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Dalla prova di forza allo scontro finale

Creato il 14 dicembre 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

Dalla prova di forza allo scontro finale

Una prova di forza può avere diverse finalità: può servire per ottenere qualcosa da qualcuno oppure per affermare il proprio Sé. Nel primo caso, ciò che interessa alla fine del processo è appropriarsi di qualcosa in possesso di qualcun altro, per cui il processo termina nel momento stesso in cui lo scopo è raggiunto; in gioco non vi è direttamente coinvolto il sé: pensiamo, ad esempio, a una rapina a mano armata. Il rapinatore non è intenzionato a far prevalere il proprio sé su quello del rapinato, ma ad avere qualcosa in suo possesso, per cui, una volta raggiunto lo scopo, il processo termina. Nel secondo caso caso, l’appropriazione dell’oggetto non è fine a se stesso, ma diventa soltanto un modo per affermare il proprio Sé; diciamo che, in questo caso, il processo messo in atto, al fine di appropriarsi di qualcosa, è soltanto un pretesto, poiché lo scopo reale è l’affermazione del proprio Sé. In tal caso, ad essere coinvolto non è la posta in gioco (cioè la cosa di cui l’altro vuole appropriarsi), ma è il Sé. La leva primaria che si può usare per esercitare una pressione su qualcuno al fine di fargli compiere una determinata scelta può essere una minaccia. Chi agisce secondo questa modalità, compiendo un atto di forza, deve aspettarsi dall’altro una reazione, che può essere o di a) conferma o b) di resistenza: la conferma comporta la sottomissione, la resistenza una c) situazione conflittuale, che entrambi i soggetti dell’interazione devono essere preparati ad affrontare. Infatti, quando un soggetto non è in grado di sostenere una situazione conflittuale, allora evita di compiere un atto di forza; mentre, colui che subisce un atto di forza se non è disposto a sostenere la situazione conflittuale, allora è già predisposto a cedere all’altro. Nella situazione di conflitto inizia tra gli attori in causa una d) escalation di tensione, sino a che chi ha compiuto l’atto di forza pone in atto e) una minaccia, la quale per essere efficace deve essere portata alle sue estreme conseguenze. Chi avanza una minaccia s’espone, chi subisce la pressione della minaccia subisce un ricatto: se qualcuno punta un’arma e dice “o la borsa o la vita”, lui si espone con una minaccia, ma impone all’altro un ricatto, perché a questo punto la scelta di cedere alla minaccia spetta all’altro: «Chi minaccia (o promette) si rende esplicitamente dipendente dal comportamento altrui. Questo può anche voler dire che è l’altro a stabilire il momento del conflitto, che sarà lui a decidere quando provocarlo» (H. Popitz, Fenomenologia del potere).
Il problema per chi subisce una minaccia, invece, è di essere posto davanti alla scelta di cedere al ricatto, evitando la punizione minacciata, o di respingerla, subendone così le conseguenze. Il potere di chi si espone con una minaccia si esercita nello stesso attimo in cui l’altro cede, poiché se l’altro non cede egli si vede “costretto” a dar seguito alla punizione minacciata, ma se si arriva a questo punto, vuol dire che la minaccia non ha avuto l’effetto che s’aspettava. La minaccia che si pone in atto nella modalità interattiva è la fine o la “morte” del rapporto o della relazione: colui che pone in atto questa minaccia è come se dicesse all’altro: «O accetti questo atto di forza o posso fare a meno di te», messaggio che può essere tradotto anche in questo modo: «Tu per me non conti nulla». Quindi, la minaccia consiste in una f) posizione di aut/aut. L’intenzione di chi pone in atto una minaccia per esercitare un potere non è quella di ricorrere alla punizione, ma di ottenere lo scopo che s’era prefisso. Se l’altro, anziché cedere, resiste alla minaccia, pone in atto una sfida, poiché costringe il minacciante a dare seguito a ciò che ha minacciato: la sfida comincia nell’attimo in cui non si cede alla minaccia, cioè la sfida vanifica la minaccia perché le fa perdere il suo potere persuasivo. Se colui che è minacciato non è disposto a rompere la relazione, allora dovrà cedere; se, invece, il minacciato, anziché rispondere con la sottomissione risponde con un rifiuto, a questo punto chi ha compiuto l’atto di forza si trova vincolato alla sua minaccia: come osserva Heinrich Popitz, «chi minaccia mette in gioco la propria credibilità, se non riesce a mettere in pratica la sua minaccia, l’effetto di ogni futura minaccia è compromesso. Pertanto, chi minaccia non solo tenta di esercitare un potere, ma mette in gioco il potere di cui dispone». Ma se l’altro non cede, a sua volta può mettere in atto la stessa minaccia: questo è il momento dello g) scontro finale che si traduce in una sfida: a questo punto vince la sfida chi sa porre in atto la minaccia. In questo gioco di potere, cede chi non è disposto a rinunciare all’altro.


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