Magazine Cultura

Dannati e leggeri di Paolo Crepet

Creato il 16 settembre 2015 da Anncleire @anncleire

Dannati e leggeri di Paolo Crepet

Diceva che quando servivano troppe cose per definire una realtà, quella situazione comprendeva un imbroglio. Temeva le parole al plurale, secondo lei non si poteva dire “le verità”: la verità è una sola.

“Dannati e leggeri” di Paolo Crepet un libro che ho comprato insieme a Serena di Attraverso i libri e quel che Serena vi trovò in uno dei suoi “famosissimi mercatini” per un pugno di centesimi, che mi ha conquistato fin dalle prime pagine, con una delicatezza straordinaria. Solo cento otto pagine,  ma così pregne di malinconia, investite in una saga familiare, che io adoro, che mi hanno colpito profondamente e ancora ci penso, per un libro a cui non davo la minima importanza.

Xenia è la tata di Mirò, la donna che tutto ha guardato e mai giudicato. Nel suo narrare si affacciano isole di mandorle e viti, case che sanno di cucina, di spezie e di gelsomini, di esistenze interrotte. E tanti personaggi, come Colette, la bisnonna di Mirò, finita a occuparsi di un convento in un'isola dell'Egeo, o come il nonno Selim, grande giocatore di carte, che viveva ai piedi dell'Acropoli in una casa piena di donne e tappeti. Ma anche Omar, finito tra i ballerini russi di un piccolo teatro parigino e morto forse senza sepoltura. Il romanzo dello psichiatra e sociologo, docente di Culture e linguaggi giovanili, racconta una storia che si dipana lungo tutto il Novecento, passando da un lato all'altro del Mediterraneo.

Questo è uno di quei casi in cui non so cosa dire, ogni tentativo di mettere per mettere giù i miei pensieri al riguardo va in frantumo. Ogni parola sarebbe di troppo, questo libro va assaporato, a piccoli sorsi, sprigionando il piacere della scoperta di una storia che non si frange in pochi giorni, ma ha un respiro così ampio da inglobare tre generazioni di uomini e donne, inquieti e malinconici, più grandi della realtà che li ha visti muoversi. È Xenia, la tata di Mirò che si prende la briga di ricostruire la storia della famiglia della bambina  che ha amato come una figlia, perdendosi tra racconti e ricordi, di persone tanto fragili quanto forti, circondate da espedienti e suggestioni, in un Medio Oriente e paesaggi dimenticati. Tra la Grecia e l’Africa, tra la Russia e la Francia, figlie dell’harem e delle consuetudini, che volano lontano rispetto a quello che si vorrebbe avere. Profumi e sapori, relazioni e amore, in un caleidoscopio di eventi che segnano Mirò e la fanno crescere inquieta, senza radici, con le tradizioni ancorate dentro. Xenia è confusionaria nel suo racconto, salta a seconda di come ricorda, in un racconto frammentato e incerto, che si inerpica nella memoria di una donna che è sempre stata in disparte e ha osservato tutto, con occhio attento, fiduciosa e amorevole. Xenia non filtra niente e racconta le passioni amorose di Selim con la stessa grazia con cui tratteggia le donne di famiglia. Quelle donne che sono sempre state in competizione tra loro, con un animo forte e combattivo, ma che in effetti sono state sempre sole, chiuse in un dolore troppo antico, in una voglia inossidabile di volare più in alto del loro passato ma inevitabilmente ancorate alla realtà di una famiglia sgretolata nei vari punti del globo e unificata solo da quel senso spietato di solitudine e dolore. Un mazzo di tarocchi, che Xenia posa lentamente su un tavolo, studiando fisionomie e caratteri, abbozzando ritratti inquieti, di una evanescenza strepitosa. La storia di una famiglia, passa, inevitabilmente, anche dai singoli, che si succedono leggiadri, con un passo che resta sempre in bilico, tra la stabilità e la leggerezza di una vita che fugge.

Crepet non si sofferma mai troppo, vola, tra un ricordo e un altro, tra una suggestione e un’altra, incredibilmente poetico eppure, totalmente vero. Una storia di donne, una storia piena, che non sembra arrivare a nulla, se non a preservare le radici di una straordinaria epopea, che si chiude tra le braccia di Mirò che capisce che scappare non serve a nulla, che il passato va affrontato, che in un certo senso ce lo portiamo sempre dietro. I parenti non possiamo sceglierceli, e finché abbiamo un posto da chiamare casa, possiamo essere felici.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines