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Dan Fante – Gin & Genio: recensione di Salvatore Sblando

Creato il 10 luglio 2013 da Wsf

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Ho sempre pensato che i testi tradotti dalla lingua originale, soprattutto quando si tratta di poesia, perdessero parte della potenza data dalla unicità del linguaggio in versi.
Metafore, rime, scrittura in metrica, spesso risultano di difficile trasposizione durante la fase di traduzione.
Fino a quando non mi sono imbattuto nell’ultimo libro di Dan Fante “Gin & genio” (titolo originale: “A gin-pissing-raw-meat-dual-carburator-V8-son-of-a-bitch from Los Angeles”).
Una raccolta, quella del figlio del celebre scrittore americano John Fante, -tradotta per i tipi della Whitefly press edizioni dalla Direttrice editoriale Gabriella Montanari- che non necessita di trasposizioni di metrica, in quanto si tratta di una scrittura in verso libero ma a cui certo occorre trasporre, la carica visionaria e paradossalmente realistica della poetica di Dan Fante.
Un lavoro di traduzione fatto in maniera minuziosa, incontrando e discutendo con l’autore persino dei vocaboli inventati.
Leggendo l’edizione italiana delle WFP edizioni, si entra in un mondo maledetto, illogico e paradossale, dove l’assurdo nella vita riesce a diventare poesia, riesce a divenire attimo e sprofondo.

Tutto è improvvisamente –teatro- biglietto omaggio-
imprevedibile
orribile
ridicola
assurda
preziosa
ed
esaltante

un’avventura

so di non valere molto – ma sono quel che penso

Una purezza, una ordinata casualità e maledizione che trovano nella scrittura poetica logico riparo; perché Dan Fante questo lascia trasparire con i suoi versi. Una continua e spasmodica ricerca di un riparo sicuro così come solo la poesia è in grado di dare.

Oggi me ne sbatto se mi tira o meno
non mi aspetto niente in cambio
puoi amarmi, non amarmi
perché –vedi
ci sono voluti trent’anni
ma quelle voci –la mia follia- si sono azzittite
e
mi è stato concesso il dono
di un barlume
di
lucidità

Un riparo certo, una protezione sicura dagli eccessi della sua vita, ma anche da una poesia accomodante che fa apparire l’esistenza, solo un ritrovo per sentimenti puri.
Ed invece in Dan Fante, naturale prosecutore della lezione poetica di Bukowsky, troviamo pane per i denti degli estimatori della lirica senza zucchero, capace nonostante ciò di parlare al cuore più oscuro del lettore.

Dire ti amo non era ancora cosa da poco
per me
niente di frivolo
un sacco di trombe e di gong hanno taciuto
e tante guerre… e anni
sono passati
in cui l’alcol e la dipendenza mi hanno guidato
ossessionato
e anche esonerato
dall’equilibrio mentale
e dalla ragionevolezza

Anche la scelta del carattere utilizzato nella edizione italiana curata da Whitefly press, ricorda molto quello delle macchine da scrivere e lo si può immaginare Dan, mentre compone il suo ennesimo atto alla vita e poi cancella, e poi strappa e poi carica nuovamente il foglio.

Quando penso a papà –oggi
oggi che è davvero famoso
e la gente finalmente dice di lui
quello che lui già sapeva
e diceva a tutti trent’anni fa

mi rendo conto che non ha mai dubitato del suo genio
che la sua rabbia e le sue amarezze
erano guerre contro la vita

piccole esplosioni nucleari non rivelate –
un modo per marcare il territorio

Per papà non faceva differenza

La vita era una gran puttana

Di seguito infine, per gli amanti dei testi in lingua originale, tre poesie di Dan Fante, tratte dalla raccolta “Gin & genio” in inglese (USA), gentilmente concessi dalla Whitefly Press edizioni.

1#

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Ho incontrato il più miserabile dei gatti
un bastardo affamato
mentre leggevo
su una panchina
e mi accendevo una Lucky dopo l’altra
sulla spiaggia di Venice

Mi ha visto e si è fatto avanti
bianco
sudicio
un occhio verde
l’altro giallo
e uno squarcio ancora fresco sull’orecchia sfregiata

Arrabbiato come un lupo ferito
si teneva a distanza
con l’aria di dire, dammi da mangiare
o levati dalle palle
su questa panchina sei nel mio territorio

Quel che non sapeva è che anch’io conosco la disperazione
e la pazzia
e quello che possono farti il vuoto la solitudine
e la rabbia quando in tasca hai solo la tua sofferenza
e come casa una Pontiac del ‘78 scassata piantata in
un vicolo di West L.A. e quella voce in testa che ti
accoltella e ti uccide ogni giorno un po’ di più e tu
ti svegli e bevi ancora di quel vinaccio che sa di
piscia di topo per sottrarti alla follia in agguato
e dio diventa un tipo che esce da un 7-Eleven e ti sgancia qualche spicciolo per un altro cazzo di
bottiglia e la paura è il più bel sentimento che
provi e l’amore è morto e il tempo è morto e persino
i tuoi occhi puzzano e le tue budella sono gonfie delle urla di tutti quelli che odi e l’unico rimedio sta nel piccolo miracolo di buttare giù un altro bicchiere

Il misero gatto bianco non sapeva che siamo fatti
della stessa stoffa
l’unica differenza tra noi
sono dieci anni
e una macchina da scrivere.

2#

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11 — 10 — 83
Ieri
silurato di fresco
per l’ennesima volta
e senza prospettive
ho trascinato
il mio umile culo
nella camera sul retro della vecchia e fredda casa
di mia madre

Quarantun’anni
il conto in banca a due cifre
dozzine di lavori andati a monte
una scatola piena di foto di bambini ed ex-mogli
e
nessuna idea sul da farsi

allora

ho tirato fuori
il mio ultimo romanzo non pubblicato
le mie due — anzi ora tre — commedie non rappresentate
le mie centinaia di poesie
e i miei racconti alla Ray Carver
e
la mia biancheria sporca

Ho incrociato mia mamma nell’ingresso,
lei ha distolto lo sguardo
forse pieno di vergogna — di certo seccato
alla vista
di quel figlio fallito nel quale, un tempo
alcuni avevano visto
del potenziale

Poi, non avendo altro da fare
mi sono preparato una tazza di caffè,
ho preso le sigarette,
e ho fatto il giro lungo fino alla scogliera
sopra l’oceano
e

laggiù
al freddo sulla roccia
connesso al momento
ho spalancato gli occhi
appena in tempo
per contemplare
un altro perfetto tramonto a Malibù.

3#

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Di notte
quando scopiamo
mi capita a volte di non riuscire a concentrarmi
e mi va via la voglia
allora torno indietro di venticinque estati
e penso a
Stinky
che aveva diciannove anni quando ci siamo incontrati ai corsi serali
le piacevano le mie scarpe logore
e le mie poesie sgraziate da tassista
non era mai stata a letto con un bianco
aveva la più sublime e morbida pelle nera
e un vitino da vespa
i suoi vecchi erano proprietari di una stazione di servizio nel nord dello stato
arrivava da me con il New York Central
passava i fine settimana nella mia camera sulla 51esima
a bere Mad Dog 20-20 tutta la notte
il bagno nell’entrata — e tossici ovunque
che vagavano come zombi
la radio che sussurrava per ore intere
le mitiche canzoni d’amore
e quell’incredibile continua e insaziabile fame
l’uno dell’altra

Allora
quelle notti – in cui mi va via la voglia
e pare che anche la magia tra di noi se ne sia andata
Stinky è la mia arma segreta
ripenso a lei — al suo modo di far festa
succhiandomi il cazzo
fino al midollo
e al suo sorriso che diceva sempre fottimi ancora
e così
ritrovo quella perfezione
e in silenzio — come siamo soliti scopare — la ringrazio
per l’aiuto che mi dà
con questo terzo stanco matrimonio.

Whitefly Press: http://www.whiteflypress.com/

articolo di Salvatore Sblando


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