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Cultura: recensione del libro “Il Fondo dello Spettacolo” di Davide Colavini

Creato il 01 giugno 2015 da Stivalepensante @StivalePensante

(Recensione di Luca Maciacchini) - L’artista è qualcuno che cerca la sua identità come rovistando tra le macerie della prosaicità quotidiana proprio come il cabarettista Renato Cavazza, alter ego del poliedrico e instancabile Davide Colavini che ci presenta la sua opera prima “Il Fondo dello Spettacolo”, ovvero un “viaggio” all’interno della vita di un uomo in fondo normale, come tanti che però “rifiuta” la sua “normalità”. La ricerca dell’identità autentica in fondo sembra essere imprescindibile da quella di un’arte, anche perché è chiaro sin da subito che, come viene ripetuto nel corso del testo, “recitare” non è un’azione che si fa solo sul palco, ma nella vita di tutti i giorni e la si ritrova nelle relazioni interpersonali della famiglia e degli affetti come nel lavoro.

Cultura: recensione del libro “Il Fondo dello Spettacolo” di Davide Colavini

“Il Fondo dello Spettacolo” (lucamaciacchini.com)

“Il Fondo dello Spettacolo”. Sin dalle prime battute il testo è fulmineo e al vetriolo come lo stile medio dei testi dello “stand up comedian” (ossia del comico): “STOP NON CI SIAMO CHIARIAMOCI LE IDEE!”, nelle parole di un regista di spot pubblicitari vi è l’invito dell’artista frustrato a chiarirsi, in poche battute troviamo già la comicità sottile e non dichiarata: il povero artista squattrinato (Renato), personaggio secondario nello spot pubblicitario a confronto con il protagonista dello spot, il calciatore del momento, divo milionario scazzato che è strapagato in confronto all’artista che vuole sfondare ma deve fare i conti in tasca a se stesso con le umiliazioni conseguenti.

Renato ricorda i suoi sogni artistici di ragazzino: sogna di diventare una rockstar, mentre ascolta ciò che per lui è il massimo della trasgressione, ovvero Edoardo Bennato. Ma c’è anche una critica comica ai miti che accompagnano ogni adolescente. Alcuni “miti” dividono anziché unire, come Bob Dylan che “essendo di un’altra generazione” rispetto a quella di Renato, che è invece più “tipo da U2”, può causare anche la fine di uno dei tanti “amorazzi” giovanili. Renato è malato di protagonismo come i protagonisti dei talent show attuali, non sa che aspirazione ha concretamente, ma il suo ruolo è recitare in ogni senso e declinazione. E’ un sottile e sottinteso atto di accusa alla società che lo rifiuta proprio mentre lui è quello che si “dovrebbe essere”, ma lui vuole essere riconosciuto per questo. Del resto negli anni ’70 e un po’ anche negli anni ’80 salire sul palco e limitarsi ad essere sé stessi era un elemento trasgressivo a confronto dei divi “costruiti su misura” (e così si spiegava il successo, ad esempio, dei cantautori). Ma come ogni bravo artista che si rispetti, siccome di arte e spettacolo non si campa, bisogna nel frattempo passare attraverso mille mestieri: il rappresentante di commercio, il verniciatore, il grafico e, tra un’esperienza lavorativa e mille tentativi di “sfondare nel mondo dello spettacolo, un parecchie situazioni e “avventure” sentimentali.

E’ un mondo, quello di Renato Cavazza, fatto di Illusioni che nascono… (per continuare a leggere la recensione cliccare qui —> “lucamaciacchini.com“).


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