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Da libraio a libraio

Creato il 13 settembre 2011 da Marinobuzzi

Ho letto con interesse la lettera di Romano Montroni, apparsa oggi su Repubblica, che si inserisce, con i giusti titoli e le giuste argomentazioni, nel dibattito sugli sconti. Montroni solleva un problema molto sentito da noi librai. Il nostro ruolo all’interno delle librerie, o per meglio dire delle grandi librerie di catena, è ormai ridotto a un ruolo privo di significato. Si è cercato, in questi anni, da un lato di rendere indipendente il lettore utilizzando, per esempio, metodi che vanno dal posizionare i libri in ordine di autore all’aumentare la visibilità della segnaletica e, dall’altro, di ridurre le responsabilità del libraio. Oggi, spesso, il libraio non decide cosa e in quale quantità far arrivare in libreria. Molte novità, per non parlare dei rifornimenti, arrivano grazie ad accordi commerciali diretti fra la sede e la casa editrice. Il libraio, quindi, è tagliato completamente fuori da questo sistema.
Un sistema che ormai è talmente saturo che noi librai viviamo in un circolo vizioso, il famoso cane che si morde la coda. Arrivano centinaia di nuovi titoli ogni settimana, prodotti che, per forza di cose, molti di noi non conosco. L’immagine del libraio che sa ogni cosa del prodotto che vende è pura invenzione. Non solo non abbiamo più i rappresentanti che ci vengono a esporre i temi trattati nei diversi libri ma abbiamo anche pochissimo tempo da dedicare all’oggetto libro. Chi fra noi (come il sottoscritto) continua a informarsi sulle uscite, sugli scrittori, sugli eventi culturali ecc… lo fa a proprie spese al di fuori dell’orario di lavoro. Nelle 38 ore che trascorriamo in libreria il tempo che dedichiamo a conoscere i libri è davvero insignificante. Da un lato è normale che sia così, c’è un mercato librario impazzito che sforna titoli a ripetizione nella speranza di azzeccare il titolo giusto. Negli ultimi tempi poi vanno di moda azioni di marketing estreme che sfiorano il ridicolo o, in qualche caso, il patetico. Di settimana in settimana assistiamo alla formazione del best seller di turno che scompare, salvo rare eccezioni, qualche settimana dopo per far spazio al nuovo libro del momento.
La querelle che è stata sollevata sugli sconti è una querelle tutta italiana. Vero è che negli altri paesi europei gli sconti sono quasi inesistenti ma è pur sempre vero che in moltissimi paesi europei i libri costano decisamente meno rispetto al nostro mercato. Per non parlare dell’educazione alla lettura che viene portata avanti dalle istituzioni nei confronti dei ragazzi e delle ragazze sin in giovanissima età. Il nostro è un paese in cui la cultura viene vista come qualcosa di astratto e chi vi si dedica viene additato come qualcuno che non ha voglia di lavorare.
La situazione di grandi librerie, oggi, appare piuttosto paradossale. Il cliente ha bisogno del libraio. Come è possibile pensare che, in una società in cui i singoli e le singole, hanno sempre meno tempo da dedicare a tutto, qualcuno possa permettersi il lusso di cercarsi da solo un libro? È come se entrassi in un negozio di scarpe e dovessi cercarmi da solo il numero. In generale, purtroppo, tutto il settore del commercio è attraversato dall’idea che i dipendenti siano solo una spesa da ammortizzare.
I lettori in Italia, quelli veri, quelli che non comprano solo il libro del momento perché tanto lo fanno tutti, sono davvero pochi. Vogliamo coccolarli questi clienti? Vogliamo dar loro un servizio? Proporre librai e libraie formati/e e attenti/e.
Si spendono moltissimi soldi, ogni anno, per “svecchiare” le librerie, per renderle più appetibili. Ma, spesso, a causa della scarsa formazione dei dipendenti ( e, aggiungo, anche del loro esiguo numero), abbiamo belle scatole vuote in cui il cliente si trova a disagio o prova, e succede sempre più spesso, un profondo senso di fastidio.
Oggi entrare in libreria significa poter comprare di tutto, dal cibo alla tecnologia, i prodotti di cartoleria, che marginano di più rispetto ai libri, sono una presenza ingombrante in tutte le librerie d’Italia. Stiamo facendo passare il concetto che la cultura vale meno di un astuccio firmato.
Lo ammetto, sono favorevole alla fine degli sconti, le librerie stavano diventando un terreno di guerra fra i grandi gruppi editoriali a discapito, purtroppo, dei piccoli che gli sconti non se li possono permettere e che, sempre più spesso, non trovano più spazio sugli scaffali.
Montroni ha quindi ragione quando afferma che la più grande risorsa per le librerie sono proprio i librai e le libraie. Ma l’educazione del libraio non deve avvenire solo in scuole per pochi fortunati. Il nostro lavoro si impara e si vive sul campo.
Da libraio voglio avere il modo di conoscere i libri e gli autori, voglio poter sapere ciò che accade intorno a me, in quelle 38 ore lavorative dovrebbe essere prevista anche la mia crescita umana oltre che lavorativa. Dovrei poter partecipare agli eventi letterari, essere parte attiva del gruppo per cui lavoro, dovrei poter mantenere intatta la curiosità e l’amore per questo mestiere.
Invece quando entro nelle libreria e mi confronto con colleghe e colleghi vedo solo tante persone tristemente disilluse e anche un po’ arrabbiate. Persone che sognavano un modo diverso di fare cultura e che si sono trovate, loro malgrado, a non rivestire nessun ruolo significativo nella gestione del proprio lavoro.
Marino Buzzi
Un libraio

Di seguito la lettera di Romano Montroni.
Caro Direttore, mi inserisco nel dibattito sulla legge che limita al 15% lo sconto sui libri per dire che a mio avviso il prezzo non è uno dei fattori che determinano lo scarso interesse degli italiani per la lettura. Il libro è ancora, senza dubbio, lo svago più economico.
Detto questo, se confrontiamo il provvedimento entrato in vigore in Italia con quelli che da tempo regolamentano la vendita dei libri in altri stati europei, il nostro risulta di gran lunga il più “morbido”: nei paesi economicamente forti e dove si legge molto, da anni la legge è ben più rigorosa. In Francia e Spagna lo sconto massimo consentito è il 5%. In Germania lo sconto non soltanto non è previsto, è vietato. È la dimostrazione che non è da qui che passano il rinnovamento e lo sviluppo del mercato del libro. Dar valore al mestiere del libraio è invece a mio parere la strada da percorrere, ed ecco perché gli imprenditori (grandi, medi e piccoli) dovrebbero investire sulle risorse umane e sulla loro formazione.
In Italia, finora si è andati nella direzione opposta. Nelle nostre librerie, soprattutto di catena, si registra una standardizzazione preoccupante. Il mestiere di libraio non è tenuto in considerazione: i giovani non ricevono una formazione adeguata e la professionalità, quando c´è, è mortificata. Il personale è in tutti i sensi insufficiente, e pertanto incapace di relazionarsi con il cliente. Una delle ragioni, se non la principale, è che il margine commerciale che le librerie ottengono dagli editori – l´indicatore primario per l´equilibrio economico e finanziario dell´azienda – era in gran parte usato, anziché per la formazione, per concedere sconti. Di recente ho sentito il manager di una catena vantarsi di aver dimezzato i librai in una prestigiosa libreria proprio a questo scopo; inutile dire che, alla luce dei consuntivi, non si è registrato alcuno sviluppo nelle vendite: non basta abbassare i prezzi per aumentare numero dei lettori e consumo di libri. L´Italia è da anni al terzultimo posto in Europa come indice di lettura: è dunque ragionevole pensare che il problema non sia il prezzo.
Girando per l´Europa ho incontrato quasi sempre librai eccellenti. È proprio questo, credo, il punto. Perché i librai (quelli bravi) contribuiscono attivamente a suscitare interesse intorno ai libri: curando l´assortimento, manipolando lo scaffale, prestando attenzione ai particolari, offrendo un servizio di qualità. Non credo sia un caso se la lamentela che sento più spesso è che negli ultimi tempi la qualità del personale è scaduta: chi cerca un libro o domanda informazioni riceve risposte insoddisfacenti e vaghe. A volte, persino sgarbate. È inammissibile. Chiedete a un lettore di dirvi quali requisiti dovrebbe possedere la libreria ideale e nove volte su dieci vi risponderà per prima cosa: un libraio competente.
Ecco perché chi ama i libri dovrebbe lamentarsi, invece che della regolamentazione degli sconti, dello scarso investimento sulla formazione dei librai. Basti vedere cosa è successo in Inghilterra, dove abolire il prezzo di copertina liberalizzando quello di vendita ha provocato la chiusura di moltissime librerie piccole e medie che non potevano offrire gli stessi prezzi “stracciati” delle grandi. Il mio auspicio è dunque che il margine adesso sia usato per formare i librai, per esempio attraverso la Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri (per chi è già del mestiere) o la Scuola per Librai di Orvieto (per i “debuttanti”).
Per conquistare nuovi lettori le librerie non devono essere – per dirla con Marc Augé – non luoghi (anonimi, di passaggio, frequentati da persone che non entrano mai o quasi mai in relazione le une con le altre), bensì centri di circolazione e scambio di idee, ambienti in cui intrattenersi e soddisfare le proprie curiosità ricevendo al contempo nuovi stimoli. Questo genere di librerie richiede veri librai. Invito dunque chi ama i libri a considerare la nuova legge sullo sconto non una penalizzazione ma un´opportunità per il mercato italiano.


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