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Daniele Luchetti: “Ho nostalgia del futuro”, l’intervista di OAC

Creato il 08 novembre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

8 novembre 2013 • Interviste, Vetrina Cinema

Oggi al cinema ha incontrato Daniele Luchetti al London Film Festival, in occasione della presentazione al pubblico inglese di Anni Felici. Ecco cosa ci ha svelato.

Daniele Luchetti: “Ho nostalgia del futuro”

Quanto è difficile rendere universale il racconto autobiografico, naturalmente filtrato attraverso il linguaggio cinematografico?
Il problema principale è quello di prendere i protagonisti della storia e cercare di renderli universali. In questo caso c’era da una parte la persona che si sente costretta in un rapporto e che vorrebbe più libertà ma che allo stesso tempo non può fare a meno dell’altra. D’altra c’è una donna completamente vittima di questa arroganza maschile che per tutta la vita è stata abituata a non pensare ai propri desideri ma solamente ai desideri degli altri. Il contrasto tra questi due personaggi è un contrasto che esisteva nelle famiglie in quegli anni. Poi per renderla una storia ho dovuto trattare questi personaggi come personaggi di fantasia e cucire una storia trasfigurando la realtà. Esattamente come si fa con tutte le altre storie. Da un certo punto in poi devi tradire una verità per cercare la verità.

Come è avvenuta la scelta degli attori? Aveva sin da subito pensato a Micaela Ramazzotti e Kim Rossi Stuart? Dove ha trovato dei bambini così bravi a recitare?
Kim è stato il primo ad essere scelto. Mi ha ricordato il carattere di mio padre perché stava semplicemente zitto. Micaela è stata scelta dopo diversi provini, è un’attrice che io stimo molto perché riesce sempre ad esprimere la sua personalità. Per quanto riguarda i bambini non possono essere diretti così abbiamo avuto la pazienza di osservare e poi scegliere quelli giusti.

Mentre oggi i genitori sono terrorizzati dall’idea di sbagliare, Guido e Serena sembrano agire in modo quasi noncurante. Cosa è cambiato da ieri ad oggi?
All’epoca si pensava che i bambini dovessero assistere, vedere, ascoltare tutto perché dovevano crescere. Prima c’era un’indifferenza assoluta verso i bambini mentre oggi, non solo devono essere tenuti all’oscuro di tutto, ma sono diventati i principi della casa. I miei genitori ci portavano a vedere i film vietati, ci nascondevano nel portabagagli della macchina, ma semplicemente perché volevano vederli loro. Certo il cinema proibito di allora non è il cinema di oggi. Alcuni film di Pasolini li abbiamo visti qualche anno prima che ci toccassero.

Nel film sembra che il suo interesse per la macchina da presa sia stato generato dalla voglia di osservare i suoi genitori sotto un’altra ottica. E’ stato così anche nella vita?
Si, la cinepresa è un filtro che ti aiuta a mediare l’emozione e a renderla più accettabile. Per me è stato anche un modo per rivelare la verità, in questo caso il tradimento. Più di tutto per me rappresentava un gioco magico e nel film diventa un mezzo per osservare degli avvenimenti dolorosi con maggior distacco.

Nel suo film la macchina ricopre un ruolo particolare. E’ il luogo dove si litiga, si fa pace o quello in cui ci si rifugia. Che cosa rappresenta?
In quegli anni le famiglie avevano almeno una macchina a testa, più di oggi probabilmente. La macchina all’epoca diventava anche il simbolo della propria personalità. Poi erano gli anni in cui da Roma ci si spostava nelle periferie e la macchina diventava indispensabile. La macchina rappresentava un desiderio di libertà mentre oggi dalla nostra libertà è diventata la nostra prigione.

M.Ramazzotti e K.R.Stuart sono Guido e Serena

M.Ramazzotti e K.R.Stuart sono Guido e Serena

Dario e Serena sono protagonisti di una passione quasi autodistruttiva però diventano complici quando lei improvvisamente fa un gesto per farsi notare da loro. Come l’hanno trasformata?
La caratteristica di questo film è che Guido e Serena sono genitori ma contemporaneamente anche figli. Sembra quasi che quello che fanno lo facciano per compiacere i propri genitori. Quando Dario si tuffa per farsi vedere dai suoi genitori, si compattano per la prima volta e lo salvano. Il paradosso è che questo figlio poi verrà probabilmente più conformista dei suoi genitori perché la paura dell’anticonformismo lo ha devastato.

Nonostante il grande conflitto da Guido e Serena, questo è un film colorato, pieno di gioia e di ironia. Erano gli anni in cui ci si poteva ancora permettere di sognare, come faceva suo padre?
Si, erano gli anni in cui si ipotizzava un modello di Italia diverso. Si diceva che l’Italia immaginava di potersi trasformare in una democrazia colorata, “l’immaginazione al potere” era uno degli slogan di quegli anni. Dopo il primo scossone del ’68 ci si preparava al ’77, che è stato un altro momento di fantasia al potere. Poi invece è iniziato il terrorismo. Io descrivo degli anni magici in cui si lottava per la democrazia, per i referendum sul divorzio e, più avanti sull’aborto. Spesso le battaglie democratiche erano vincenti così come l’arte aveva una grandissima speranza di rinnovamento.

Il film è anche intriso di malinconia e di nostalgia. Che ruolo ha avuto la nostalgia per lei nella decisione di realizzare questo film?
Credo di avere più nostalgia del futuro che del passato perché non potrò vedere tutto. Mentre del passato mi affascina l’idea di non aver visto ciò che avrei potuto vedere. In questo senso, il passato mi crea curiosità mentre il futuro nostalgia.

La critica che le è stata rivolta più di frequente è quella di essere troppo dentro la storia per assumere il giusto distacco.
Io credo di aver avuto la giusta distanza considerando il fatto che ho reinventato tutto (ride, ndr). So quanto c’è di reale e quanto di inventato e quindi sono contento di aver dato l’idea di aver raccontato qualcosa che mi riguardi da molto vicino.

La magia della cinepresa

La magia della cinepresa

Che cosa ne pensa sua madre del film?
Mia madre ha visto il film un paio di mesi prima che uscisse, lo ha apprezzato ed era tranquilla perché, sapendo cosa c’era di inventato, non si identificava minimamente in Serena. Poi quando si avvicinava l’uscita ha iniziato ad essere un po’ preoccupata delle reazioni dei vicini di casa. Ora sta gestendo molto bene questa terza fase, quando le persone le chiedono cosa c’è di vero e cosa di falso, lei a seconda di chi lo chiede e come lo chiede, racconta una versione diversa.

Cosa pensa del London Film Festival?
Partecipo da diversi anni e credo che ci sia una buona sintesi dei festival più importanti. Non è un festival per addetti ai lavori, ma un festival molto cittadino aperto a tutti gli amanti del cinema.

Sembra che negli ultimi anni il cinema italiano non riesca ad uscire dal circuito dei festival. Secondo lei perché?
Credo che i nostri siano film difficili poiché estremamente legati al proprio territorio. Mentre il cinema americano e quello francese sono riusciti a creare un immaginario universale. Noi come gli spagnoli o i tedeschi, per esempio, abbiamo più limiti in questo senso. Poi avendo chiuso moltissime sale di cinema d’essai qui, come a Londra e in molte altre città, la distribuzione del cinema europeo è stata ridotta moltissimo e ovviamente le prime a farne le spese sono le cinematografie più piccole, come la nostra.

Perché ha deciso di presentare Anni Felici a Toronto invece che a Venezia?
Essendo un film così personale ho pensato che Venezia fosse troppo vicina a me. Ho preferito andare in un posto dove ci sarebbe stata un’anteprima un po’ più in sordina.

Il film che attende più di tutti gli altri?
Ovviamente quello di Lars Von Trier!

Di Rosa Maiuccaro per Oggialcinema.net

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