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Da un saluto muto, nasce sempre qualcosa

Da Mammapiky @mammapiky
DA UN SALUTO MUTO, NASCE SEMPRE QUALCOSA
Durante i nove mesi di questa mia seconda gravidanza l'ho incontrata molte volte. Il paese è piccolo e alla fine tutti frequentano gli stessi posti: il supermercato, il fruttivendolo, l'edicola e per fino la farmacia sono luoghi d'incontro. Non ti conosci, ma l'abitudine ti porta sempre a sorridere a dei visi familiari, poi, qualche parola sul tempo o sulle beghe quotidiane, fa il resto, e nascono dei rapporti che, se è troppo chiamare amicizia, di sicuro superano la semplice conoscenza. Io, piuttosto timida, ci ho messo un po’ ad abituarmi a questo, ma alla fine è stato piacevole lasciarmi andare e abbandonare la diffidenza che spesso uso come barriera contro l'ignoto e così, da un saluto muto, spesso, nasce qualcosa.
Con lei no, questo non è successo e non è stato possibile. La sua pancia cresceva di pari passo alla mia, e come me, aveva spesso un bimbo per mano: il suo primo figlio, che a occhio poteva essere coetaneo di Cestino.Anche la nostra età per me era simile e a guardarla era un po’ come osservarmi allo specchio. L'ho incrociata tante volte e altrettante le ho sorriso, per me era scontato che ricambiasse (prima o poi) ma lei non l'ha mai fatto.
Mi ricordo quel giorno che la trovai nel mezzo della corsia dei dolci, impegnata a braccare quel piccolo biondino, che correva e urlava in preda al capriccio del biscotto. Buttai lì qualche parola di solidarietà ma per risposta ottenni solo uno sguardo gelido, mi voltò le spalle e se ne andò, ed anche di quella volta che in fila per qualche fetta di prosciutto, guardandomi la pancia, il salumiere mi chiese: "Quanto manca?" "Un mese" risposi. Poi osservando lei di poco spostata: "E a te?", "Un mese" rispose. Non disse qualcosa tipo "Pure" o qualcos’altro di simile, che rivelasse una sorta di legame o comunque un destino comune. Rispose "Un mese", come se la sua risposta fosse completamente diversa dalla mia, e i due tempi, irrimediabilmente distanti. Non voleva solidarietà e forse quella complicità la infastidiva. Ci rimasi male e, dentro di me, forse le diedi anche della stron@a, di sicuro da quel giorno iniziò a starmi antipatica e non le sorrisi più.
Giovedì scorso.
Secondo giorno di materna, mentre sto andando a recuperare Cestino, la scorgo da lontano. Anche lei, come me, ha in braccio un fagotto nato da poco, le passo davanti ma tiro dritto. Pochi minuti e sono fuori. La trovo così, nel parcheggio vicino, appoggiata a quella che credo essere la sua auto, piangere. Dentro i due bambini urlano a squarciagola, e lei batte un pugno sul cofano. La mia vocina amica mi sta dicendo "Piky non ti fermare" ma io, impercettibilmente, rallento. Non sono sicura di quello che le è successo, ma sento di saperlo. E' un periodo difficile, due figli da tirar su, esigenze completamente diverse e lei da sola a gestirle. Un marito che probabilmente lavora tutto il giorno e più presente di com’è, non può essere. La stanchezza mischiata al sonno, le fanno scacco matto e lei spesso è in balia di nuvole nere. Non sopporta più le urla e la pazienza per i capricci è finita. In quelle lacrime leggo la sua storia e il mio istinto la prenderebbe per mano. "Non ti preoccupare, non sei sola, è la sorte, la procedura cui nessuna si sottrae, ma non è nulla che non si possa sopportare anzi ancor meglio sarebbe viverlo per farlo passare più in fretta e lasciare spazio al bello". Questo in realtà l'ho solo pensato ma il suo animo deve aver sentito lo stesso, perché ha alzato la testa, con un fazzoletto si è asciugata gli occhi, è salita in macchina e con la mano mi ha salutato. Oggi pomeriggio c'è la riunione dell'asilo, magari le siedo a fianco.

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