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“Decreto del fare”: Letta parla come Silvio

Creato il 11 giugno 2013 da Albertocapece

lettaBDimmi come parli e ti dirò chi sei: la saggezza popolare non si lascia depistare dalla insipienza delle élite, specie quelle giunte al capolinea del loro senso. Anzi ogni nuovo potere cerca di imporre un suo linguaggio proprio per rendere linguisticamente più netta la frattura col passato e diffondere un vocabolario  che lo distingua e identifichi. Fu Berlusconi che stracciò il politichese di ascendenza democristiana e assieme allo “scendere in campo” adottò tutta una serie di metafore calcistiche e televisive adatte al suo elettorato e alla sua corte dei miracoli.

Ha fatto scuola perché con grande sorpresa dobbiamo constatare che il governo delle larghe intese ha adottato una delle più vacue e celebri espressioni berlusconiane, quella, tra l’altro, rimasta famosa per essere la più truffaldina: il “governo del fare”. Che fece pochissimo e quel poco nel peggiore dei modi, ma che produsse decine e decine di spot che fantasiosamente asserivano “fatto!”. E ora scopriamo che Letta nipote non è nemmeno stato in grado di inventarsi una espressione diversa da quella, che ha il suo “decreto del fare” per vendere come merce preziosa per risollevare le sorti del Paese, una inutile e sospetta chincaglieria . Inutile e accanitamente ripetitiva nel tentativo di barattare con un ipotetico lavoro, altre sottrazioni di diritti. Non sono bastati 15 anni disastrosi su questa china per indurre un ripensamento, non serve la stessa scienza economica che nega ciò che al bar sport della politica – battezzati pensatoi -viene spacciato come verità assoluta: Letta e le varie bande di grassatori di diritti, trottano con il paraocchi, ubbidendo a redini tirate altrove.

Il fatto che non sia sia sentito nemmeno il bisogno di cambiare un linguaggio ormai frusto, di segnare un minimo di discontinuità se non nella sostanza, almeno nella gergalità politica, la dice lunga sulla continuità del disegno della “diminuzione della democrazia” che oggi  agisce a tenaglia, legando  apertamente lo smantellamento del welfare e delle tutele sociali alle cosiddette riforme costituzionali in senso autoritario. E dire che questo scimmiottante “decreto del fare” segue la grande vittoria del Pd alle amministrative che secondo alcuni dovrebbe dare al Pd maggiore voce dentro il menage dell’inciucio. Invece proprio nel “cappotto” si scoprono recondite armonie e affinità elettive tenute pudicamente nascoste. Comprese le conseguenze: quelle di “fare schifo” come venne tradotto quello slogan.

 


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