Magazine Attualità

Da SIDHE – AISLING

Creato il 29 luglio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Sidhe Coperta BLUNon avevo costruito una fortuna per darla in pasto a consiglieri sprovveduti, a una dirigenza oziosa e incapace, ad avvoltoi e a speculatori avidi, ma l’ho fatto: l’errore è stato mio. Anche di lasciare per strada i corpi dei nemici, in gran numero: i loro spiriti penitenti hanno infestato le mie regali dimore, di un sudiciume che mi era impossibile ripulire, a dispetto degli splendidi arredi e delle scale imponenti che le impreziosivano.

La decisione di venire sull’isola è stata conseguenza delle cose. Un primo passo necessario in attesa del momento in cui avrei scontato i miei e gli altrui peccati. Mai avrei pensato però che su questo sputo di terra, salvato dall’oceano per prolungare il mio castigo, i dolori si sarebbero moltiplicati piuttosto che diminuire, si sarebbero accresciuti piuttosto che scemare.

Il capitano Bob disse che avrei dovuto saltare sul molo. Che nell’occasione non avrebbe avvicinato il battello alla riva col rischio di vederlo sfracellare. Urlò qualcosa ad un mozzo invisibile e mi ordinò di saltare. E io saltai. Il comandante e il suo traghetto scomparvero alla mia vista quasi all’istante, inghiottiti da un banco di nebbia e da cirri grigiastri che si erano abbassati fino a sfiorare il mare in tempesta. Sentivo che l’isola era stata disertata da un’eternità, ma il cottage abbandonato si parò sulla mia strada forse per fortuna forse per destino, mentre con la sacca sulle spalle vagabondavo alla ricerca d’un riparo, una grotta abbandonata, uno spuntone di roccia ripiegato su se stesso e ancora desideroso di darmi rifugio.

La prima notte dormii a lungo, con una serenità che non era stata più mia da tempo. Il mattino dopo splendeva il sole. Un sole che considerai atipico a simili latitudini, nell’autunno inoltrato. Un sole capace di regalarmi la strana forza che sentivo nascere e crescere dentro e mi induceva a coltivare speranza. Esplorai l’isola palmo a palmo e trascorsi diverse ore sulla scogliera interna all’antico forte megalitico. In verità quella sarebbe stata solo la prima visita di infinite altre ad un luogo unico dove l’essere mio si illudeva di capire le ragioni ultime dell’esistere. Così, man mano che le giornate solitarie scorrevano, creando memoria, aumentava in me la determinazione a fare dell’isola la mia nuova casa. Per sentirla tale mi ingegnai a restaurare il vecchio cottage. Nel ripostiglio trovai gli arnesi e quanto mi necessitava. E non mi era mai mancata la voglia di lavorare.

Alle grotte del diavolo – così le battezzai – ci arrivai come non saprei. Era un pomeriggio di primavera inoltrata e io vagabondavo a nord. Forse sono caduto nel cunicolo sotterraneo un poco come Alice mentre inseguiva il coniglio, o forse come ogni scriteriato che cammina inseguendo il proprio sogno. Più che di un cunicolo si trattava di un vero e proprio andito nascosto nelle viscere della roccia, sul quale gli ingressi a numerose caverne si affacciavano. Alto, riuscivo a percorrerlo in piedi,rischiarato da una luce solare diminuita ma costante. E tuttavia sorpreso: nulla mi aveva preparato allo spettacolo che ammirai da lì ad un istante e che più di ogni momento sull’isola avrebbe determinato il mio destino. Svoltato un angolo mi ritrovai su un davanzale roccioso che guardava a una gigantesca sala naturale scavata con cura e pazienza dall’acqua e dalle intemperie in milioni di anni. L’ambiente umido era illuminato da un gioco quasi artificiale di luci e di sole che gli regalavano un’atmosfera rarefatta. Al centro della sala una polla d’acqua cristallina a tratti fumava, come se nel sottosuolo l’effluvio mai pacato di un primitivo vulcano ancora vivo l’abbracciasse a fuoco lento. Tutt’attorno una vegetazione singolare, mai vista prima, di un verde brillante, abbellita di fiori grandi, delicati e vivaci, si abbarbicava alle rocce e si perdeva in un prato adiacente. Un prato che pareva pensato per il trastullo degli angeli, decorato con motivi pietrosi che in alcuni luoghi fungevano da panchine e in altri da favoloso mobilio naturale. Un prato dove si posavano migliaia di insetti dalle ali giganti e policrome. Che a tratti si alzavano in volo fin sul soffitto calcareo, disegnando figure immaginarie, percorsi bizzarri, quadri mutanti. Il tutto sotto una cappa di fascino. Il laghetto si apriva sul lato sinistro, trasformandosi in un rivolo gentile che scorreva per una ventina di metri e spariva.Prima di abbandonarsi, immaginai, tra i flutti dell’oceano che poco oltre la parete rocciosa continuava a muggire, a bussare con forza come smanioso di entrare e di rapire il tesoro salvato alla sua furia da mano pietosa.

Aisling, il mio sogno, la mia visione, la vidi quello stesso giorno. Non era questo il nome, il vero nome non l’ho mai saputo. Fu un’apparizione, affiorò dall’acqua del lago, i lunghi capelli d’ebano raccolti sulle spalle e intorno alla vita, gli occhi che irradiavano riflessi variegati e cangianti. Indugiai ad ammirarla. L’osservai asciugarsi come una leonessa intenta alla toilette quotidiana e poi stendersi sul prato alla luce sminuita della caverna. Non visto, così credevo, potei scrutarne il candore diafano della pelle, ammirarne le forme aggraziate del corpo snello, percepirne la forza istintiva di donna fiera.

Mi addormentai. Al risveglio lei non c’era più. E se il primo desiderio fu di rivederla, il primo pensiero fu di uscire dall’intricato dedalo di cunicoli sotterranei per capire come tornarci. Il compito che mi ero figurato immane si rivelò però facile, così come, nei giorni che seguirono, mi fu facile ritrovare la strada delle grotte.Tutto avvenne come se il percorso fosse iscritto in me, allo stesso modo come il calore segna la rotta al voltatile pronto a seguire le stelle pur di svernare.

Mi innamorai. Di un amore diverso. Di un amore che intuivo legato all’anima. Di un amore che sapevo legato alla storia invisibile delle mie molte vite precedenti di cui avevo temporaneamente perso memoria. Almeno credo, anche se, si sa, la chimica dell’anima è nel corpo. O l’anima è la forma del corpo, come vuole un’ottima filosofia, la vita spirituale fatta carne secondo un’ottima poesia. È la vita: la vita è nel corpo, l’allegria e il dolore, la promessa e la delusione, nello sguardo, il tatto, la bocca, il passo, nei colori e fin nei sapori, direi, tutti i sensi si coinvolgono, la meccanica della seduzione e del corteggiamento può essere irresistibile anche contro la nostra volontà. Non fu cosi con Aisling. Non che io sia portato verso la forma di amore che si dice platonico, che dell’amore coltiva cioè l’idea, una proiezione di se stessi. Ben al contrario, per tutto quanto posso sapere di me sono uno che ama il contatto, anche fisico. Anche solo un contatto lieve, o solo il calore della pelle, l’odore. Né si può dire che Aisling mancasse di attrattive, anzi proprio per questo, la bellezza può risultare inattingibile. Tanto più se le forme, le proporzioni, i colori, gli odori si accompagnano alla grazia, che è quasi garanzia di verità, di saggezza. E dunque uno che diffida della bellezza esagerata se ne fa preda: non è logico ma così è, è stato.  

Aisling divenne sia il mio cottage finalmente restaurato, sia la mia dea, una ragione di vita, la mia occupazione quotidiana. Dipendevo dalle visite alle grotte e arrivai fino a scavarmi un giaciglio, un punto d’osservazione privilegiato dietro lo spuntone roccioso che mi aveva permesso di osservare la mia divinità senza farmi vedere. Un rifugio, insomma. Un luogo da cui potevo ammirarla evitando di spaventarla. Non mi ero mai interrogato sulla vera natura di quella creatura, ma per qualche motivo intuivo che sarebbe stato meglio non avvicinarla, farlo avrebbe scalfito la purezza del sogno, affrettato senza necessità il destino.

Non ricordo come inciampai sul ciottolo che rotolò dalla sporgenza rocciosa e andò a inabissarsi nel laghetto stregato, procurando nel tonfo un rumore perfetto, non saprei come altro dirlo, che quasi congelò nell’aria silente; o forse io non inciampiai e il ciottolo prese a capitombolare di suo. Ma bastò quell’attimo distratto perché gli occhi ardenti mi scovassero tra la roccia e perforassero i miei con la potenza di un raggio di sole. La vidi distintamente, benché celata da rocce che piante rade abbellivano, nel verde luminoso di un muschio che pareva seta. La vidi guardarsi attorno con cautela ferina, ma non vi era paura nello sguardo, piuttosto curiosità diffidente. Allora mi alzai e mi sporsi dal parapetto per mostrarmi. Provai a sorridere nella sua direzione. A gesti spiegai che sarei venuto giù e così mi ingegnai a fare, aggrappandomi alla roccia nuda. Arrivato a terra, lo intuivo, lei non ci sarebbe stata più, ma da qualche parte bisognava cominciare.

Ottenere anche solamente la fiducia di Aisling richiese un tempo lunghissimo. E sarebbe passato quasi un anno prima che si avventurasse a bagnarsi nell’acqua del lago in mia presenza con naturalezza. Poi i nostri incontri quotidiani dovevano essere diventati un’abitudine anche per lei, perché un giorno in cui arrivai in ritardo notai un’ombra di fastidio nei suoi occhi, mutevoli ma solitamente chiari e brillanti. Trascorrevamo le ore per lo più in silenzio. Non ricordo un solo discorso compiuto, ma non ricordo neppure la necessità di farlo. Di chiedere o di spiegare, di ricamare inutilmente su dei momenti perfetti. E non chiedevo nulla per me. Mi domandavo solamente cosa avrei potuto fare per lei; cosa avrei potuto darle di mio che avrebbe saputo rivaleggiare con il tutto che già possedeva. Non sapevo neanche dove vivesse. Avevo scandagliato con perizia l’isola intera e avevo certezza che non vi fossero costruzioni oltre il mio cottage, il molo mai troppo usato dal capitano Bob e il forte megalitico. Pensavo però che una sì dolce creatura avrebbe dovuto vivere in una reggia degna di lei, in un luogo incantevole tanto quanto lo era lei.

Essere stato un capitano d’industria ha dei vantaggi. Lo spirito decisionista può aiutare. E quando si vuole si riesce a realizzare anche i sogni. Il mio, da un giorno all’altro, diventò quello di costruire un palazzo meraviglioso da regalare alla donna che speravo un giorno sarebbe diventata la mia sposa. Che speravo un giorno si sarebbe innamorata di me. Perché Aisling non mi amava. Non come avrei voluto io. Mi amava come compagno delle solitudini, dei tuffi rinfrescanti nel laghetto, delle ore pigre trascorse sdraiata ad abbronzarsi sotto i raggi di un sole perlopiù immaginato.

Decisi che il palazzo si sarebbe chiamato Sidhe e dopo avere preso la decisione attesi con impazienza l’arrivo del traghetto del capitano Bob: avevo carpentieri da assumere, materiali da ordinare, disposizioni e missive urgenti da spacciare in terra ferma.

Non saprei dire quanto tempo occorse per la costruzione. Forse anni forse meno. Non ho tenuto a mente neppure un volto dei tanti esseri che mi aiutarono nell’immane compito e il progetto stesso deve essere andato perduto nei giorni del mio trasloco dal cottage. Sidhe non aveva uno stile architettonico definito. Era una miscela di tocchi diversi che confluivano a procurare un senso di cosa viva in chi lo guardava. In me. Vero è che dal momento in cui Aisling la visitò anche la temperatura all’interno della grandiosa dimora si adattò alla sua natura e non sarebbe cambiata più.

A mio modo tentai di farle capire che la reggia era casa sua. Che era un mio regalo. Un luogo riparato dove avremmo vissuto giorni felici se solo lo avesse voluto. Lei la esplorò con consolante curiosità, specie il giardino.Si muoveva per i sentieri coperti di ciottoli biancastri con indosso un vestito leggero, sdrucito all’orlo, che le aderiva al corpo segnandone le forme. Si muoveva col passo della pantera guardinga, desiderosa di fare della diversa cavità la nuova tana ma attenta ai segnali che le lanciava l’istinto acuito.

Bene o male iniziò anche la nostra coabitazione. Per modo di dire. Aisling spariva per ore, a volte per intere giornate. Senza mai una spiegazione. Spiegazione che, compresi più tardi, non serviva. Lei sarebbe tornata. Sarebbe tornata sempre. Capire questo mi regalò maggiore serenità di spirito, e forse la felicità. I giorni cambiarono per il meglio permeati da una sensazione di pace, solo a momenti intorbidita dalla passione inappagata, che sarebbe rimasta sempre tale. Questo lo sapevo. Ma tra il vivere pienamente Aisling e il perderla vi era un oceano infinito di possibilità che io non ero preparato a navigare. Che, dopo una vita di fatica e di realizzazione, non volevo considerare.

Plinio arrivò sull’isola il primo giorno di uno dei mesi invernali che in quel periodo mi pareva si rincorressero l’un l’altro con esagerata velocità. Saltò sul molo con un impegno eccessivo, poiché il mare era calmo, e il capitano aveva mostrato ogni intenzione di voler attraccare. Salutai Bob con gesto militare, come usavo fare ad ogni appuntamento fissato, e mi avvicinai al nuovo venuto. Che, nello scambiarci i convenevoli, notai bello. Di bellezza epidermica anzi straordinaria, il volto maschio, abbronzato, gli occhi di un azzurro brillante sotto la folta capigliatura nera. Il corpo muscoloso, flessuoso, vibrava dentro la camicia da contadino e i pantalonacci di fustagno.

Disse di essere pittore. “Artisti!”, tentai di rifarmi a pensare sprezzante. Notai pure che il bagaglio si limitava a poche tele bianche nella mano destra, e a un telo ripiegato pieno di pennelli e colori che portava a spalla. Parlò poco, con voce roca. Pareva smarrito, mi chiese di un luogo dove alloggiare. Spiegai che non c’erano alberghi sull’isola, ma la sua sprovvedutezza non mi sorprese. Io stesso, pur di arrivare a destinazione, non m’ero occupato del luogo che avrei abitato; la mia casa s’era palesata sulla strada, come se m’attendesse. Gli dissi che se lo desiderava gli avrei affittato il cottage, e che per una notte avrebbe potuto stare da noi, a Sidhe. A lungo mi sono chiesto se quel mio raro gesto di generosità non sia stato un grande errore, la causa prima della mia rovina. Ah, l’ironia nella vita! O se l’amore a distanza, non dichiarato, umile, non mi si fosse rivoltato contro, una sfida e un’offesa invece che un omaggio devoto. Non mi è neppure chiaro se mi fosse stata data una possibilità di scelta e se io avessi dovuto scegliere altrimenti, ma intuisco che in fondo tutto era già stato scritto. Molto tempo prima.

Aisling incontrò Plinio la mattina successiva, nel rigoglioso giardino di Sidhe, e dopo nulla fu più come prima! Né per me, né per lei, né per Plinio, né per le infinite entità invisibili che abitavano l’isola fin dal suo primo divenire zattera alla deriva, solitario pellegrino del mare. Che qualcosa fosse effettivamente cambiato in lei lo intuii la mattina in cui la scoprii intenta a rimirarsi come Narciso dentro lo specchio d’acqua di una fontanella del giardino. Con gesti impacciati si lisciava i lunghi capelli crespi e li pettinava tra le dita. Quando i suoi occhi incontrarono i miei, una luce e un turbamento che non le avevo mai conosciuto prima si frapponevano. Il disappunto nel riconoscermi fu la prima ferita delle tante che senza volerlo mi avrebbe inferto, come se mirasse direttamente al cuore.

Il nostro ospite si trasferì al cottage il giorno dopo l’arrivo. L’allontanai con una gioia forzata, incapace di liberarmi del presentimento che mi turbava. Il giovane però era la quintessenza della pacatezza. Aveva i modi distaccati di chi vive in un mondo speciale, ma cortesi. Nei giorni successivi scoprii che era un pensatore brillante, che sapeva guardare oltre la superficie. Mio malgrado mi stavo “innamorando” di lui, nel senso che pur volendo non trovavo una ragione per odiarlo. Al contrario, la sua compagnia riempiva il vuoto che il rapporto a distanza tra me e Aisling veniva a creare. Una fisicità che poteva anche essere stata la molla della relazione speciale che con lui aveva subito instaurato lei, senza possibilità di dubbio – uno può sbagliarsi ma non illudersi. E se così era, non avevo nemmeno motivo di fargliene una colpa.

Se il tempo era buono abbastanza, mi mettevo in marcia di prima mattina fino al forte sapendo di trovare Plinio intento a dipingere le sue rocce vive, come le chiamava lui. Dopo l’arrivo sull’isola, il suo stile già formato maturò in maniera visibile. Fino al punto che ogni sgorbio che riportava su tela pareva assumere una vita sua, propria, un’autonomia esistenziale che si faceva ammirare. Poi c’erano i momenti interminabili in cui perdevo le tracce di entrambi, di lui e di Aisling, la cui presenza a Sidhe diventava sempre più rara. Era allora che la ritrovata vena malinconica si rafforzava, portando i miei pensieri nelle vicinanze di un inevitabile precipizio.

In quei mesi anche le mie visite alle grotte si erano diradate e la ragione per cui decisi di tornarvi proprio quel giorno non l’ho mai saputa: forse perché il tempo era quasi venuto e anche sull’isola il tempo è contato. Mi lasciai scivolare nella cavità sotterranea sapendo ciò che avrei trovato ma mai preparato abbastanza. Singolare come dentro quelle spelonche l’ambiente protetto dagli umori del vento e dalle bizze della pioggia, dalla furia mai cheta del dio del mare, mantenga sempre il clima salubre e la temperatura costante, proprio come accade a Sidhe da quando vi è entrata lei! Strano anche il verde brillante della vegetazione sparsa e diversa. Ci sono erbe sul prato delle grotte che non ho visto da nessuna altra parte, neanche negli anfratti degli atolli corallini delle isole del Sud. E ci sono piante dal fusto altissimo, che s’appropriano d’ogni sparuto raggio di luce.

Aisling e Plinio facevano l’amore lì, proprio nella radura che sta tra la riva del laghetto e gli spuntoni di roccia dove lei si nascose il primo giorno che mi vide. Dalla mia posizione scorgevo il corpo dolce del mio sogno e quello abbronzato e muscoloso di lui che le si muoveva sopra, con grazia solenne, con passione. Della quale riflessi profondi coglievo nello sguardo distante ma sempre troppo brillante di Aisling, nello splendore dei capelli incendiati da riflessi ramati. Rimasi per diversi minuti immobile ad osservarli, mio malgrado rapito da una scena idillica che trasformava il mio incubo in realtà e mi toglieva ogni speranza.

 

Fu nell’uscire dalla grotta, ancora profondamente scosso, che vidi la megera vestita di nero per la prima volta. Nei giorni successivi l’avrei vista in molte altre occasioni e la vedo tuttora. Ora che per consolare il mio spirito sono tornato nel mio cottage e ho chiesto a Plinio di trasferirsi a Sidhe. È un cambio appropriato, la vista di loro due insieme è più di quanto ogni cuore innamorato possa sopportare

Non odio Plinio. Non l’ho mai odiato e non credo mi riuscirà mai di farlo. Non odio neppure Aisling. Forse la amo un poco di meno per la sola impossibilità di farla mia. Osservandoli, mano nella mano, capisco che quella loro storia era stata scritta e io non avevo mai avuto la possibilità di esserne protagonista. Solo lo strumento che le aveva permesso di esistere.

Non ne comprendo il motivo ma mi sembra di avvertire che anche l’isola adesso sia cambiata. Anzi, ne sono certo: l’isola è cambiata così come è cambiata Aisling. Comprendo però che questo è problema che va oltre le mie possibilità di investigare.

====

La presenza di questa vecchia comincia a irritarmi. Metabolizzata la paura che provoca la sua vista, avverto una nuova forza e una nuova determinazione. Sono pronto ad un viaggio diverso che immagino sarà di non ritorno. Ma sono anche determinato a decidere da me. Da qualche giorno passo più tempo sulla scogliera del forte: mi affascina la schiuma delle onde e il suo biancore che non si perde neppure quando va a sbattere senza grazia contro la parete indolente. Se anche restassi qui per un tempo lunghissimo, prima o poi sarei costretto ad andare, oppure a perire tra i flutti dell’oceano che sbricioleranno anche l’ultima pietra della casa del diavolo. Perdermi tra le onde è una possibilità come un’altra. Anche romantica. Come certi momenti nell’arte di Plinio quando pare che tutto abbia un senso soltanto se si riempie del suo tocco deciso e della sua bellezza ferina. Quella che lui condivide con questa terra arida. E con lei. Con lei che, seppure vuota dentro, sa vivere il mondo che la circonda come se fosse inutile e importante. Con lei che non ho mai capito veramente e che non ho potuto fare altro che adorare in silenzio. Con lei che non mi era destinata forse per i troppi peccati che non ho ancora trovato il tempo di espiare. Con lei che ha trasformato il mio limbo in paradiso e il mio paradiso in inferno e che quando deciderò di fuggirlo non ci sarà a tenermi la mano. Con lei che adesso vive e si nutre solo di lui e che a ben guardare è stata il mio errore più grande.

(In Aisling, 1 ottobre 1960).

sidhe-blu_front

Product Details

  • File Size: 681 KB
  • Print Length: 229 pages
  • Publisher: IPAZIA BOOKS; 1 edition (August 19, 2014)
  • Publication Date: August 19, 2014
  • Sold by: Amazon Digital Services, Inc.
  • Language: Italian
  • ASIN: B00MVE59FO
  • Word Wise: Not Enabled
  • Lending: Not Enabled
  • Enhanced Typesetting: Not Enabled

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog