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Dallo scudetto ad Auschwitz

Creato il 27 gennaio 2012 da Ghlucio @ghlucio
Dallo scudetto ad Auschwitz
 « Fatto sta che di Weisz, a sessant’anni dalla morte, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. [...] Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo »
(Matteo Marani dal libro "Dallo scudetto ad Auschwitz"
Figlio di due ebrei ungheresi, Weisz fu un giocatore di livello. Giocò per la propria nazionale anche alle Olimpiadi del 1924 e, come calciatore semi-professionista, tra Ungheria, Cecoslovacchia, Italia e Uruguay.
Dopo gli apprendistati in Sudamerica e all'Alessandria, raggiunse la fama portando al titolo nazionale l'Inter (allora denominata Ambrosiana) nella stagione 1929-30 e il Bologna nei campionati 1935-36 e 1936-37.
Arpad Weisz era una persona gentile, ave­va una moglie, Elena, e due figli, Clara e Ro­berto. Era ungherese, nato nel 1896 all'ombra del castello tra Buda e Pest, ma diceva di sen­tirsi italiano. il suo cognome venne italianizza­to in Veisz, dalla stampa e in omaggio al regi­me, e così passò alla storia.
Le sue case erano Milano e Bologna. Via Burigozzo, zona di Porta Lodovìca nel capoluogo lombardo, e Via Saragozza, vicino al centro della città felsinea. Era un uomo di calcio. Un uomo di sport nel senso più ampio del termine, per la sua manie­ra di vivere la preparazione fisica come punto fondamentale nella costruzione delle sue squa­dre e come parte integrante della sua vita .
Era stato sulla cresta dell' onda, aveva sco­perto Giuseppe Meazza e lo aveva traghettato nel grande calcio dando fiducia alle sue quali­tà innate e al suo temperamento burrascoso.
Aveva occupato le pagine dei rotocalchi dell' epoca con le sue grandi imprese. Più volte era stato intervistato dal "Calcio illustrato". Aveva scritto libri, i!l più famoso. dei quali era "n giuoco del calcio", scritto a quattro ma­ni WP. Aldo MolinaFo, uomo squadra e merca­to della sua Inter
Aveva incontrato Herbert Chapman, e da lui aveva ereditato la doppia WM con la quale il coach mago della tattica aveva dominato nel regno d'oltre Manica il campionato più antico del calcio con il Su0 Arsenal.
Aveva viaggiato, nel 1929 - l'anno prima di consegnare all'Inter il terzo scudetto della sua vita ventennale - per vedere il Sud America. I viali di Buenos.Aires e le lande desolate delle Pampas e le notti accaldate di Ciudad del Este, quando in Uruguay ci si preparava a sa­lire con la "Celeste" per la prima volta sul tetto del mondo.  Aveva conqnistato due scudetti consecuti­vi con il Bologna, due trionfi che conservano a oggi il profumo della passione del presidente " di allora, Renato Dall'ara, e il vigore delle im­prese uniche nel genere e irripetibili nel tempo. A Parigi nel 1937, pochi mesi prima di ap­prodarci da profugo, si era aggiudicato il tor­neo dell' esposizione, sconfiggendo in finale il Chelsea dei maestri inglesi che allora si rifiuta­vano di giocare al football con i non britannici.  Questo era Arpad Weisz. Alto, con un fisico atletico, uno sguardo at­tento e cortese e l'aria di chi sa sempre che co­sa vuole e che non ha mai bisogno di gridare per ottenerla,
Un uomo di successo che però era ebreo. Ebreo non ortodosso. Ebreo non pratìcan­te. Ebreo con due figli battezzati cattolici.
Uri uomo Che a causa delle proprie origini vide la sua vita sgretolarsi intorno a sé, Prima la fuga dall'Italia per il valico di Bardonecchia, la parentesi francese nella Parigi delle avan­guardie e poi il rifugio olandese, ultimo càm­po dove praticare il calcio e aspettare che la trappola si chiudesse alle sue spalle.
Chissà cosa deve aver pensato nelf autun­no del' 41, quando dopo aver guidate la squa­dra del Dordrecht, compagine di un paese a pochi chilometri da Rotterdam, compiendo l'ennesima impresa (5° posto nelia Prima Divisione francese, un risultato mai più raggiunto nel­la storia del club, ndr), gli fu comunicato che non poteva più allenare, perché Ebreo.
Il clamore della propaganda io seguiva or­mai dagli anni del governo Mussolini e dalle leggi razziali approvate dal parlamento italiano
 A quel punto, però, con la Germania che già da un anno oc­cupava l'Aia e Amsterdam, e le prime stelle di stoffa gialla che apparivano sui vestiti dei componenti delle famiglie ebraiche, vie d'uscita sembravano non essercene più. Era il 26 Ottobre, il balcone della casa dei Weisz, dava su una piazza quadrangolare.
La prima neve copriva già i tetti e i bambini dormivano an­cora.

«Quanto pensi che mancherà ancora?» ruppe il silenzio Elena.
« non lo so, tesoro, non lo so»
«È così difficile, riuscire a spiegare tutto a Clara e Roberto, è difficile e ... crudele»
«Da oggi non potrò più neanche andare al campo degli al­lenamenti per vedere i miei ragazzi che svolgono il loro lavoro settimanale»
«Mi sembrano così lontani i tempi di Milano e Bologna, del­le città prima della guerra, eli quando mi raccontavi la tua gior­nata al campo ... »
«Anche a me, ma penso che forse è meglio dimenticare, non ricordare ciò che è così fortemente diverso da quanto stiamo vi­vendo».
«Dimenticare ... ».

La luce attraversava la finestra della sala dei Weisz, la luce scura della sera riverberata dalle prime nevi.
I! volto magro di Arpad rivolto all' esterno, immobile men­tre Elena scivolava al suo fianco in un tenero abbraccio. Sulle sue guance, lacrime silenziose. Silenziose come i passi della Gestapo che l'estate successiva preleverà la famiglia Weisz per l'ultimo viaggio. Prima Westerbork e poi Auschwitz, quando ogni speranza risulterà vana. Elena, Clara e Roberto vennero uccisi nelle camere a gas dal­lo Ziklon B non appena raggiunsero la Polonia. Arpad invece, prigioniero del suo fisico allenato, gli soprav­visse per quasi due anni. Ma a quel punto la sua partita si era già conclusa. La sua anima già compromessa.
Anche lui, che aveva fatto la storia del calcio, ad Auschwitz era solo un numero in attesa della propria fine.
Una fine silenziosa di uomini dimenticati da Dio e dai loro fratelli.
L'ultimo giorno di Arpad, dimenticato da tutti, in ossequio a una propaganda che ha costruito sul silenzio la propria forza. L'ultimo giorno di Arpad, ucciso due volte. Da chi ne ha annichilito il corpo e lo spirito in un campo di sterminio. E da chi poi lo ha dimenticato. 31 Gennaio 1944. 
dalla rivista sportiva F.C. INTER:  rubrica "Come eravamo"
Dallo scudetto ad Auschwitz
 Arpad Weisz fu uno dei migliori, se non il migliore, allenatore della sua epoca. Aveva cominciato la sua strepitosa carriera nell'Inter ove aveva fatto esordire Peppino Meazza e vinto lo scudetto nel 1930. Ma il suo vero capolavoro era stato la costruzione del grande Bologna che "tremare il mondo fa".
Il nome di Arpad Weisz è stato a lungo rimosso dalla storia del calcio italiano. Eppure si tratta di uno dei migliori allenatori che abbiano operato sui campi della penisola nel periodo tra le due guerre. Il nome di Weisz è indissolubilmente legato al Bologna che "tremare il mondo fa", lo squadrone che nel corso degli anni '30 segnò un'epoca sia in Italia che in Europa. Nato a Solt, nei pressi di Budapest, nel 1896, arrivò in Italia nel 1924 per indossare la casacca del Padova. Un grave infortunio lo spinse presto ad abbandonare e ad abbracciare la carriera di allenatore. Nel 1926 arrivò all'Inter, squadra che da qualche anno era entrata in una fase critica, caratterizzata da una penuria di risultati che aveva infine spinto la dirigenza ad operare una netta sterzata. E proprio l'ungherese era stato individuato come l'uomo adatto ad aprire un nuovo ciclo, capace di riportare i nerazzurri al vertice. Weisz, prima di arrivare nel nostro paese, aveva girato il mondo e, soprattutto, era entrato in contatto con le metodologie in voga in paesi allora all'avanguardia, come Argentina e Uruguay, adottandone le parti che meglio potevano essere adattate al nostro calcio. E con lui, l'Inter tornò presto a volare, grazie soprattutto alle prodezze di un ragazzino scovato dal tecnico nelle minori, tal Giuseppe Meazza che, a suon di reti e prodezze, si era immediatamente segnalato come un vero e proprio fuoriclasse. Nel 1929-30, l'Inter era riuscita a vincere così il suo terzo scudetto, l'ultimo prima dello straordinario quinquennio della grande Juventus e il primo nei tornei a girone unico. Nel 1935, Weisz si trasferì a Bologna e, proprio con i felsinei riuscì ad interrompere la dittatura bianconera, vincendo due scudetti di fila. Ai successi nazionali fecero presto seguito quelli in campo internazionale, tra i quali va segnalata la Coppa dell'Esposizione, una sorta di Coppa dei Campioni ante litteram, nella cui finalissima il Bologna distrusse il Chelsea, con un 4-1 che non ammetteva recriminazioni di sorta. Era quello il punto più alto della carriera sportiva di Weisz o, perlomeno, il punto più alto che l'evolversi della situazione politica italiana gli avrebbe consentito. Anche l'Italia ormai, era entrata nella parte più buia della propria storia, elaborando quelle Leggi Razziali che sarebbero rimaste a perenne testimonianza della vergogna rappresentata dal regime fascista. L'allenatore ungherese, fu costretto nel gennaio 1939 a prendere la propria famiglia, la moglie Elena e i figli Roberto e Clara, e a fuggire verso Parigi, nella speranza di trovare una squadra da allenare che non si sarebbe mai realizzata. Anche la Francia era stata ormai contagiata dalla pazzia nazista ed era impregnata da un antisemitismo estremo del quale fu pessimo esempio quell'Alexandre Villaplane che era stato capitano della nazionale francese ai mondiali del 1930 e che nel 1940 sarebbe addirittura diventato collaboratore della Gestapo. Quello che era stato uno dei migliori allenatori della sua epoca, dovette perciò scontrarsi con un muro di ostilità che fece svanire qualsiasi possibilità di una offerta di lavoro. L'offerta arrivò invece dall'Olanda, da una squadretta di periferia, il Dordrechtsche e Weisz non se la fece scappare, sperando che potesse essere l'inizio di una sorta di rinascita. Il Dordreschte era una delle più antiche società olandesi, ma non aveva mai raggiunto grandi risultati. Quando ne prese le redini, si trovava in piena lotta per non retrocedere e in effetti la salvezza arrivò soltanto grazie ad uno spareggio. Nell'anno successivo, però, la cura Weisz cominciò a produrre i suoi effetti portando la squadra ad un ottimo quinto posto, impreziosito dal successo contro il Feyenoord. Nel 1940, però, i nazisti occuparono l'Olanda e il cerchio malefico voluto dal nazismo intorno agli Ebrei cominciò a stringersi anche per coloro che erano riusciti a riparare in quel paese illudendosi di potervi trovare la salvezza. Weisz riuscì anche nel torneo successivo a portare il Dordreschte al quinto posto, ma il 29 settembre del 1941 arrivò il diktat nazista in base al quale l'ungherese non poteva più esercitare il suo mestiere. La cittadina si strinse intorno alla famiglia, permettendogli di sopravvivere, ma senza avere la possibilità di trovare i soldi necessari all'espatrio. Il 2 agosto 1942, l'intera famiglia Weisz fu rastrellata e avviata ai campi di concentramento. La prima tappa fu Westerbork, dove rimasero sino al 2 ottobre, per poi salire sul treno per Birkenau, ove il capofamiglia fu diviso dalla moglie e dai figli per essere avviato al lavoro in Alta Slesia. Il 5 ottobre 1942, Clara Weisz e i figli Roberto e Clara furono uccisi ad Auschwitz. Arpad Weisz sopravvisse grazie alla sua forte fibra sino al 31 gennaio 1944. Le Leggi Razziali volute da Mussolini avevano prodotto le ennesime vittime.  
da http://www.enciclopediadelcalcio.it
Solamente nel gennaio 2009 su iniziativa del Comune di Bologna è stata posta una targa in sua memoria sotto la torre Maratona nello Stadio Dall'Ara.
Altre informazioni su Il primo Mourinho: Árpád Weisz

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COMMENTI (1)

Da Giuseppe Meazza
Inviato il 31 gennaio a 21:36
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