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David Niven, le marcette militari e i Monuments Men

Da Mizaar

monuments-men-castEsci dal cinema e ti chiedi: ma questo film, quando e dove l’ho già visto? Già David Niven beato nel paradiso degli attori sta rallegrandosi dell’essere redivivo, per la spudorata somiglianza del capo scout Stoke aka George Clooney- il nostro con il baffino anni ’40 pare proprio un Niven d’antan.  E come se non bastasse da sceneggiatore, regista e attore principale – faccio tutto mi – il George, professore universitario, spiega, con diapositive ante power point ad un incallito Roosevelt, la bontà di quella missione da Indiana Jones da strapazzo che di lì a poco andranno a mettere in atto, con i sette compari di varia cultura e competenza. E spiega anche a noi, ingenui spettatori con aspettative diverse, che andare raminghi in paesi devastati dal passaggio della guerra in cerca dei tesori trafugati dai nazisti è cosa buona e giusta – se anche non ne fossimo convinti. Ma il trascorso trascorre spesso con l’impressione che quei personaggi debbano essersi divertiti follemente a girare, tra la Normandia e il West – si coglie, di tanto in tanto, l’aria ridacchiante del capo incapace di mantenersi serio anche quando le circostante te lo impongono. E allora via a trovate tutto sommato sulle righe, come quella del caso che porta un dolorante Bill Murray con il sodale e piccoletto Bob Balaban, a casa di un improvvisato dentista/ baker crucco, dove s’è sistemato l’ufficiale tedesco artefice della deportazione di tutta la collezione del Jeu de Paume. Così tra un tè alla bavarese e una serie di reticenze, il piccoletto Balaban scopre un Renoir che era appartenuto ai Rothschild. Interrogato il crucco, lo stesso asserisce che trattasi di un regalo, ma il furbo Heil Hitler lanciato da Murray fa sì che il gioco venga scoperto dalla risposta più che veritiera dei bambini che replicano doviziosamente col braccio sfoderato verso l’alto. Per non dire di quei due fermi a fumare una sigaretta - John Goodman e Jean Dujardin – attratti da un sauro pascolante, si ritrovano più che pascolanti, a galoppare tra un fuoco di fuochi incrociati. Nel mentre Dujardin soccombe e via il francese! – e meno male che ci stava vagamente sulle scatole. Intoppa il buon George, nella sequenza dei sorrisi, con Cate Blanchett, nume vestale del museo defraudato, che pare abbia ingoiato un palo – se avessimo saputo in anticipo che l’unica presenza di rilievo femminile sarebbe stata siffatta, avremmo chiesto una purga stalinista con epurazione della suddetta. La quale impalata ad un certo punto decide che è arrivata l’ora di sfoderare le arti magiche da ammaliatrice – pur non avendone carisma e ciccia – si traveste da Gilda e con una supponente tiritera costringe il povero Matt Damon a travestirsi da ospite di riguardo, con una cravatta antesignana di quelle con Topolino sulla facciata principale. Naturalmente Damon, con quella faccia un po’ così fugge a gambe levate per non essere costretto – penso – a scongelarsi dopo l’uso. Non manca nel cast il traduttore simultaneo anglo tedesco, nella figura di un giovanotto ebreo askenazita di Newark – gli occhi stupiti sul mondo della guerra sono i suoi, che ad un certo punto ti chiedi: Ma Newark si trova sulla Luna? E poi ci sono i russi anche loro a caccia dei tesori sottratti, il polittico di Gand e la madonna di Bruges. Il tutto condito, come è doveroso, da una colonna sonora su misura – la marcia finale non è quella del ponte sul fiume Kwai, ma poco ci manca. Alla fine sui titoli di coda sei profondamente convinta di una sola cosa: George Clooney col capello brizzolato e la barba da prof universitario e gli occhiali di corno, be’ è proprio un bel tocco di legno!


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