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Dal Sudafrica un monito

Creato il 17 agosto 2012 da Gianfrancodv @Gdv1964

Dal Sudafrica un monito

Foto Corriere.it

Una buona parte dell'umanità è rimasta sconvolta dalle immagini che i telegiornali di mezzo mondo hanno trasmesso dal Sudafrica. La scena della polizia sudafricana, che spara ad altezza d'uomo, su di un gruppo di minatori in sciopero, resterà nei ricordi di molti, almeno dei più sensibili. Sono già 30 le vittime accertate della carneficina, mentre le polemiche in Sudafrica, come altrove, divampano.I minatori della miniera di platino di Marikana - oltre 3000 - erano in sciopero, da oltre una settimana, per una rivendicazione salariale e contro l'annunciato taglio della manodopera. Le trattative tra i sindacati (due e in netto contrasto tra di loro) e la multinazionale inglese Lomlin (leader nel settore dell'estrazione del platino) erano in corso, senza risultati e progressi significati. Oggi i minatori guadagnano l'equivalente di 400 euro al mese.
La dinamica esatta della strage sarà appurata dall'inevitabile inchiesta, sebbene ai fini delle vittime e della questione generale, interessa poco.

Vi sono degli elementi che devono far riflettere, su questa questione. La prima attiene al commento che molti giornalisti hanno fatto ovvero che era dai tempi dell'apartheid che non si vedevano simili atti di repressione. Ovvero dal 21 marzo 1960 a Sheperville o dal 16 giugno 1976 a Soweto, quando la polizia sudafricana fece un'azione paragonabile a quella di ieri (a dire il vero molto peggiore). Con una grande differenza: allora a protestare erano i neri e a sparare i bianchi, oggi a protestare sono stati i neri ed a sparare quasi tutti neri.                                                            

Se è vero che la storia si ripete, a volte i protagonisti non sono gli stessi.

E' giusto analizzare questo episodio alla luce di un incompleto (e molto difficile) processo di trasformazione, democratico e multirazziale, della società sudafricana. Una situazione che ancora vede la popolazione nera marginalizzata e isolata nei suoi ghetti (sebbene con eccezioni sempre più numerose). A questo proposito vi segnalo il post Il tramonto di un sogno dal blog Buongiorno Africa.

Però vale la pena soffermarsi su di un principio molto più vasto.

Quello per cui protestavano i minatori sudafricani è del tutto simile alle rivendicazioni dei lavoratori di mezzo mondo. Richiesta di aumento del salario, migliori condizioni del lavoro e la paura (annunciata) di perdere anche quel poco che guadagnano.
Perdere quel lavoro significa fare quel salto - mai attuale anche dalle nostre parti - tra una vita dignitosa di stenti e la povertà.
La risposta del datore di lavoro è analoga lì come altrove. La crisi. La crisi mondiale che investe soprattutto la classe media, riduce i consumi (stando alla tesi delle multinazionali) quindi bisogna ridurre i costi della produzione (spesso non la quantità della stessa).
Naturalmente i lavoratori - in Sudafrica come da noi - sottolineano come la forbice tra i ricchi e i poveri aumenti in modo vistoso. I manager delle nostre aziende che riducono la manodopera, così come quelli delle multinazionali dell'estrazione sudafricane, continuano a guadagnare, molto e sempre di più in relazione ai lavoratori. Mentre i lavoratori faticano a vivere.

La risposta della polizia (e quindi dei governi) è quella di reprimere le proteste dei lavoratori. I governi oramai sono retti, quasi ovunque dalla grande economia (quando non ne sono espressione diretta) capace di farli rimanere in sella o di farli saltare in qualsiasi momento. In luoghi ove la vita vale davvero poco, il passaggio tra le manganellate e i proiettili è purtroppo sottile. 

Così come è lieve il salto dalla protesta ferma, ma democratica e pacifica, e l'escalation della violenza (in Sudafrica nei giorni scorsi erano stati uccisi dai protestanti due vigilantes), soprattutto quando non si ha nulla da perdere (nel senso letterale, perchè nulla si ha).

Vale la pena sottolineare che per quanto sembri assurdo a molti, la situazione dei minatori sudafricani non è dissimile da molti lavoratori del nostro continente. Vi sono regolari contratti di lavoro (certo ancora lontani dai nostri standards) e dei sindacati forti e con una lunga tradizione. Nella maggior parte delle miniere estrattive dell'Africa (per fare un esempio nella Repubblica Democratica del Congo, ma anche in Niger o in Zambia) i lavoratori entrano e escono senza che nessuno sappia neppure il loro nome.


In questo senso l'episodio del Sudafrica deve essere un monito per tutti. 

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