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Dal Libano con amore. Sobh, al-Shaykh e Haddad: una tripletta al femminile nelle librerie

Creato il 06 marzo 2013 da Chiarac @claire_com_

mimosaSarà l’anticipo di primavera, sarà che venerdì è la Festa della donna (che la festeggiate o meno), sarà quel che sarà, ma ieri, il gruppo Mondadori ha voluto stupirci, uscendo nelle librerie italiane con ben tre libri di scrittrici libanesi. E che autrici.

Prima di presentarvi libri e autrici, una premessa è d’obbligo: i libri sono usciti solo ieri e quindi per ovvi motivi non li ho ancora letti. Se più avanti nel post troverete delle “leggere” critiche, queste non sono rivolte ai libri, alle autrici o ai traduttori, ma al solito marketing editoriale all’italiana. Che, come dicevo mesi fa, ci ha tutti un po’ stufato.

Un ringraziamento poi è doveroso: a Ludovica N., che nei giorni scorsi mi ha scritto per informarmi dell’arrivo simultaneo in libreria dei tre libri. Grazie davvero.

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Cominciamo con I miei sogni nei tuoi, di Alawiya Sobh, tradotto da Carmine Cartolano; 348 pp., 18 euro. Titolo originale: Dunya.

Classe 1955, laureata in letteratura araba e inglese all’Università di Beirut, Sobh si dedica alla scrittura e al giornalismo fin dagli anni ’80. All’inizio degli anni ’90 fonda la rivista culturale femminile più venduta nel mondo arabo, Snob al-Hasnaa, che ancora dirige. Nel 2009-2010 è stata uno dei giudici del progetto letterario Beirut39 che ha selezionato 39 scrittori arabi al di sotto dei 39 anni. Nelle sue apparizioni pubblichem alle conferenze o nei programmi televisivi, si occupa di questione femminile, modernità e guerra, in Libano e nel mondo arabo. È autrice di Il suo nome è passione (Mondadori, 2011).

La trama del libro

È notte fonda a Beirut, Dunia è seduta sul divano dell’appartamento in cui vive da anni e che al mattino dovrà lasciare per trasferirsi in una nuova casa, verso un futuro incerto. Ha in mano dei fogli, l’ultimo capitolo di un libro che non è sicura di voler finire, perché c’è qualcosa che la tormenta in quelle pagine, qualcosa che la tocca da vicino e che non è sicura di voler scoprire.
A turbarla sono i personaggi del libro, perché in essi Dunia ritrova le sue più care amiche, le vicine, le confidenti, donne che con i loro segreti riempiono le pagine di un romanzo, opera di una scrittrice misteriosa, che abita nello stesso palazzo ma che nessuno ha mai visto. Continua sul sito di Mondadori.

Dove troverete, tra le altre, anche questa simpatica frase: E con una dolcezza visionaria dà voce a una femminilità che sorprende e interroga la nostra sensibilità di occidentali aperti ed emancipati.

Sulla copertina invece si legge: L’oppressione della donna nel mondo islamico e il sogno di libertà che ne ha fatto una protagonista della primavera araba.

Dunque noi “occidentali” saremmo aperti, sensibili ed emancipati. Ha-ha. Davvero non mi capacito di come in una sola frase si possano dire tutte queste ovvietà e generalizzazioni! Ancora una volta ho l’impressione che la grande industria nostrana del libro non capisca i lettori, né i libri che pubblica. E non so quale delle due sia più grave. Ancora una volta ho l’impressione che in questo Paese la cultura del libro, o forse la cultura in generale, sia preda di una miopia (o di un’ipocrisia?) che tratta il lettore come un bambino da imboccare, che lo considera un semi-analfabeta che ha bisogno di sentirsi rassicurato nei comodi confini del proprio mondo di occidentale, aperto al dialogo, emancipato e sensibile, rispetto ad un mondo arabo bruto, rozzo e crudele che maltratta le donne oppresse. Poi certo, se vogliamo riferirci a noi europei/occidentali come rappresentanti di una grande comunità civile, moderna e di diritto, bè facciamolo pure. Mi sa molto di ipocrisia e superiorità morale, ma ognuno può pensarla come vuole.

E infine: ancora una volta, si cavalca l’onda della primavera araba per presentare un romanzo scritto da uno scrittore arabo ben prima (in arabo è uscito nel 2000!) che scoppiassero le rivolte.

Andiamo avanti.

fresco sulle labbra
Torna in Italia un’autrice libanese che amo molto: Hanan al-Shaykh, con Fresco sulle labbra, fuoco nel cuore, edito da Piemme; traduzione di Ashraf Hassan e Serena Tolino; 294 pp.; 17,50 euro. Titolo originale: Innaha London ya ‘azizi (Questa è Londra, mio caro).

Hanan al-Shaykh è nata a Beirut nel 1945 e ha vissuto al Cairo e nel Golfo. Giornalista e scrittrice attenta alla questione femminile nei paesi arabi e al tema della guerra civile (esiste un paper molto interessante scritto al riguardo da Jolanda Guardi, dal titolo “La morte è l’orgasmo della guerra: Hikayat Zahra di Hanan al-Shaykh”, che individua uno strettissimo legame tra questo libro, il corpo, la sessualità e la guerra civile libanese), oggi vive a Londra con la sua famiglia.

Se già non vi siete scomposti alla traduzione del titolo, che fa il paro con i precedenti (quanto insuperati) Mio signore, mio carnefice e La sposa ribelle, Ludovica mi segnala che il sottotitolo recita: “Solo l’amore può gettare un ponte fra Oriente e Occidente, solo l’amore fa scattare la scintilla della comprensione”.

Se proprio ancora non vi siete convinti, potete dare un’occhiata alla copertina. Ah, la sensualità araba, i profumi, le donne, gli amori, il proibito e l’illecito, l’orientalismo…

La trama del libro, invece, ci dipinge tutto un altro scenario:

Un romanzo che parla di integrazione e identità, esilio e riscatto. Un ritratto vivace e originale della nostra società multietnica, attraverso le storie di chi è costretto ad attraversare oceani per sentirsi libero. Ma anche la storia di chi, con altrettanto coraggio, deve coprire la stessa distanza dentro di sé per capirsi e accettarsi. Continua sul sito di Piemme.

Concludo la rassegna segnalandovi l’uscita del nuovo saggio di Joumana Haddad: Superman è arabo. Su Dio, il matrimonio, il machismo e altre invenzioni disastrose (traduzione di D. Silvestri; 242 pp.; 10,50 euro), che vi avevo già anticipato poco tempo fa. Almeno qui, il titolo e la copertina sono rimasti gli stessi, hamdulillah. Tra qualche giorno vi darò il calendario delle presentazioni in giro per l’Italia.

 ***

Tuttavia continuo a rimanere perplessa sulla simultaneità delle tre uscite. Non riesco a capire se si sia trattato di un puro caso (possibile?) o di una strategia mirata. Ma mirata a cosa? Ad attirare l’attenzione dei clienti-lettori sulla questione femminile nel mondo arabo? A catturare l’occhio degli avventori distratti su dei libri che, forse, se fossero usciti in periodi diversi dell’anno e slegati, non si sarebbe posato?

Non fraintendetemi, io sono contenta, anzi di più, che si pubblichi la letteratura araba. Non sono un’elitarista quando si tratta di diffondere libri e cultura. Però, e non sono la sola a pensarlo, ritengo che sia necessario usare un po’ di criterio e di attenzione in più quando si maneggiano scrittori arabi. Perchè l’attenzione, da una decina d’anni a questa parte, è massima su questa parte del mondo, e lo sappiamo bene tutti. Gli stereotipi e i pregiudizi sui paesi arabi si sprecano, e vengono giocati sempre sul filo dell’ignoranza (intesa come scarsa conoscenza), quando non del razzismo.

Per questo credo sia molto importante, in particolar modo per chi si occupa di cultura e di informazione, “educare alla complessità”: ovvero, imparare a riconoscere e a cogliere le differenze, i chiaro-scuri, i vari punti di vista, la molteplicità delle anime, delle culture e delle identità. Non lasciarsi omogeneizzare da un mondo che dell’indifferenziazione e dell’omologazione ha fatto il suo mantra quotidiano.

La letteratura in questo può e deve giocare un ruolo importante: attraverso i libri, veniamo a conoscenza di un mondo che spesso è diverso e migliore di quello che i media (almeno quelli generalisti: per fortuna esistono diverse fonti di informazioni specialiste ben documentate) e la politica ci scodellano quotidianamente.

La letteratura per me è strumento per cogliere e valorizzare la complessità del mondo, fonte attraverso cui ri-conoscersi e apprendere le regole della coesistenza tra le diversità. Se appiattiamo anche questa, cosa ci rimane?


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