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Cronache dal terremoto, ovvero "quando non mi lasciano in attesa divento un'eroina"

Creato il 31 gennaio 2012 da Taccodieci @Taccodieci
Non sarà un post brillante, lo so. Guardate la pupazzetta mutaforma: avete mai visto Wonder Woman con un foulard?
E' che qualche giorno fa un dente del giudizio ha deciso di imbizzarrirsi e di crescere non slanciato verso l'infinito, ma proteso verso il calduccio della mia guancia, conficcandocisi. E bravo, grazie tante.
Da giorni sono imbottita di farmaci, di antibiotici (sono così zeppa di farmaci che stasera mi sono ubriacata con solo un paio di sorsi di prosecco: ho finalmente provato scientificamente che in effetti non fa bene mischiare alcolici ed antibiotici), ma la situazione peggiora, anzichè migliorare. Tanto per dirne una, stanotte ho dormito con la faccia appoggiata ad un ghiaccio da campeggio e le lacrime.
Mentre soffrivo come un cane, c'era chi mi diceva "mi raccomando: fatti fare un preventivo dal dentista, prima di farti togliere il dente". Io rispondevo, in[@##@t@ come una jena "TU NON HAI CAPITO CHE SE AVESSI UN CACCIAVITE, UN PAIO DI PINZE, UNA TENAGLIA, UN [@##° DI GIRATUBI, QUESTO DENTE ME LO STRAPPEREI DA SOLA ADESSO, ALTRO CHE PREVENTIVO!".
Ho scoperto che il mal di denti mi rende infinitamente più irritabile del solito e sboccata come uno scaricatore di porto.
Quello che non sa ancora, il piccolo bastardo che mi sta causando notti insonni ed una guancia gonfia come se ci tenessi dentro le ghiande per l'inverno, è che ha le ore contate.
Da venerdì i miei post torneranno ad essere brillanti ed io avrò solo i 3/4 del giudizio di una persona normale, che per me sono comunque già un traguardo che non avrei mai creduto di raggiungere.
25 gennaio, ore 9 e qualcosa del mattino
Sono appena arrivata in ufficio e sto per iniziare la giornata come la inizio sempre: lamentandomi di qualcosa di fronte ad un caffè fumante, con le mie fantastiche colleghe o compagne di sventura che dir si voglia.
Ne manca ancora una, così la aspettiamo sedute alle nostre postazioni (siamo persone educate noi, che vi credete? Iniziamo a mangiare solo quando tutti sono a tavola).
Ad un certo punto accade.
Vi assicuro che, nonostante le immagini ridicole che si vedono su Facebook in questi giorni, sentire la sedia che trema sotto al proprio culo, la porta che vibra, la scrivania che si muove, i vetri che cigolano (nel caso foste in un ufficio che non è proprio un gioiello dell'architettura moderna) non è piacevole.
Accade che arriva il terremoto e noi smettiamo immediatamente di parlare.
Immagino che per chi ha vissuto il terremoto del Friuli del 76 quello dello scorso 25 gennaio sia stato poco più del pasaggio di un grosso camion, ma noi pischelle ci siamo zittite tutte contemporaneamente in ascolto.
La prima scossa, brevissima, passa.
Stiamo quasi per tirare un sospiro di sollievo che inizia una seconda scossa.
La mia vicina di scrivania ha il coraggio di pronunciare la parola che rende improvvisamente vero quello che sta accadendo: il terremoto.
Così faccio quello che il nostro emerito Sistema Qualità certificato prevede che io faccia, nelle situazioni di emergenza, all'interno del mio ufficio: mi alzo in piedi e quasi grido "TUTTI FUOOORI"!
E pensare che quando avevo letto sul serissimo Manuale della Qualità che avrei dovuto fare così nelle situazioni di emergenza, avevo riso tanto da dovermi tenere la pancia.
Si alzano immediatamente anche le colleghe e, senza dire altro, ci scaraventiamo alla porta, travolgiamo la collega ritardataria che in quel momento sta salendo le scale e ci precipitiamo all'aperto.
Inutile dire che la scossa di terremoto è già finita da un pezzo, che nessun altro nello stabile ha pensato di evacuare la struttura e che noi, come quattro sceme, rimaniamo al freddo e al gelo giusto il tempo di una sigaretta (neanche fossimo a Los Angeles ad aspettare il big one), per poi guardarci negli occhi come a dire "e mo?" e sentirci un po' stupide.
27 gennaio 2012, un'ora imprecisata del pomeriggio
Sono al telefono con un cliente e stiamo cercando di venire a capo di una questione pizzosissima.
Accade di nuovo. Il primo segnale è la porta che vibra, poi iniziano a tremare anche la sedia e la scrivania. Mi zittisco al telefono e guardo la mia vicina di scrivania. Lei sottovoce, ancora una volta, chiama le cose con il proprio nome: il terremoto.
In quel momento se ne accorge anche il mio interlocutore, dall'altro capo del filo.
- Oddio...
- Lo senti anche tu?
- Sì.
- Terremoto.
- Aspetta, ti metto in attesa.
Prima ancora che io possa replicare parte la musichetta dell'attesa telefonica.
"Mi ha messa in attesa", dico incredula alla mia collega, sconsolata, con la cornetta in mano. Tutta la situazione è irreale.
Ora fate uno sforzo di immaginazione e provate a pensare quanto mi sentissi cretina io, col telefono in mano e la sedia che balla sotto al culo, ad aspettare in attesa di morire sotto il crollo del mio ufficio, visualizzando la scena, dall'altro capo del telefono, del cliente che fa evacuare la propria azienda.
E magari i soccorsi che, dopo giorni, trovano il mio cadavere con ancora in mano la cornetta, grazie al flebile suono emanato dalla musichetta dell'attesa.
Dal momento che sono in attesa, stavolta non posso dare l'ordine "TUTTI FUOOORI!", così rimaniamo lì, io in attesa e le altre in ascolto.
Poi la scossa finisce e finalmente tiriamo il secondo sospiro di sollievo nel giro di tre giorni. Il cliente riprende la linea.
- Scusami, eccomi qua. Volevo capire che cosa stava succedendo.
- Ma davvero mi avresti lasciata a morire in attesa, mentre evacuavi l'azienda per il terremoto? Grazie, eh!
- Avresti potuto riagganciare...
Oh, già, non ci avevo pensato.
La Redazione

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