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Dal Ratto delle Sabine ai giorni nostri

Creato il 14 febbraio 2012 da Controcornice

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Posted on 14 febbraio 2012 by Dal Ratto delle Sabine ai giorni nostri

Dal Ratto delle Sabine ai giorni nostri
Nella Pinacoteca Capitolina è esposto un bellissimo dipinto di Pietro da Cortona raffigurante il Ratto delle Sabine.

Non mi ero mai soffermata, fino ad oggi, su questo soggetto, che fa parte del mito della nascita di Roma (e quindi dell’Italia stessa).  

Oggi però è scattato qualcosa, che mi ha offerto un nuovo punto di vista per valutare l’evento mitico.

Intanto è importante rivedere cosa dice la leggenda di questo famoso ratto.  

«…Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e favorire l'unione di nuovi matrimoni. [...] All'ambasceria non fu dato ascolto da parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano per loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un simile potere.» (Livio, Ab Urbe condita libri, I, 9.)

Tra il 753 aC, anno di fondazione, e il 509 aC, anno della Repubblica, Romolo regnò per 38 anni.
Anni in cui Roma divenne realtà e in cui crebbe fiorente sia la popolazione, composta per lo più da pastori, che l'economia.
Ma secondo Romolo stesso, Roma era una città senza sorriso e soprattutto senza donne.
Così dopo aver proposto agli ambasciatori dei popoli vicini alleanze e matrimoni, senza buon esito, mise gli occhi sulle donne dei Sabini.

Originari della Valle dell'Aterno, i Sabini erano scesi nel Lazio seguendo il corso del Velino, della Nera e del Tevere. E forse una Primavera Sacra (rito che si celebrava in occasione di disgrazia o situazioni difficili, e consisteva nell'immolare agli Dei i primogeniti nati dal 1° marzo al 30 aprile della primavera precedente) culto assai in voga nell'Italia preromana, aveva determinato la loro migrazione.

Romolo in accordo con il Nume, decise così di organizzare una Consualia, una festa in onore del re, da tenere nei pressi dell'Aventino, con corse, bighe, gare di atletica ed altre attrazioni, estendendo l'invito a tutti i Sabini del circondario, per poi far scattare sul più bello della celebrazione, la trappola, il cosiddetto ratto delle Sabine.  

La festa fu indetta e i Sabini si presentarono tutti agghindati con mogli, figlie e sorelle al seguito. Nel vederle i Romani rimasero senza fiato.
Romolo adocchiò subito una bella sabina tornita di nome Ersilia, figlia di Tito Tazio, re dei Sabini.
Bastò un segno ai suoi sudditi che questi si buttarono sugli ospiti come un branco di lupi.
Sopraffatti gli uomini, i Romani braccarono le donne, agguantandole per poi sollevare tra le braccia la prescelta e condurla alla propria casa. Tanto che l'usanza di prendere in braccio la sposa per condurla sull'uscio della nuova dimora è rimasta nel tempo un grazioso costume dei popoli in memoria di questo avvenimento.

A tutt'oggi si è incerti sul numero delle donne rapite. Ci sono storici che sostengono siano state soltanto 30, altri invece ne indicano 527, altri addirittura 683.
Ma anche se ne fosse stata sottratta soltanto una (Ersilia, per esempio), i Sabini non erano certo gente da farsi impunemente saltare la mosca al naso. Così Tito Tazio mosse guerra ai Romani. Tra i Sabini in marcia c'erano i Ceninesi, i Crustumesi e gli Antemnesi, ovvero gente di Caenina delle parti di Tivoli, di Crustunium cioè Monterotondo e di Antemnae l'odierno Monte Antenne alla confluenza del Tevere con l'Aniene.

Dall'alto delle mura le donne sabine guardavano ansiose la battaglia e non sapevano se dispiacersi per i loro uomini malmenati o rallegrarsi per la vittoria dei loro padri e dei loro fratelli che incalzanti non davano tregua ai Romani. Grazie all'intervento di Giove, ad un certo punto, le sorti della battaglia si rovesciarono. A quel punto Ersilia, figlia del re sabino ed amante del re romano, uscì allo scoperto e insieme a tutte le altre si buttò nella mischia, piangendo e strappandosi le vesti; la battaglia in quel momento si arrestò.

Ersilia prese per mano l'amato Romolo e il benevolo padre Tito Tazio supplicandoli di non togliere né un padre né tanto meno un nonno al figlio che sarebbe venuto.
Così piangendo Ersilia smacchiò con le lacrime il sangue che arrossava il terreno tra il Campidoglio e l'Aventino, sennonché Romani e Sabini, commossi deposero le armi e riconciliandosi per amore delle donne, si fusero insieme e decisero di formare un popolo unico, su cui regnarono Romolo e Tito Tazio insieme.

 La storia del ratto delle Sabine viene pertanto fatta passare come una storia d'amore: non solo d'amore passionale tra uomo e donna, Romolo ed Ersilia in questo caso, ma anche tra padre e figlia, un sentimento talmente forte anch'esso, di Ersilia verso il padre Tito Tazio, che la giovane donna si è trovata ad un bivio: veder cadere l'amato Romolo o l'altrettanto amato padre. Certo, gli uomini del tempo, potevano contare sulla “stampa amica” che addolciva la narrazione dei fatti dando il tono che i potenti volevano che avesse. Niente a che vedere con quello che succede ai nostri giorni!!!!!

Ma la spiegazione che mi sono data io è più moderna e più disincantata, anche se non posso garantire che non sia di parte.  Non sono esperta degli usi e costumi dei tempi antichi, ma immagino che, se andassi ad una festa con la mia famiglia e mi ritrovassi vittima di un rapimento (o ratto) e forse anche di uno stupro (ma di questo non si parla, è solo una mia riflessione, perché è quello che normalmente fanno gli uomini alle donne nei territori di conquista), ad opera di un manipolo di uomini assatanati (pare che le donne scarseggiassero a Roma!), non è che ne sarei particolarmente felice.

Perciò il primo istinto sarebbe di scappare. Ne consegue che, il rapitore, almeno per i primi tempi, mi terrebbe segregata, fino a quando non mi avesse “addomesticato”. Il metodo per arrivare a questo risultato può essere vario e non mi va di scendere nei particolari. C’è anche un altro fenomeno che ai tempi non si conosceva  ma che, dai racconti, mi sembra si sia verificato: la sindrome di Stoccolma.

La Sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta giungendo all'innamoramento) nei confronti del proprio sequestratore. Viene spesso citata anche in riferimento a situazioni simili, quali le violenze sulle donne o gli abusi su minori e tra i sopravvissuti dei campi di concentramento.

Qual è l’origine del nome? La sindrome deve il suo nome al furto alla "Kreditbanken" di Stoccolma del 1973 durante il quale alcuni dipendenti della banca furono tenuti in ostaggio dai rapinatori per sei giorni. Le vittime provarono una forma di attaccamento emotivo verso i banditi fino a giungere al punto, una volta liberati, di prenderne le difese e richiedere per loro la clemenza alle autorità. Il termine fu coniato dal criminologo e psicologo Nils Bejerot, che aiutò la polizia durante la rapina. Fu usato per la prima volta durante una trasmissione televisiva.

Mi sembra che il ratto delle Sabine sia un evento con tutte le caratteristiche necessarie per portare a sviluppare nelle giovani donne suddetta sindrome.

Concludo perciò che, per popolare Roma, si è fatto ricorso alla violenza sulle donne, che, con l’inganno sono state strappate alle loro famiglie e che la sindrome di Stoccolma ha resto sottomesse ai rapitori.

E poi ci chiediamo perché il nostro Paese è “vagamente” maschilista?

 


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