utopista; alcuni invece, i più ignoranti e mascalzoni, per sostenere che è all’origine del preteso gulag “sovietico”. I primi, sempre per ignoranza e/o malafede, vorrebbero dimostrare che è ancora valido nel suo buonismo d’accatto. Quello che gli attribuiscono lo fa considerare quasi una sorta di precursore di Papa Bergoglio e, naturalmente, un perfetto utopista; cosicché, anche in tal caso, il povero Marx è conciato per le feste. Naturalmente, nel mio testo affermo chiaramente che il marxismo va superato, che una serie di previsioni (ma scientifiche in ogni caso) si sono dimostrate errate. Tuttavia, non vi è in lui alcun utopismo; e la cosiddetta problematica marxiana resta qualcosa di stimolante proprio per formulare nuove ipotesi, pur magari lontane dal contesto originario. In ogni caso, da queste citazioni si evince l’asineria di coloro che hanno sostenuto essere lo sfruttamento un’estorsione (di pluslavoro) legata all’oppressione, alla mancanza di libertà e a costrizione; o altre idiozie mai affermate da Marx, ma solo da poveri imbecilli e, lo ripeto, ignoranti. Si mostra pure la superficialità di coloro che hanno considerato Marx un grande per aver previsto la globalizzazione mercantile della società moderna; il che lo porrebbe invece come un seguace (minore) di Adam Smith. Tutti questi sciocchi cianciano di Marx, non conoscendo nemmeno i primi capitoli della sua massima opera.

CITAZIONI (COMMENTATE) DI MARX

(cap. IV, libro I de Il Capitale: “La trasformazione del denaro in capitale”)

“La circolazione delle merci è il punto di partenza del capitale. La produzione delle merci e la circolazione sviluppata delle merci, cioè il commercio, costituiscono i presupposti storici del suo nascere. Il commercio mondiale e il mercato mondiale aprono nel secolo XVI la storia moderna della vita del capitale”.

“La formazione di plusvalore, quindi la trasformazione del denaro in capitale, non può dunque essere spiegata né per il fatto che i venditori vendano le merci al di sopra del loro valore, né per il fatto che i compratori la comperino al di sotto del loro valore”.

“S’è visto che il plusvalore non può sorgere dalla circolazione, e che quindi nella sua formazione non può non accadere alle spalle della circolazione qualcosa che è invisibile nella circolazione stessa”.

“Dunque è impossibile che dalla circolazione scaturisca capitale; ed è altrettanto impossibile che non scaturisca dalla circolazione. Deve necessariamente scaturire da essa, ed insieme non in essa”.

Passo cardine di tutta la teorizzazione marxiana, della sua spiegazione che il rapporto sociale (che è il capitale) nasce dentro la circolazione generalizzata delle merci – per cui non può esistere nulla che assomigli ad un “socialismo di mercato” – eppure è reso invisibile nella sua sostanza dalla libertà formale che informa i rapporti tra possessori di merci in questa circolazione mercantile generalizzata, portato esclusivo della forma di società capitalistica. Questo è l’aspetto fondamentale di quell’“arcano” che è la forma di merce: rapporto tra cose che si sostituisce al rapporto tra uomini, ma soprattutto rapporto in cui è già contenuta la necessaria potenzialità dello sfruttamento (estrazione del surplus di lavoro che diventa il profitto capitalistico), pur essendo nel contempo rapporto di equivalenza nel libero scambio di merci tra eguali possessori delle stesse. Quindi la merce acquisisce lo “statuto” di feticcio, di “misteriosità deità” che guida la vita degli uomini nella formazione capitalistica, facendoli apparire eguali nel mentre sancisce la loro diseguaglianza.

Forse l’unico inconveniente nell’esposizione di Marx è di avere messo il paragrafo sul feticismo nel primo capitolo sulla merce. In ogni caso, non si poteva confondere tale feticismo con l’alienazione, mai citata infatti da Marx. Tuttavia, si rischia di perdere quell’“arcano” fondamentale, direi la reale maschera del capitalismo che non gli viene tolta nemmeno oggi (e tanto meno da marxisti ormai degenerati in “deboli pensatori”): il capitalismo è “libertà ed eguaglianza” e tuttavia, nello stesso tempo, è sfruttamento e diseguaglianza. Come chi si alza la mattina e vede tranquillamente il Sole viaggiare da est a ovest, così il pensatore dei dominanti si acquieta in questa libertà ed eguaglianza e crede alla potenza insita nell’azione imprenditoriale, in pieno rispetto delle leggi di mercato, oggettive e “naturali” (come appunto il “viaggio” del Sole).

Lo statalista (a volte ancor più nocivo) ci racconta della possibilità (effettiva) di lenire qualche stortura sociale con l’intervento del Demiurgo, un insieme di apparati che sono la summa sia della diseguaglianza di potere tra dominanti e dominati sia del conflitto tra i primi. Quando occorre, tale ideologo, con i vari giornalisti al seguito, blatera contro i finanzieri, che avrebbero provocato quelle catastrofi; egli non le considera del tutto intrinseche al funzionamento di questa società, come invece sono, bensì del tutto provvisorie, di fase (ciclo), autentiche malattie di un organismo che non lo conducono affatto alla morte, anzi lo sgravano delle tossine accumulate. E i marxisti degeneri seguono questo andazzo, perché anche loro dormono di notte e regolano la loro veglia sull’andamento della giornata che va “naturalmente” dall’alba al tramonto.

A nessuno di questi tolemaici sorge il sospetto che sia la Terra a ruotare (e nella direzione dal tramonto all’alba, da ovest ad est). Se qualcuno avanza simile ipotesi, essi restano inorriditi e sprezzanti. Lo prendono per matto, in preda a fantasie “pericolose”. E così ancor oggi, nella nuova crisi, dobbiamo veder sciorinata tutta la falsa sapienza degli apologeti di questo sistema, mai contrastati sui punti essenziali dai “critici che più critici non si può”. Basti vedere le solite litanie contro la finanza, meglio se contro i finanzieri che, essendo singoli individui, possono essere fatti passare per persone infide, poco corrette, dedite agli imbrogli. E allora giù con gli alti lai sulla decadenza dell’etica, con i capitalisti di una volta che si suicidavano quando falliti mentre questi ci inzuppano il pane. E via con tutte le banalità, che si ripetono pari pari da metà ‘800 se non da prima ancora, visto che Balzac è morto nel 1850; ed è incredibile leggere le sue opere e trovarsi nel mondo d’oggi.

“Dunque il cambiamento deve verificarsi nella merce che viene comprata nel primo atto, D-M [Denaro-Merce ; che è la merce forza lavoro; ndr], ma non nel valore d’essa, poiché vengono scambiati equivalenti, cioè la merce vien pagata al suo valore. Il cambiamento può derivare dunque soltanto dal valore d’uso della merce come tale, cioè dal suo consumo”.

Consumo che avviene ovviamente dentro il processo lavorativo, dove varia la quantità del surplus (pluslavoro/plusvalore) estratta da quest’uso; mentre la “legge” dello sfruttamento capitalistico, con il suo gioco di eguaglianza e libertà che celano la diseguaglianza, si è già costituita con il formarsi del lavoro salariato (mercato della forza lavoro) e la generalizzazione a merce di ogni prodotto lavorativo umano.

“E il possessore di denaro trova sul mercato tale merce specifica: è la capacità di lavoro, ossia la forza-lavoro”.

Ogni commento è superfluo.

“…. affinché il possessore di denaro incontri sul mercato la forza-lavoro come merce debbono essere soddisfatte diverse condizioni [………..] la forza-lavoro come merce può apparire sul mercato soltanto in quanto e perché viene offerta o venduta come merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa è forza-lavoro. Affinché il possessore della forza-lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della propria capacità di lavoro, della propria persona. Egli si incontra sul mercato con il possessore di denaro e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, di pari diritti, distinti solo per essere l’uno compratore, l’altro venditore, persone dunque giuridicamente eguali. La continuazione di questo rapporto esige che il proprietario della forza-lavoro la venda sempre per un tempo determinato, poiché se la vende in blocco, una volta per tutte, vende se stesso, si trasforma da libero in schiavo, da possessore di merce in merce [………]. La seconda condizione essenziale, affinché il possessore di denaro trovi la forza-lavoro sul mercato come merce, è che il possessore di questa non abbia la possibilità di vendere merci, nelle quali si sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi sia costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forza-lavoro, che esiste soltanto nella sua corporeità vivente [……]. Dunque, per trasformare il denaro in capitale il possessore di denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero; libero nel duplice senso che disponga della propria forza lavorativa come propria merce, nella qualità di libera persona, e che, d’altra parte, non abbia da vendere altre merci, che sia privo ed esente, libero di tutte le cose necessarie per la realizzazione della sua forza-lavoro”.

E’ fin troppo chiaro di quali “cose necessarie” si tratti: dei mezzi produttivi, da cui il possessore della forza lavorativa è separato, e senza i quali non può realizzare né un processo “in proprio” (come Robinson nella sua isoletta) né una produzione di merci con cui procurarsi il denaro e acquistare, secondo il principio dello scambio di equivalenti (M-D-M), gli altri oggetti utili al suo vivere. Non siamo alla produzione mercantile semplice dell’artigianato, ma appunto nella produzione capitalistica, in cui il rapporto sociale fondamentale è tra possessore di denaro (con proprietà dei mezzi produttivi da mettere in moto tramite forza lavoro) e libero possessore di quest’ultima, venduta quindi in forma di merce (altrimenti il possessore dovrebbe vendere se stesso assieme alla forza lavorativa e si troverebbe situato in altro rapporto sociale).

Il capitolo si chiude con una delle brillanti “sparate” sarcastiche in cui Marx era maestro e che tuttavia illustra il lato ingannevole (il “giro del Sole intorno alla Terra”) presentato dalla società capitalistica e ancor oggi non superato:

“La sfera della circolazione, ossia dello scambio di merci, entro i cui limiti si muovono la compera e la vendita della forza-lavoro, era in realtà un vero Eden dei diritti innati dell’uomo. Quivi regnano soltanto Libertà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham. Libertà! Poiché compratore e venditore d’una merce, per es. della forza-lavoro, sono determinati solo dalla loro libera volontà. Stipulano il loro contratto come libere persone, giuridicamente pari. Il contratto è espressione giuridica comune. Eguaglianza! Poiché essi entrano in rapporto reciproco soltanto come possessori di merci, e scambiano equivalente per equivalente. Proprietà! Poiché ognuno dispone soltanto del proprio. Bentham! Poiché ognuno dei due ha a che fare solo con se stesso. L’unico potere che li mette l’uno accanto all’altro e che li mette in rapporto è quello del proprio utile, del loro vantaggio particolare, dei loro interessi privati. E appunto perché così ognuno si muove solo per sé e nessuno si muove per l’altro, tutti portano a compimento, per una armonia prestabilita delle cose, o sotto gli auspici d’una provvidenza onniscaltra, solo l’opera del reciproco vantaggio, dell’utile comune, dell’interesse generale”.

E così sia!


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