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Dalle supernovae ai raggi cosmici

Creato il 26 marzo 2011 da Stukhtra

La stella di Tycho 439 anni dopo

di Silvia Fracchia

ResearchBlogging.org
Ne sono stati fatti di progressi da quando, in una notte del 1572, un nobiluomo danese con il pallino dell’astronomia si accorse della presenza di un nuovo e misterioso astro, spudoratamente brillante nella volta celeste, tanto da riuscire a relegare in secondo piano perfino Venere. L’astronomo era Tycho Brahe, il maestro di Keplero, e ancora oggi possiamo rivivere le sue osservazioni, trascritte minuziosamente nell’opera De nova et nullius aevi memoria prius visa stella. Lo strano oggetto, situato nella Via Lattea, nella costellazione di Cassiopea, rimase visibile a occhio nudo fino al 1574, prima di sparire nel nulla. La verità è ormai nota: Brahe e i suoi contemporanei ebbero la fortuna di vedere con i propri occhi nientemeno che un’esplosione di supernova.

Negli ultimi tempi, grazie a Chandra, il telescopio orbitante della NASA che scruta il cielo nella banda dei raggi X, la supernova SN 1572, meglio nota come “supernova di Tycho”, è tornata improvvisamente al centro dell’attenzione: l’osservazione dei suoi resti da parte del satellite ha infatti messo in evidenza una struttura a strisce della radiazione X emessa. Struttura del tutto inaspettata e che potrebbe raccontarci molte cose sulla formazione dei raggi cosmici, come è spiegato in un articolo di Kristoffer Eriksen della Rutgers University, nel New Jersey, e dei suoi collaboratori, in attesa di pubblicazione su “The Astrophysical Journal Letters”.

Dalle supernovae ai raggi cosmici

I resti della supernova di Tycho nei raggi X: le zone blu, nelle quali si osservano le strisce, sono radiazioni di alta energia, quelle rosse invece sono di bassa energia. (Cortesia: NASA/CXC/Rutgers/K.Eriksen et al./DSS)

Ma che cosa succede esattamente in un’esplosione di supernova? E che cosa sono i resti di supernova? Anzitutto diremo che SN 1572 è stata una supernova di tipo Ia. Quando una stella di massa medio-piccola (compresa tra 0,5 e 8 masse solari) giunge al termine della propria esistenza, ossia termina il combustibile nucleare necessario ai processi di fusione, essa diventa una nana bianca, cioè un oggetto di piccole dimensioni costituito da elettroni in stato degenere e con una massa inferiore a 1,44 volte la massa del Sole. Questo è il cosiddetto “limite di Chandrasekhar” (Subrahmanyan Chandrasekhar è il fisico indiano a cui il telescopio deve il proprio nome) e non può assolutamente essere superato: un valore di massa oltre il limite provocherebbe il collasso gravitazionale della nana bianca, poiché la pressione degli elettroni degeneri non sarebbe più in grado di contrastarlo. Però può accadere che la nana bianca si trovi in un sistema binario con un’altra stella e, durante il moto orbitale, riesca a “rubare” a poco a poco un po’ di materia dalla sua compagna, accrescendo la propria massa, fino a raggiungere e superare il limite di Chandrasekhar. Ecco allora che la nana bianca collassa e dà luogo a una violenta esplosione, nota come supernova di tipo Ia.

Durante l’esplosione la stella espelle la maggior parte della propria materia a una velocità di circa 3000 chilometri al secondo (l’1 per cento della velocità della luce, per intenderci) e libera un’enorme quantità di energia: il passaggio della materia espulsa ad altissima velocità nel mezzo interstellare provoca la formazione di un’onda d’urto, che fa sì che il gas circostante si scaldi a temperature dell’ordine del milione di gradi e passi allo stato di plasma. La nube di materiale “sparato” fuori dall’esplosione costituisce il resto di supernova e solitamente si disperde nel mezzo interstellare, diradandosi in qualche migliaio di anni.

Ebbene, si ritiene che i raggi cosmici, le particelle di grande energia che bombardano continuamente l’atmosfera terrestre arrivando dallo spazio profondo, si formino proprio a partire dai resti di supernova. Le particelle (perlopiù protoni) trasportate dall’onda d’urto, interagendo con i campi magnetici presenti nel mezzo interstellare, a loro volta amplificati dal passaggio dell’onda, acquisiscono un’enorme quantità di energia. Infatti sono soggette a un moto turbolento spiraleggiante intorno alle linee di campo magnetico e vengono rimbalzate avanti e indietro più volte attraverso l’onda d’urto, guadagnando energia a ogni attraversamento. Tuttavia ciò che si pensava di vedere nelle osservazioni astronomiche era una fitta rete di buchi e di aree più dense, corrispondenti a zone di campo magnetico rispettivamente più debole o più intenso. Invece ecco la sorpresa: le osservazioni nei raggi X mostrano una struttura a strisce, rappresentativa di zone con campi magnetici di intensità ancora più elevata. Gli elettroni rimasti intrappolati in queste zone emettono energia nella forma di raggi X mentre spiraleggiano intorno alle linee di campo.

Dalle supernovae ai raggi cosmici

Dettagli delle strisce di radiazioni X ad alta energia. (Cortesia: NASA/CXC/Rutgers/K.Eriksen et al.)

Questa scoperta è così importante perché costituisce la prima evidenza diretta dell’accelerazione di particelle da parte dei resti di una supernova, particelle che poi raggiungono la Terra a energie anche centinaia di volte superiori a quelle ottenibili con il miglior acceleratore esistente al momento, il Large Hadron Collider.

Kristoffer A. Eriksen, John P. Hughes, Carles Badenes, Robert Fesen, Parviz Ghavamian, David Moffett, Paul P. Plucinsky, Cara E. Rakowski, Estela M. Reynoso, & Patrick Slane (2011). Evidence For Particle Acceleration to the Knee of the Cosmic Ray Spectrum in Tycho’s Supernova Remnant The Astrophysical Journal Letters arXiv: 1101.1454v1


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